Che ci fossero dei problemi era intuibile dalla tempistica, assai lunga, per addivenire al giudizio di parifica. Ma ora la Corte dei Conti ha messo tutto nero su bianco e la prospettiva è da brividi: i magistrati, infatti, contestano a palazzo d’Orleans spese irregolari per oltre un miliardo di euro. Se così fosse, bisognerebbe ripianare tutto con una Finanziaria lacrime e sangue, all’inizio del prossimo anno. Schifani già trema, ma questa lezione forse gli tornerà utile per non dare più ascolto ai consigli di Armao e di tutti coloro che vorrebbero imporre al nuovo governo la buona pratica della “continuità amministrativa”: sotto il profilo contabile sarebbe un autentico boomerang.
Ma andiamo per gradi: in attesa dell’insediamento del nuovo governo, nel mirino dei giudici è finita ancora una volta la condotta dell’ex assessore all’Economia. Nei confronti del quale, con una relazione di circa 600 pagine, sono mosse due contestazioni di rilievo: la prima è di aver accantonato, nel rendiconto 2020, una cifra nettamente inferiore rispetto a quella richiesta dalla spalmatura del disavanzo con lo Stato da 1,3 miliardi. Ma perché Armao avrebbe operato in questo modo? In funzione – è la risposta – di un accordo di finanza pubblica sottoscritto a gennaio 2021, l’anno dopo, che avrebbe garantito alla Regione la possibilità di poter rateizzare quell’enorme malloppo in dieci anni anziché in tre, come accade solitamente. I magistrati, però, sostengono che in base alle leggi in vigore al momento dell’approvazione del bilancio, la Regione doveva accantonare 866 milioni in più. Soldi che invece vennero utilizzati (impropriamente) per la spesa corrente. “In forza del principio del “tempus regit actum”, il ripiano decennale non avrebbe potuto trovare applicazione negli esercizi 2019 e 2020, essendosi effettivamente concretizzate solo nel 2021 le condizioni necessarie per fruire dell’agevolazione”, si legge nella relazione dei magistrati, riportata dal Giornale di Sicilia.
Peraltro la Corte ha proposto di impugnare di fronte alla Consulta l’intero accordo di finanza pubblica del gennaio ‘21, sottoscritto da Musumeci con l’ex premier Giuseppe Conte, perché creerebbe disparità di trattamento con altre regioni che sono costrette a tappare i buchi in tre anni anziché in dieci. Se fosse accolta la proposta, verrebbero meno anche i bilanci di previsione successivi, dove le quote di disavanzo accantonate risulterebbero inferiori ai dettami. Le soluzioni normativa adottate, secondo i magistrati, “manifestano l’ulteriore tendenza all’ampliamento della capacità di spesa e alla deresponsabilizzazione sugli assetti degli equilibri finanziari”. Un caos contabile senza precedenti, imputabile – politicamente – a chi c’era prima. In assenza di Armao, che candidatosi col Terzo polo ha abbandonato mestamente la scena, l’incombenza resta in mano al ragioniere generale, Ignazio Tozzo, che prova a buttare acqua sul fuoco: “Cercheremo di dimostrare la correttezza della nostra azione. Ci siamo mossi sulla base di norme”. La Regione ha tempo fino a metà novembre per presentare le controdeduzioni: Schifani ha chiesto che si acceleri per evitare il precipizio.
La seconda contestazione mossa dai magistrati riguarda, invece, una spesa da 161 milioni per il finanziamento delle autolinee pubbliche e private in forza di una legge poi dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale. E’ un faldone di cui si sta già occupando il Dipartimento infrastrutture e che punta a dimostrare l’adesione ai regolamenti comunitari. In ogni caso, anche l’esperienza del nuovo governo – senza che si sia ancora insediato – parte sotto una cattiva stella. La gestione contabile dell’ente, negli ultimi anni, ha palesato parecchi vulnus che la Corte dei Conti ha evidenziato. E che hanno finito per condizionare anche l’iter delle Leggi di Bilancio e Stabilità: la Regione, per cinque anni di fila, non è riuscita ad approvarle entro la scadenza del 31 dicembre, e ha finito per affidarsi sempre all’esercizio provvisorio (con la spesa in dodicesimi e vincolata alle poste dell’anno precedente). Quest’anno, addirittura, per quattro mesi. In un paio di occasioni, inoltre, è precipitata in “gestione provvisoria”: cioè la fase in cui la spesa è bloccata del tutto, e si può provvedere soltanto al pagamento degli stipendi dei dipendenti regionali, e alle bollette della luce.
