Guida ai misteri e ai piaceri vissuti durante la campagna elettorale e, soprattutto, nel momento esaltante in cui si è conosciuto il verdetto delle urne. Cominciamo con il mistero doloroso. C’era una volta l’antimafia e c’era anche Leoluca Orlando. Ma nei quaranta giorni in cui è infuriata la battaglia per il nuovo assetto politico dell’Italia e della Sicilia il sindaco della gloriosa primavera di Palermo non si è né visto né sentito. Forse, in vista della vittoria di Giorgia Meloni e dei suoi patrioti, si era già posizionato in montagna per attrezzare alla resistenza una colonna di partigiani. La chiamerà “brigata Monte Pellegrino” e sarà benedetta da Santa Rosalia, ancora in lacrime per come lui – il sindaco dei trent’anni – ha lasciato la città: sporca, buia, invivibile e con la mafia di sempre.
C’era una volta pure Caterina Chinnici, meglio conosciuta come Nostra Signora dell’Inconcludenza, apparsa come la Madonnina di Lourdes nella grotta del Pd per portare la smarrita sinistra verso il sol dell’avvenire. Ma il sole è tramontato prima di nascere e la battaglia si è persa prima di essere combattuta. Dalla bocca di Caterina sono usciti solo silenzi e cerimoniosi apprezzamenti verso tutti, da Nello Musumeci a Renato Schifani. Lei l’ha chiamata “sobrietà istituzionale” ma era solo un bagno di borotalco. Che non ha scaldato alcun cuore, meno che meno quello di Claudio Fava, deputato uscente ed esponente di un’antimafia ancora autorevole e combattiva, che in un impeto di delusione e di indignazione ha chiuso baracca e burattini e si è ritirato a vita privata.
C’era una volta l’antimafia chiodata dei forcaioli e dei manettari, meglio conosciuta come la Confraternita della Trattativa. Salvatore Borsellino, noto al popolo delle Agende rosse come “il fratello del giudice Paolo”, ha sfogliato per tutto il tempo la margherita dei magistrati in lista per Camera e Senato: il primo giorno ha sostenuto Luigi De Magistris, il giorno dopo Roberto Scarpinato, il terzo giorno è tornato a De Magistris ma ha perso per strada Antonio Ingroia e anche Gina Lollobrigida, candidati con i comunisti sovranisti di Marco Rizzo. Stesso tormento per il priore della Confraternita, quello che ostenta la santità delle stimmate: non volendo scegliere tra Scarpinato, Ingroia e De Magistris, ha preferito bastonare l’ex procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho, eletto con Scarpinato nelle liste del Movimento Cinque Stelle ma segnato a dito “per le sue bugie su Nino Di Matteo”, il pubblico ministero da sempre nel cuore della Confraternita. Ora, alla luce dei risultati, priore e confratelli si battono il petto: mentre loro si trastullavano con le amenità di cui sopra, Giorgia Meloni conquistava il governo nazionale e Renato Schifani quello regionale. “Così rivince la mafia”, scrivono piagnucolando sul sito della parrocchietta. Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa.
Il mistero gaudioso ci porta invece a riflettere sulla tragedia – a lieto fine, si badi bene – del cosiddetto Terzo Polo, la formazione politica buttata nell’arena della competizione elettorale da Carlo Calenda e Matteo Renzi. I quali, da astuti e navigati uomini di potere, si sono lasciati infinocchiare come due bambinetti scemi da Gaetano Armao, un personaggio buono per tutte le casacche e tutte le stagioni, che i due avrebbero dovuto soppesare con molta oculatezza prima di incoronarlo come frontman della nuova alleanza. Avrebbero dovuto contare gli scandali che negli ultimi vent’anni hanno sfiorato il suo nome; avrebbero dovuto passare a setaccio le sue frequentazioni: da Ezio Bigotti, l’avventuriero piemontese che ha spillato alla Regione cento milioni con un censimento fasullo, ad Antonello Montante, padre padrone di un’antimafia che inseguiva solo affari e spionerie. E avrebbero anche dovuto esplorare i motivi per cui la sua compagna, pure amandolo e vivendo con lui sotto lo stesso tetto, gli ha pignorato lo stipendio di assessore nella giunta regionale di Nello Musumeci. Non erano dettagli insignificanti. Avrebbero risparmiato a Calenda e a Renzi la bruciatura di una sconfitta umiliante. I due, per quanto smaliziati, si sono accorti troppo tardi che Armao era un politico da zero virgola, tutto chiacchiera e distintivo, per dirla con Robert De Niro. I siciliani infatti hanno annusato il cattivo odore della candidatura e lo hanno puntualmente bocciato e asfaltato. Con cinismo, con compiacimento, persino con un pizzico di sana e salutare allegria. Qui Santa Rosalia non piange. Fa festa.