I messaggi che scorrono sull’asse Catania-Rimini, dove il governatore ha partecipato qualche giorno fa al meeting annuale di Comunione e Liberazione, non sono più tanto sibillini. Nello Musumeci, impegnato con la triplice emergenza siciliana (Covid, rifiuti, incendi), non ha mai smesso di pensare alla sua ricandidatura. Sa bene di doversi giocare al meglio le poche carte rimastegli: smarrita per strada la fiducia della Lega – Salvini sta già lavorando per rimpiazzarlo – una delle poche possibilità per ribaltare i pronostici, che in questo momento lo vedono sfavorito, si chiama Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni, da cui Musumeci in un certo senso discende, non si è pronunciato ufficialmente sulle prossime Regionali, e l’unica uscita ufficiale, quella di Manlio Messina, lascia il tempo che trova. A chi, qualche settimana addietro, chiedeva info sulla conferma del presidente della Regione, l’assessore al Turismo ha invitato tutti coloro che non ci credessero, a lasciare la poltrona.
La situazione ristagna, anche se l’estate rappresenta il momento migliore per schiarirsi le idee. Ma prima dei retroscena, vengono i fatti. Il più importante risale al 21 giugno, giorno della presentazione del libro di Giorgia Meloni alle Ciminiere di Catania. Musumeci si fa spazio in prima fila, ma viene accolto con freddezza. I cronisti ci provano, ma Meloni si limita ai convenevoli: “Siamo leali con il presidente della Regione e lavoriamo per concludere al meglio questa legislatura. Poi quello che accadrà è presto per dirlo”. Nessun progetto futuro, zero rassicurazioni. Niente di niente. Durante la presentazione Meloni rinfaccia a Musumeci di non averci creduto abbastanza: “Siamo nati dieci anni fa e per otto anni abbiamo fatto sacrifici enormi, rimanendo inchiodati al 3-4%. Io ho sempre detto che sarebbe stato più difficile arrivare al 5% che non al 15%. Non mi sbagliavo. In questi anni ho incontrato tanta gente che mi diceva ‘io mi sento rappresentata da te, ma non ti voto perché il vostro è un piccolo partito’”. Poi è cambiato il mondo.
Musumeci, fra l’altro, è stato l’artefice del grande rifiuto quando, a febbraio 2019, con la scusa del “partitino da 2-3%”, il congresso di Diventerà Bellissima cestinò la mozione di Raffaele Stancanelli – cofondatore del movimento – di aderire a Fratelli d’Italia. Sarebbe stato un ritorno alla casa del padre, ma Stancanelli, in modo giudicato irriguardoso, fu messo alla porta. Poi viene eletto a Bruxelles, senza il voto dei vecchi amici. Fratelli d’Italia sbanca le urne e i sondaggi, dato che nelle ultime rilevazioni risulta addirittura il primo partito del centrodestra. Anche per questo è tornato a fare gola. A due mesi dal gelo di Meloni, nel giorno di Ferragosto Musumeci rilascia un’intervista a ‘La Sicilia’ di Catania dopo aver ricevuto un’imbeccata dal collaboratore storico, Carmelo Briguglio, che lo invitava a tornare a Itaca giacché “chi, nella nostra contemporaneità, esprime la cultura politica più prossima che discende da quella che fu la tua, quella che viene dalla tua storia, è Giorgia Meloni”.
