Ugo Forello ha usato un’espressione forte: epurazione. E’ quella attuata dai Cinque Stelle nei confronti dell’ex candidato sindaco di Palermo – 50 mila voti due anni fa alle Amministrative, terzo dietro Orlando e Ferrandelli – e della consigliera comunale Giulia Arginoffi, seconda degli eletti. Entrambi sono stati espulsi dal collegio dei probiviri del M5S. E’ il quadro desolante della presenza grillina nei comuni siciliani, all’ombra dei grandi palazzi del potere, dove, se stai all’opposizione, hai la fortuna di poter tradurre la politica (anche) in spot: i vitalizi, i tagli, l’onestà.
In periferia e nei comuni di provincia (Palermo però non fa differenza) le doti richieste sono altre: la preparazione della classe dirigente, la conoscenza dei problemi, una buona capacità amministrativa. Doti che quelli del Movimento 5 Stelle hanno dimostrato di non possedere (sono giovani: ma si faranno?). Si sono contraddistinti, piuttosto, per i passi falsi di alcuni sindaci, come a Gela o Bagheria, per le guerre intestine fra meet-up a Ragusa, per l’incapacità di rispondere ai bisogni reali di chi li ha votati. Esclusi Castelvetrano e Caltanissetta, vinti al ballottaggio, le elezioni comunali degli ultimi due anni si sono rivelate un bagno di sangue. In Sicilia come in tutta Italia. Fra le modifiche regolamentari introdotte da Di Maio – e non è affatto un caso – la necessità di potersi alleare con altre liste civiche.
A Palermo, dove faticosamente il Movimento stava ricostruendo la propria credibilità dopo lo scandalo delle firme false del 2012, il contingente a sala della Lapidi si è dimezzato: rimangono al loro posto Antonio Randazzo (che alla fine dello scorso anno prese il posto di Forello come capogruppo), Concetta Amella e Rosalia Lo Monaco. Ai nastri di partenza erano in sei. A intercettare i motivi che hanno condotto all’epurazione è stato lo stesso Forello, che da qualche mese viaggiava su orizzonti paralleli rispetto a quelli del gruppo: “Mi viene contestato il reato d’opinione. Di aver leso con le mie dichiarazioni l’immagine dei Cinque Stelle”.
Forello è stato un fervido oppositore di alcune fra le posizioni ufficiali del Movimento, anche e soprattutto a livello nazionale: ha contestato in modo aspro l’alleanza con la Lega e l’esibizione “muscolare” sui migranti. Ha rimbrottato contro il leader politico Luigi Di Maio, da qui l’accusa di lesa maestà. L’espulsione è sempre stata dietro l’angolo e un paio di giorni fa si è materializzata. Diversa la questione di Giulia Arginoffi, che si sarebbe “dichiarata indipendente dai lavori del resto del gruppo consiliare di appartenenza” anche “attraverso modi di agire poco cooperativi e trasparenti nei confronti degli iscritti” o “attraverso l’adesione a progetti e idee di altri gruppi politici senza la preventiva condivisione con il resto del gruppo politico di appartenenza”. In soldoni: s’è fatta i cavoli propri. Da qui la scure.
I due consiglieri “ex grillini” hanno aderito al gruppo Misto, non dopo aver incassato la solidarietà di un altro ex di lusso, Igor Gelarda, che solo in queste ore si è vista recapitare la notifica di un’altra espulsione, la propria. Gelarda, per l’appunto, da circa un anno ricopre la carica di coordinatore Enti locali della Lega per la Sicilia occidentale: “Una classe dirigente mai strutturata, una totale assenza di proposte, una difficoltà considerevole nel trovare una linea comune sono le cause principali che hanno portato il Movimento 5 Stelle a sgretolarsi prima in consiglio comunale a Palermo così come in altre realtà locali e nazionali” ha annuito Gelarda. Ma la chicca è un’altra: “Proprio nel giorno in cui arriva il provvedimento di espulsione per la Argiroffi, in maniera quasi comica, è stato notificato anche a me. A distanza di un anno dalla mia adesione convinta al progetto politico della Lega Salvini premier. Sono disattenzioni abbastanza gravi”.
