Il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, ce la sta mettendo tutta per addolcire i rancori e i livori del viceré Renato Schifani. Alla controra fa le sue doverose genuflessioni e al vespro rilascia una dichiarazione con la quale promette di punire Davide Faraone, il fanatico renziano che ha avuto l’ardire di criticare Sua Maestà e di sfregiare con un accappatoio, simbolo della siccità, la sacra immagine di Palazzo d’Orleans. Ma l’Onnipotente ancora non si placa, nonostante gli siano arrivate anche gli incensi di Carolina Varchi e del prodigioso Giulio Tantillo, il forzista che per oltre vent’anni ha assicurato, come quinta colonna, la sopravvivenza di Leoluca Orlando. A Lagalla dunque non resta che prendere decisioni definitive. La più immediata – suggerita a quanto pare dal postulatore Pietro Alongi, che da anni si batte per la beatificazione del Sommo Governatore – è quella di rivoluzionare i monumenti del centro storico. Al posto del “teatro marmoreo” sul quale giganteggia Filippo IV degli Asburgo di Spagna, sarà eretta davanti al Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea regionale, una statua di Schifani Imperatore col Globo Terraqueo in mano: un modo come un altro per dire ai sudditi che sul suo regno non tramonta mai il sole.

Al posto della statua di Francesco Crispi, situata a piazza Croci, dovrebbe subentrare un complesso marmoreo dal quale si staglia verso il cielo uno Schifani in tenuta quirinalizia, sorretto dal suo maggiordomo: da quel Marcello Caruso che, da segretario provinciale di Italia Viva si è battuto per l’ingresso dei renziani nella giunta Lagalla e che due anni dopo, da coordinatore di Forza Italia, invoca il patibolo per gli stessi renziani, asserragliati nel palazzo municipale. Mentre al posto di Ruggero Settimo, immortalato davanti al Politeama, l’amministrazione municipale si impegna ad erigere un monumento che comprenderà oltre, al Viceré, i suoi due paggetti: da un lato Andrea Peria, con un’arpa in mano, segno delle sue eccessive e avventate ambizioni musicali; e dall’altro lato l’avvocato Robertino Schifani, figlio di Sua Altezza Reale, con un pallone al piede, segno dei favori ricevuti dal Trapani Calcio, società da lui tanto amata e tutelata.

Bisognerà sostituire anche il Genio di Palermo, lo storico monumento che sovrasta una spelacchiata fontana, ovviamente senz’acqua, collocata al centro di piazza Rivoluzione. La statua di Schifani, destinata a prendere il posto del Genio, dovrà essere scolpita con cura e dovrà anche comprendere il mistero che aleggia su quella piazza fin dal Sedicesimo secolo. Il vecchio Genio ha la testa cinta da una corona e, all’un tempo, regge tra le braccia un serpente che si nutre succhiando il sangue dal suo petto. Il monumento a Schifani non potrà che incorporare le stesse allegorie. Ma con un avvertimento inchiodato sull’orlo della fontana: “E’ vietato ai sudditi di formulare ipotesi o allusioni sulla reale identità del serpente attaccato al cuore del Genio. Ogni riferimento al Bullo o ad altro pagnottista di Palazzo d’Orleans sarà punito nei sotterranei dello Steri, sede della Santa Inquisizione, con sette giri di corda”.

Dell’eventuale ripristino della maledetta ruota, sulla quale venivano torturati gli eretici riottosi come Davide Faraone, potrà occuparsi lo stesso sindaco Lagalla che, da rettore dell’Università di Palermo, ha soggiornato a Palazzo Steri per oltre cinque anni e conosce tutti i luoghi, tutte le celle, tutti i riti e persino il motto del Sant’Uffizio: “Exurge Domine et judica causam tuam”.