Il governatore ci pensa, si rigira i pollici qualche giorno, e getta l’amo in mare aperto: “L’ho detto di persona a Giorgia Meloni: non avrei mai creduto a una così rilevante crescita del suo partito. Ero convinto che la comunità della destra, dopo la fine di Alleanza Nazionale, sarebbe rimasta divisa e polverizzata sotto varie sigle. Giorgia è stata brava ad aggregare, bisogna dargliene atto. E’ evidente che al nostro congresso del febbraio 2019 mi sono limitato a dare l’oggettivo dato percentuale di quel momento. Quanto al futuro, la politica è l’arte del possibile…”. Diventerà Bellissima, che a parole dice da tempo di volersi federare con qualcuno per evitare di rimanere “nessuno”, ha individuato la preda. E dal meeting di CL – ecco perché c’entra anche Rimini – Musumeci ha lanciato un altro sms: “L’unità del centrodestra – ha detto – è l’unica garanzia per affrontare con credibilità e vincere anche le battaglie più difficili. Non vorrei che il gruppo unico senza Fratelli d’Italia rappresenti un ostacolo a questo obiettivo consolidato negli anni”. Una risposta a chi gli chiedeva dei flirt continui fra Salvini e Berlusconi, e dell’opportunità di creare del centrodestra una lista unica per le prossime Politiche.
Musumeci, in cuor suo, sembra aver scelto da che parte stare. La conferma di Manlio Messina in giunta, nonostante le ripetute gaffe intrise di volgarità, può essere interpretata come un gesto di rispetto nei confronti della Meloni. E’ stato il cognato di lei, il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Francesco Lollobrigida, ad aver indicato il nome dell’assessore regionale al Turismo.
FdI però è anche altro. E’ presidio di buonsenso, di compostezza e di moderazione – in senso letterale, e in parte anche politico – laddove intervengono personaggi del calibro di Raffaele Stancanelli. L’ex sindaco di Catania, spumeggiante alle Europee del 2019, si è guadagnato un posto a Bruxelles e osserva con attenzione le vicende siciliane. Non è un mistero che i rapporti con Musumeci si siano consumati da tempo, ed è altrettanto chiaro che l’ex senatore ha voglia di far trascorrere i mesi per valutare il lavoro fatto dal presidente della Regione, prima di arrivare a concordare con gli alleati se è il caso, o meno, di ricandidarlo. Poi c’è Salvo Pogliese, attuale sindaco di Catania, il cui nome (forse) è stato bruciato troppo presto. Poteva essere una valida alternativa, ma il processo sulle spese pazze all’Ars, che per un periodo ne provocò la sospensione da primo cittadino, lo ha debilitato in partenza. Ma non è soltanto una questione di nomi. E’ anche una questione di metodo. Tocca a Giorgia Meloni imporne uno: se dare spazio a una destra perbene, fatta di persone valenti e degne rappresentanti delle istituzioni; o ridare fiato a vecchi balilla che difficilmente, in una terra come la Sicilia, arriverebbero a bucare lo schermo.
Insieme alle altre c’è la questione Musumeci, persona perbene e presidente onesto. Con evidenti limiti amministrativi. Il ritorno a Itaca per il momento è impervio. Troppi i mugugni attorno al suo operato, ed evidenti i rancori seminati lungo il percorso. Un colpo di spugna avrebbe del clamoroso. E, obiettivamente, renderebbe legittimi tutti gli interrogativi. Perché la Lega, nonostante i tentativi ripetuti di federazione, ha scelto di puntare su altri cavalli (che non sono quelli di Ambelia), e Fratelli d’Italia, che si gioca il primato con Salvini nell’Isola, dovrebbe affidarsi a un presidente incapace di fare le riforme, di garantire la tenuta dei conti e che ha gestito l’emergenza sanitaria balbettando?
Resta un ultimo fatto da considerare. La Sicilia, che di solito fa eccezione su molte cose, questa volta non potrà tirarsi indietro da ragionamenti di carattere nazionale. I discorsi sul futuro governatore non potranno non passare da Roma, da un’intesa fra Salvini, Meloni e Berlusconi. Da un riequilibrio di poltrone, come previsto dall’Abc della politica. Da una forma di “compensazione” rispetto ad altri impegni assunti altrove (la Calabria). La Lega, in quest’ottica, potrà fare certamente da mazziere. Mentre a Musumeci, col suo movimento regionalista e riconosciuto solo in parte, non resta che scalciare. Ecco perché il governatore si è messo alla ricerca di una password per accedere al sistema.