Il fallimento risiede nei numeri. Non è soggetto a interpretazioni, ma emerge evidente, lapalissiano, dalla lettura dei dati della struttura commissariale anti-Covid. La Sicilia è ultima per somministrazione nella fascia 50-59 anni (appena il 60% ha ricevuto la prima dose); in quella 60-69 (68,46%); in quella 70-79 (75,65%). E ha immunizzato soltanto il 76,49% degli over-80, potenzialmente la platea più esposta a possibili infezioni (alcune regioni sfiorano il 95%). Inoltre – un dato che Musumeci ha contestato –la percentuale dei docenti vaccinati si attesta al 55%, contro l’82 su scala nazionale (mancano all’appello 60 mila fra operatori scolastici e prof). Basterebbe fermarsi a tanto per decretare il flop della campagna vaccinale siciliana. O di un intero sistema che ha affrontato la seconda ondata della pandemia con estrema sufficienza, complice un comportamento non sempre encomiabile da parte della popolazione. Culminato nell’inseguimento al teenager di turno, convinto dall’idea di poter avere in cambio uno Spritz; o ai visitatori dei musei, a cui viene regalato un ingresso omaggio per farsi inoculare il siero. Come fossero i mercatini del baratto.
E non è ancora finita. L’Aperi-vax, salutato con soddisfazione al Nautoscopio di Palermo, verrà esteso ad altre realtà. Le vaccinazioni hanno preso piede pure negli stabilimenti balneari (specie a Catania e Messina), oltre che nei musei, mentre i camper – in attesa di precise direttive sulla scuola – si sono fiondati nei comuni più defilati (territorialmente parlando), da cui è difficile raggiungere i grandi hub. Che a breve chiuderanno. D’altronde la vaccinazione di massa vera e propria sembra essersi esaurita. E alla Fiera del Mediterraneo, come al PalaRescifina di Messina, o all’ex mercato ortofrutticolo di San Giovanni La Rena, a Catania, le code di primavera sono un lontanissimo ricordo. Le prime dosi somministrate ogni giorno sono scese sotto il livello di guardia (circa 5 mila) prima di risalire grazie agli Open Day, che probabilmente verranno prorogati. La vaccinazione di prossimità, che ha avuto anche il supporto dell’esercito (con risultati modesti), is the way, direbbero gli inglesi. E’ quella che prevarrà in futuro. Quella per cui la Regione ha speso più soldi – metteteci l’affitto dei camper, la creazione delle Usca, eccetera eccetera – e da cui ci si aspettano risultati in grado di giustificare l’impegno.
Ma il rovescio della medaglia che intacca gli sforzi delle istituzioni, e decreta il rallentamento della campagna vaccinale, è rappresentato da due elementi: la difficoltà di coinvolgere ed impiegare i medici di famiglia, per fare in modo che la somministrazione avvenga a domicilio (per i soggetti fragili) o negli ambulatori; e soprattutto l’utilizzo delle farmacie come hub di prossimità. Esiste un accordo quadro dello scorso 29 marzo, in cui Ministero della Salute e Federfarma sancivano la possibilità di utilizzare 796 farmacie in tutta la Sicilia, quelle aderenti, nella campagna per debellare il virus. Questo accordo, in Sicilia, è stato recepito a fine giugno, quando fu lo stesso presidente della Regione, Nello Musumeci, a ufficializzare che dal successivo 15 luglio (cioè sei giorni fa) sarebbero partite le somministrazioni.
I calcoli sono risultati errati. E l’annuncio è rimasto tale: “Siamo superando le difficoltà di inserimento delle prenotazioni sulla piattaforma delle Poste – ha sottolineato Tobia, segretario nazionale di Federfarma, al Giornale di Sicilia – e durante la riunione in assessorato abbiamo ricevuto le indicazioni per incanalare nella giusta direzione la fase di consegna dei vaccini che vede coinvolte le Asp e le farmacie siciliane”. A proposito di consegne, Gioacchino Nicolosi, presidente di Federfarma Sicilia, ha evidenziato come “prima di arrivare nelle farmacie le dosi in arrivo dai fornitori nazionali devono essere etichettate con un nuovo codice nel quale è inserita anche la data di scongelamento che è diversa a seconda del vaccino. Si tratta di precise regole di trasporto che sono a tutela dei cittadini e che devono essere concordate con tutte le Asp delle province”. Una difficoltà tira l’altra, anche se l’assessore alla Salute Ruggero Razza, rientrato in plancia di comando, ha detto di essere più preoccupato per la difficoltà di trovare persone che vogliono vaccinarsi.
