Ha messo sotto accusa un intero comune per omessa partecipazione ma – non ce ne voglia il procuratore – ha dimenticato che sono stati i grandi numeri le tane degli antimafiosi di mestiere. Assomiglia infatti più alla stizza dello scrittore che alla preoccupazione dell’uomo di giustizia, l’annuncio del procuratore antimafia Federico Cafiero De Raho che in visita a Canicattì, in provincia di Agrigento, ha dovuto fare i conti con la sala mezza piena, le poltrone quasi vuote e gli applausi quindi scarsi. L’occasione era una relazione che aveva come obiettivo quello di fare il punto sullo stato della lotta alla mafia ma soprattutto ricordare i magistrati Saetta e Livatino caduti per mano mafiosa.
Sono momenti di sicura partecipazione civile ma che come abbiamo visto più volte – anzi, come hanno dimostrato le inchieste svolte dai colleghi di De Raho – sono serviti più ai mascalzoni per mascherarsi e confondersi che ai galantuomini per uscire dall’anonimato e camminare a testa alta. Imbucati tra le foto di rito e pronti a stringere le mani ai magistrati, in Sicilia, una ghenga di ribaldi ha fatto di queste celebrazioni un mercato di virtù, la festa di laurea per infiltrarsi. Pure Cafiero De Raho, che è un uomo attento, sa che oggi la lotta alla mafia si fa prima di tutto smontando quel circo antimafia e quelle carovane fasulle che hanno falsificato il senso di una nobile parola.
Certo, è vero che in passato la prima forma di controllo mafioso era ordinare la diserzione, misurare con il vuoto delle sale il pieno del consenso nel territorio. Eppure oggi, e siamo certi che il procuratore non può non concordare, l’antimafia non si ricostruisce con l’adunata ma con piccoli e buoni numeri; del resto anche gli apostoli erano dodici e l’unità si è fatta con mille. Più che preoccuparsi della scarsa partecipazione bisogna valutare l’autenticità della piccola e perché no, partire da questa. L’ascolto a comando assomiglia a quelle messe cantate che finiscono per bestemmiare la divinità. Insomma, Cafiero De Raho, si è lamentato che ad ascoltarlo, a Canicattì, fossero solo in 40 e prima di andarsene ha fatto sapere che da ora in avanti ci “sarà un’attenzione particolare del mio ufficio verso questo paese”. È una buona notizia. Ma siamo sicuri che il procuratore non intenda fare indagini per le sedie vuote di Canicattì. Sono quelle piene che hanno svuotato l’antimafia nel resto del paese.