Ma pochissima roba in confronto alle illusioni, alle frizioni e ai fallimenti regalati dal M5S in Sicilia negli ultimi anni. Ci sono casi di pessima amministrazione, come a Gela. Dove il sindaco eletto nel 2015, Domenico Messinese, decise di non dimezzarsi lo stipendio – un mantra a Cinque Stelle – di non riconvertire l’ex petrolchimico, così come da contratto di governo, e finì per pagarla carissima. Espulso dal partito a inizio legislatura, dopo un rodaggio di appena sei mesi. Credibilità annientata. Il calvario di Messinese, interrotto da una mozione di sfiducia, è coinciso con le elezioni dell’aprile scorso, in cui i grillini si presentarono allo start con Simone Morgana, che riuscì a mettere insieme il 15% delle preferenze. Costretto a soccombere all’alleanza fra Pd e Forza Italia, terminò la sua corsa in quarta posizione. L’unica consolazione fu il risultato personale, di gran lunga migliore rispetto a quello della lista pentastellata (sotto il 10%). Ma non cancella la figuraccia.
Poi c’è il “modello Bagheria”. Un sindaco giovane, vanto di un Movimento intero, che finisce nel tritacarne dei tribunali: Patrizio Cinque viene rinviato a giudizio per turbativa d’asta e abuso d’ufficio e nel 2018 comunica di autosospendersi dal Movimento, dopo aver ricevuto lo sfratto da Di Maio. Fa in tempo a prendere un’altra strada, sebbene il comune rimanga fortemente a connotazione grillina, che piombano sulla sua testa alcune accuse pesantissime. Una, su tutte, quella di aver acquistato un ecomostro sul mare, ad Aspra, per trasformarlo in residence. Cinque appare incerto nella gestione di alcuni temi, tra cui l’abusivismo edilizio, e finisce con le spalle al muro quando un suo assessore è costretto a dimettersi perché vive in un fabbricato non a norma. L’anima dei Cinque Stelle lentamente si spegne e alle ultime Amministrative Cinque si fa da parte, lanciando al suo posto l’ex assessore Romina Aiello. Risultato? L’11% e tutti a casa.
Ma il Comune per cui Cancelleri e soci hanno rosicato maggiormente è Ragusa. Il secondo feudo a Cinque Stelle d’Italia fra i capoluoghi di provincia, dopo Parma (la parabola di Pizzarotti è storia nota). Nel 2012 diventa sindaco l’ingegnere Federico Piccitto che al termine del primo mandato, vuoi a causa di alcune lotte intestine, vuoi per scelte di natura professionale (più le prime che le seconde) decide di non ricandidarsi. Al suo nome si oppongono ferocemente i membri di uno dei due meet-up cittadini, in forte contrasto fra loro. Il vice di Piccitto “sposa” la Lega, mentre il papabile successore, l’ex presidente del Consiglio comunale Antonio Tringali, perde la sfida al ballottaggio nonostante l’appoggio di Di Maio in campagna elettorale. Non che il Movimento a Ragusa abbia lasciato il segno, tutt’altro. La sconfitta nel capoluogo ibleo arriva tre mesi dopo le Politiche, in cui l’intera provincia si tinse di giallo (a Ragusa città il M5S prese il 48%). Una fotografia del reale (oggi sempre più sbiadita fra l’altro) che conferma l’assioma secondo cui i grillini trionfano col voto d’opinione, ma a livello locale fanno una fatica immonda.
Ora c’è il caso di Palermo, dei consiglieri traditori, della repressione del dissenso, di una base sempre più in fibrillazione. Ai Cantieri culturali della Zisa, un paio di giorni fa, se n’è parlato. Senza giornalisti, va da sé. “Se hai sei consiglieri e ne perdi tre – ha detto l’attivista palermitano Joska Arena a Repubblica – è chiaro che il Movimento ne esce indebolito e non offre una bella immagine”. La decisione più insopportabile è la cacciata di Giulia Arginoffi: “Abbiamo mortificato due anni di lavoro con questa decisione” gli ha fatto eco il collega Dario Giustiniani. Tra attivisti storici, consiglieri comunali e di circoscrizione è emerso un malumore senza precedenti. Serve un modello nuovo, che vada oltre l’ironia del “mandato zero”, che sorvoli le alleanze civiche e i referenti di zona. Il Movimento 5 Stelle, d’altronde, si è sempre rivelato bravo a distruggere. Mai a costruire.