Non bisogna essere dei tecnici per capire che la situazione si è spesso rivelata al limite e che a risentirne, specie negli anni della pandemia, sono stati lavoratori e imprese che vedevano nel tesoretto di Mamma Regione una delle poche fonti di speranza per non sprofondare. Tutti, invece, ricorderanno i prodigi della Finanziaria di guerra (anno 2020), in cui la stragrande maggioranza delle misure fu sbloccata a distanza di mesi o anni. Alcune, invece, finirono per naufragare perché legate a un meccanismo di rimodulazione della spesa (i famosi fondi Poc) troppo complicato. Insomma: la Regione siciliana non è mai riuscita a sopperire con tempismo al grido di dolore dei suoi figli.
Ma torniamo alla parifica: un meccanismo che permette di cogliere le anomalie del bilancio – i buchi, gli errori – allo scopo di “sanare” i conti ed equilibrare entrate e uscite. Nel 2021 si è deciso di non attendere la pronuncia dei magistrati contabili, e di accantonare una quota per la copertura di eventuali buchi. Per la Legge era legittimo, anche se la presidente facente funzioni della sezione di Controllo della Corte dei Conti, Anna Luisa Carra, aveva sventolato il cartellino giallo: “Le norme – aveva detto durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario – prevedono che il rendiconto sia approvato per portare i saldi e i disavanzi. Ovviamente il legislatore può approvare quel che vuole. Certo è che in mancanza di un rendiconto il disavanzo è presunto e quindi il bilancio di previsione del 2021 si fonda su dati che non hanno certezza”.
Come se non bastasse, il tira e molla sul rendiconto 2019 proseguì. Ottenuto il giudizio di parifica (in ritardo e pieno di rilievi), l’assessorato all’Economia apportò le correzioni richieste, senza però attendere l’esito del ricorso presentato dal pm Pino Zingale (e legato a un supplemento d’indagine romana). E così il rendiconto aggiornato, alla fine di settembre, fu trasferito all’Assemblea regionale per il voto conclusivo. Nonostante l’ennesima diffida, questa volta proveniente dai vice procuratori generali Adelisa Corsetti e Sabrina D’Alesio che segnalavano “l’intento dell’amministrazione regionale a perfezionare il procedimento legislativo regionale senza attendere la pronuncia di codesto Supremo Consesso. La Procura generale evidenzia che l’eventuale approvazione del rendiconto regionale nelle more della decisione sul ricorso proposto darebbe luogo a un vulnus di tutela delle ragioni sottostanti alla proposizione del gravame”. Ma la partita è andata avanti. Peggio: non è mai terminata. Tant’è che sulla testa di Schifani pendono due rendiconti “sospetti”, e non uno soltanto.
A oltre un anno di distanza, però, la situazione è diversa: non c’è la parifica (arriverà a dicembre), ma nemmeno il governo. Il nuovo assessore all’Economia, per il quale non esiste un chiaro identikit da parte del governatore, avrà l’onere di rimettere mano ai conti e di curare le ferite (economiche e istituzionali) del passato. E di scrivere una Finanziaria che sia basata sulle effettive esigenze delle casse regionali, oltre che dei cittadini, tralasciando formule e alchimie varie. Negli ultimi tempi, ad esempio, Armao aveva sperimentato il congelamento delle risorse in attesa di sbloccare gli accordi di finanza pubblica con lo Stato. I soldi erano appostati, ma non si potevano spendere fino al pronunciamento di Roma. Un modo utile per confezionare manovre incerte, scritte sulla sabbia.
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Le Operette Immorali
(di G. Sottile)
Non ha ancora finito di devastare la Sicilia
I lettori di Buttanissima conoscono bene Gaetano Armao, l’uomo politico dei bluff e delle imposture, l’assessore dei bilanci farlocchi, il cucchiaio di tutti gli scandali e di tutte le minestre maleodoranti. Con le sue scempiaggini e le sue piritollagini ha trascinato la Regione oltre il baratro, alle soglie del default. Danni inestimabili, secondo la Corte dei Conti: mancano all’appello un miliardo di euro. Una mazzata sul collo del neo presidente, Renato Schifani, brutalmente azzoppato già prima di partire. Ma come in tutte le tragedie siciliane, il disastro si accompagna sempre alla farsa, all’assurdo, al paradosso. Armao, che per cinque anni è stato il sovrastante dell’inutile Musumeci, il 26 settembre si è subito riciclato ed è diventato il più influente consigliere di Schifani. Ci apparecchierà altre sventure.