Il presidente dell’onestà-tà-tà, alias Nello Musumeci, in questi cinque anni certamente non avrà fatto caso alle lobby di potere che hanno intaccato la sua intransigenza, così come la pretesa di apparire duro e puro agli occhi dei siciliani, e per questo meritevole di una seconda possibilità. Per Musumeci come per il suo governo, non può bastare l’assunto che affaristi e avventurieri non sono mai entrati alla Regione (l’episodio dell’Ente minerario, fra l’altro, dimostra che non è così), o che non è mai volato un avviso di garanzia nei confronti del governatore. Ciò che manca alla sua esperienza di governo, nonostante i proclami, è la trasparenza dei provvedimenti, delle decisioni, delle scelte. La pretesa di un’amministrazione terza e slegata dall’interessi di pochi.
Gli esempi sono molteplici. In questi anni, e nel nome dell’emergenza, poche famiglie hanno continuato a coltivare il business dei rifiuti. Un oligopolio che soltanto la magistratura, con l’inchiesta sulla Sicula Trasporti, ha in parte azzannato. Ma i signori delle discariche c’erano e restano. Hanno avuto vita facile di fronte all’incapacità del governo di aprire nuovi impianti di trattamento e potenziare la differenziata, persistendo nella visione discarico-centrica che ha fatto di questi impianti obsoleti – per lo più privati – l’unica modalità per chiudere il ciclo dei rifiuti. L’unica perseguibile, giacché togliere il pallino delle mani dei Catanzaro, dei Leonardi (poi finiti in amministrazione controllata per via di un’inchiesta) o dei Proto, avrebbe significato il de profundis per sindaci e amministratori, che non avrebbero avuto dove smaltire la monnezza. E così, in questi anni, sono partite le proroghe, gli ampliamenti, le autorizzazioni ambientali affinché il business, in assenza di alternative, sopravvivesse. Per i termovalorizzatori, ancora distanti dall’essere realizzati, sarà più o meno la stessa cosa: il project financing prevede che la gestione sia a carico della società aggiudicataria del bando (e di conseguenza i ricavi).
Ma sulle lobby che attanagliano il governo si potrebbe redigere un trattato. Repubblica, con un articolo a firma di Claudio Reale, ne ha elencate alcune. A cominciare da quelle balneari, che sperano in un “impedimento oggettivo” nella celebrazione delle gare d’appalto, per continuare a godere delle concessioni di cui, in barba alla concorrenza, hanno goduto da sempre. In base a una sentenza del Consiglio di Stato, le licenze scadranno il 31 dicembre 2022. Ma l’assessorato al Territorio, che in una prima fase aveva promesso una proroga fino al 2033, dovrà nel frattempo accelerare l’iter per garantire in tempo utile circa 3.500 selezioni. La crisi di governo, le dimissioni di Musumeci, le scadenze elettorali e lo spoil system da riorganizzare faranno slittare tutto al prossimo anno. Così i concessionari potranno continuare a beneficiare del demanio pubblico per altri 12 mesi. “Impedimento oggettivo”.
Tra le lobby segnalate da Repubblica ci sono anche quelle del trasporto pubblico su gomma, che continuano a gestire in proroga, e in assenza di procedure di interesse pubblico (da decenni), le tratte convenzionate. La Corte dei Conti ha chiesto di smantellare il sistema. Che però resiste, giacché siamo in campagna elettorale. Tutt’al più se ne occuperà il prossimo governo. L’affare vale nel complesso 168 milioni di contributi pubblici, a cui va sommato il fatturato proveniente dallo sbigliettamento. Che va sempre alle stesse aziende: sono 86 quelle che gestiscono il trasporto extraurbano, 84 invece quelle del trasporto urbano. L’imprenditore Alessandro Scelfo e la sua famiglia, con tre distinti gruppi, gestiscono i principali marchi (da Sais a Segesta, passando per Etna Trasporti).
Non va meglio per il trasporto marittimo. Anche se alla gara per l’aggiudicazione delle tratte di aliscafi e traghetti – che almeno è stata celebrata – hanno partecipato soltanto le due società che già detenevano quella porzione di mercato: rispettivamente Liberty Lines e Caronte. Quest’ultima ha lasciato scoperte le linee per Pantelleria e Ustica, che pertanto proseguiranno in regime di proroga. L’affare da mezzo miliardo, comunque, resta in mano ai soliti.
Ma il quinquennio che ci lasciamo alle spalle è intriso di lobby di ogni tipo. Non possono considerarsi altrimenti quelle che hanno drenato un’enorme quantità di denaro alla voce ‘turismo’. Il gruppo Rcs Sport di Urbano Cairo ha fatto man bassa di fondi pubblici organizzando competizioni ciclistiche a ogni latitudine: dal Giro d’Italia, partito dall’Isola nel 2020, al Giro di Sicilia, un carrozzone di cui nessuno sentiva il bisogno. Un investimento giustificato dall’idea di diffondere l’immagine (dall’alto) e le bellezze dell’Isola. Altri, importanti gruppi di potere si celano dietro agenzie pubblicitarie del Nord che gestiscono per conto terzi imponenti campagne di marketing.
Ma anche la sanità ha lavorato a pieno regime, ad esempio, per garantire il mondo dell’ospedalità privata. “Senza, il sistema collasserebbe”, ha spiegato l’ex governatore Cuffaro. Sarà pur vero. Ma le cliniche e gli ospedali convenzionati, secondo l’ultimo accordo, hanno visto aumentare il proprio budget di oltre trenta milioni. Passando da 435 a 470 l’anno. Per Razza si tratta di aumentare l’erogazione di prestazioni di alta complessità e abbattere i costi della mobilità passiva. Per il Pd, invece, significa smantellare la sanità pubblica a favore di quella privata. E per di più in campagna elettorale. Inoltre, non può passare inosservata la rilevanza assegnata al Cefpas da questo governo. Il centro di alta formazione per medici e infermieri, che oggi sforna i futuri direttori generali, sanitari e amministrativi delle Asp, ha beneficiato di un plafond infinito (grazie al Pnrr): per occuparsi di formazione, va da sé; e di mille altre cose, a partire dalla digitalizzazione dei Dea di I e II livello (ma come, non c’era Sicilia Digitale?). Presso il Cefpas sorgerà anche il Cerpes, il centro per le epidemie e le pandemie, che vorrebbe diventare punto di riferimento per tutto il Mezzogiorno.
Molti dei finanziamenti pubblici erogati dalla Regione finiscono sempre agli stessi soggetti, che godono di facilitazioni impensabili all’interno di un regime che, al contrario, dovrebbe garantire la concorrenza. Ma non è solamente una questione di soldi, bensì di moralità. L’etica pubblica, in questa terra, finisce intaccata da interessi privatistici che permeano l’amministrazione fino alle radici. E di cui nessuno, o quasi, si scandalizza più. Alla Regione, pensate come siamo messi, c’è anche la lobby delle faccette nere: quella che spinge per la conferma di Musumeci e, senza un motivo chiaro, priva la coalizione di centrodestra di un nome condiviso (quello di Raffaele Stancanelli) per la presidenza. Questione di principio? Macché. Di interessi, semmai.