Vero, ma la macchina regionale non ha ancora superato il rodaggio e spesso è costretta ad affidarsi alle singole iniziative: come quella del commissario per l’emergenza di Palermo, Renato Costa, che s’è inventato l’Aperi-vax; o quella di Alberto Firenze, commissario anti-Covid a Messina, che ha predisposto la presenza di uno staff medico a bordo delle navi Caronte sulle linee Napoli-Milazzo e Messina-Salerno. Pino Liberti, a Catania, ha attivato un hub per persone indigenti e cittadini senza fissa dimora. Ma quanto costa decentrare la campagna? Ci hanno tolto le primule, e ci hanno dato centri commerciali e palazzetti. I mega hub, messi in piedi dalla Protezione civile, a breve verranno chiusi. Di recente, dopo Punta Raisi, è stato rimesso in sesto il terminal B dell’aeroporto di Catania-Fontanarossa (dieci postazioni e venti medici dell’Asp impiegati) per ricominciare con lo screening sui passeggeri. Per carità, va bene tutto finché il virus non muore. Ma poi bisognerà rendicontare. Bisognerà rientrare nelle spese, che nell’arco di un anno e mezzo si sono moltiplicate.
Il personale va pagato a caro prezzo, è giusto così. La macchina della Regione ha assunto circa 9 mila persone, con contratti a tempo determinato che sono stati in parte rinnovati. Alcuni meriterebbero una stabilizzazione, per molti altri (gli amministrativi) il futuro e la mansione sono da decifrare. Razza non chiude le porte a nessuno: “Non smobilitiamo la struttura emergenziale – ha detto qualche settimana fa. Nel corso di una pandemia e con un’eventuale dichiarazione dello stato di emergenza non ci si si può permettere di cedere alla tentazione di pensare che tutto sia finito”. La proroga degli incarichi, ovviamente, ha un costo. E la sanità siciliana, come le altre sanità regionali, ha già speso un bel pacco di soldi. Da alcuni calcoli, il rinnovo di migliaia fra medici e infermieri, assunti in regime di partiti Iva o come Co.co.co., costerà la bellezza di 30 milioni. Solo a Palermo.
C’è un’ultima questione da non tralasciare: riguarda gli ospedali. In una prima fase, quando mancavano i posti di terapia intensiva e sub-intensiva, si è deciso di riconvertire i reparti ordinari, ‘tagliando’ le cure ai pazienti no-Covid. Non appena, con la primavera, l’emergenza è rientrata, è ripresa una lenta riconversione in senso opposto, per permettere un graduale ritorno alla normalità. Il tasso d’ospedalizzazione lo permette. Nel frattempo, però, la struttura commissariale regionale, affidata da Musumeci all’ex dirigente Tuccio D’Urso, ha aperto in tutta l’Isola un’ottantina di cantieri per riqualificare i nosocomi esistenti, allo scopo di ricavare nuovi posti di Rianimazione. Per molte strutture i lavori sono in corso. Per altre, invece, dovrebbero finire presto. L’intervento da 240 milioni, frutto di un co-finanziamento Stato-Regione, rappresenta un investimento sul futuro. In particolare, a Palermo saranno conclusi entro il 31 luglio gli interventi relativi all’apertura di 17 posti terapia intensiva in più e di un nuovo blocco operatorio presso il Policlinico “Giaccone”; un reparto da 12 posti di terapia intensiva presso l’ospedale “Civico”; un reparto da 22 posti di terapia intensiva presso l’ospedale “Cervello”. Per queste strutture sono in arrivo anche tutte le attrezzature necessarie affinché le Aziende possano offrire prestazioni assistenziali di eccellenza.
Restano delle zone d’ombra, come quelle segnalate dal gruppo parlamentare del Pd, relativamente alla concessione di alcuni appalti e all’affidamento di incarichi con procedure d’urgenza. Situazioni che secondo Antonello Cracolici sono “fuori dalle regole, dunque ho chiesto ai magistrati di fare una valutazione” depositando un esposto in Procura. Come una valutazione complessiva, da parte dei magistrati, è attesa sull’inchiesta che ha portato l’iscrizione di Razza nel registro degli indagati, assieme all’ex dirigente del Dasoe, Maria Letizia Di Liberti. Per capire se nella gestione dei numeri del Covid – fra tamponi, ricoveri e morti “spalmati” – ci siano irregolarità sotto il profilo penale. Oppure no. Questi ragionamenti esulano, ma non troppo, dal dato iniziale: che ci vede indietro ovunque sul piano vaccinale. Ritenuto – oggi – l’unico antidoto per venirne fuori. I conti si faranno alla fine. Ma al traguardo intermedio la Sicilia non brilla.