Altro che la favola del lupo e dell’agnello. Schifani ha superato Esopo. L’ultima invettiva nei confronti di Amap – la società municipalizzata che gestisce l’acquedotto di Palermo – ha qualcosa di surreale. Non solo la Regione, in questi mesi di secca, non è riuscita a individuare le soluzioni per evitare che agricoltori e allevatori finissero sul lastrico, che i laghi si prosciugassero e che persino attività come il turismo venissero frenate dalla fobia – dei turisti – di rimanere senz’acqua. Ma addirittura il governatore, in un delirio di onnipotenza che il campione intervistato del Sole 24 Ore (magari) disconosce, ha chiesto la testa dell’amministratore unico di Amap, tale Alessandro Di Martino, per aver previsto un piano di razionamento utile a “garantire non soltanto il presente ma anche il futuro del servizio di erogazione idrica a Palermo”.

Il problema, a quanto pare, non è il contenuto del piano, la cui decorrenza è fissata per il 22 luglio (e che adesso subirà uno slittamento). Bensì l’ennesima caduta dal pero di Schifani, che – confortato dal parere del Capo della Protezione Civile regionale, Salvo Cocina – dice di non averne condiviso le modalità né il tempismo. Una “combutta” che ha innescato una reazione a catena, fomentata dal fatto che i rapporti istituzionali fra il presidente della Regione e il sindaco della città di Palermo, Roberto Lagalla, sono ai minimi storici. Insomma, si è finito per strumentalizzare una questione – la siccità – che avrebbe bisogno di spinte unitarie e univoche, allo scopo di salvaguardare le attività economiche e il benessere della popolazione.

Ecco cosa aveva detto l’Amap ed ecco cos’ha risposto Schifani. Amap: “Al fine di spostare in avanti quanto più possibile la data prevista per l’esaurimento dell’acqua accumulata negli invasi, in attesa delle precipitazioni della prossima stagione autunnale, l’azienda ha deciso in via cautelativa di adottare misure di razionamento in tutte le zone e i distretti di Palermo secondo una turnazione prestabilita. Le misure di razionamento saranno individuate e comunicate nei prossimi giorni e saranno effettuate esclusivamente sulla base di motivazioni di immediata fattibilità tecnica, al fine di ridurre al minimo i disagi per le utenze e con l’obiettivo di non coinvolgere utenze pubbliche o sensibili (ospedali, cliniche, case circondariali, edifici a valenza pubblica, etc)”. Più che un piano vero e proprio, l’impegno a razionalizzare l’utilizzo di una risorsa sempre più scarsa.

Schifani, però, l’ha interpretato come un atto di lesa maestà, reagendo in questo modo: “Chiediamo che l’azienda ritiri il provvedimento sottoponendolo preventivamente alla Cabina di regia in modo da garantire una gestione più concertata e partecipativa, e che, nel contempo, il sindaco di Palermo valuti l’ipotesi di procedere alla sostituzione dell’amministratore, tra l’altro già scaduto”. Il riferimento alla scadenza dell’incarico dell’amministratore unico di Amap, proprio sul finire di una dichiarazione in parte condivisibile, svela il motivo del contendere: cioè la guida della municipalizzata. Ma davvero un presidente della Regione che si è dimostrato un abilissimo uomo di sottogoverno, capace di spartire poltrone a quelli del suo “cerchio magico” con una strategia a senso unico, di occupare le istituzioni liriche e musicali con tanta ingordigia e zero competenza, di accaparrarsi la guida di certi assessorati piazzandovi alla guida dei tecnici ad hoc, brama di sottrarre al sindaco Lagalla il controllo della società deputata alla gestione dell’acquedotto comunale? Magari per affidarlo a uno tra Peria e Armao, noti esperti in materia di dighe e invasi?

Il sospetto regnerà fino alla prossima nomina, ovviamente. Ma ciò che emerge in maniera palese è la contrapposizione con il sindaco, che fino a qualche ora prima, in un’intervista a Live Sicilia, aveva evidenziato, “che ci sono, come in tutte le vicende istituzionali, dei momenti nei quali ci si può trovare in posizioni diverse”. Senza però andare oltre. Dall’altra parte della barricata, però, non c’è alcun interesse a ricomporre, come dimostra quest’ennesima vicenda (dopo la diatriba sul Massimo di Palermo, sulla privatizzazione di Punta Raisi e sul mancato invito alla presentazione del Festino da parte della Curia). Questo muro contro muro – nato dalle simpatie fra Lagalla e il segretario nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani – non ha fondamenti logici solidi, ma un acclarato desiderio di far prevalere il rancore e le maggiori leve di cui un governatore può disporre (rispetto a un sindaco).

“L’Amap – evidenzia Schifani – avrebbe dovuto adottare un approccio più collaborativo, coinvolgendo tutti gli attori istituzionali nella ricerca di soluzioni alternative e più articolate”. Il presidente ha parlato di decisione “unilaterale”, adottata “senza un adeguato confronto e senza esplorare a fondo altre possibili contromisure”. Insomma, non sono i contenuti a preoccupare. Ma il fatto che qualcuno si sia mosso prima di lui e abbia bypassato il parere di una Cabina di regia che fin qui non ha certo smosso le montagne. Anzi. Eppure era stato lo stesso Di Martino a dire che “Amap ha avviato tramite la competente Cabina di Regia istituita dal Presidente della Regione una serie di misure strutturali che consentiranno di ridurre la dipendenza dei prelievi dagli invasi, quali l’acquisizione di nuovi pozzi e l’attuazione di interventi per la riduzione delle perdite fisiche che sono in fase di attuazione”. Quindi, che problema c’è?

Il fatto è che Schifani non sembra avesse alcuna intenzione di mantenere riservato il confronto e l’eventuale polemica che, eventualmente, ne sarebbe derivata. Aveva voglia di urlare al mondo chi comanda. Chi decide. Chi influenza. Rivendicando il suo peso nei sondaggi (a dispetto del povero Lagalla) e archiviando, senza colpo ferire, le parole dell’Arcivescovo di Palermo, monsignor Carmelo Lorefice, che durante l’omelia della Santuzza, aveva lanciato saette contro l’inerzia della politica. Di cui il governatore è il primo rappresentante. Parole che non l’hanno toccato, a cui Schifani non ha avuto né voglia né tempo di replicare (almeno pubblicamente). Forse perché la sua aspirazione, al momento, non si spinge fino al controllo della Curia. Altrimenti avrebbe chiesto la rimozione del vertice dell’Ufficio Pastorale. Invece s’è fermato all’Amap.