Immaginate di trovarvi in uno dei night club più famosi al mondo, fatto di tavolini, di luci soffuse, di una piccola pista da ballo e dell’immancabile nuvola di fumo di sigarette.
Immaginate di essere al Cotton Club di New York o a Kansas City, regni indiscussi di Duke Ellington e di Count Basie.
E ora immaginate di sentire le note di “In the Still of the Night” di Cole Porter o di “Speak no Evil” di Wayne Shorter.
E’ questo il mondo in cui ci ha condotto venerdì sera Kurt Elling, ospite d’eccezione al Real Teatro Santa Cecilia, per il primo dei concerti che ha inaugurato la stagione della Fondazione The Brass Group.
Considerato il vocalist maschile più clamoroso del nostro tempo, grazie anche alle sue indiscusse doti comunicative e alla grande estensione vocale, nella sua formazione hanno avuto particolare influenza Mark Murphy, Jon Hendricks e Tony Bennett e nessun cantante di jazz è stato così audace, stuzzicante e intrigante come il cantante statunitense, per molti il vero erede del grande Frank Sinatra.
Vincitore lo scorso marzo del suo secondo Grammy Award per il disco “Secrets Are The Best Stories”, questo premio lo consacra come uno dei più autorevoli cantanti jazz del mondo e non a caso si è ormai imposto come personalità preminente nel panorama jazzistico contemporaneo vincendo anche l’importante sondaggio della critica internazionale “Down Beat”. Nominato otto volte “Male Singer of the Year” dalla Jazz Journalists Associations, il Washington Post ha scritto che Kurt Elling “con i suoi voli vocali svettanti, i suoi testi taglienti e il senso di essere in missione musicale, è venuto per incarnare lo spirito creativo nel jazz”.
Questo chanter de charme con il suo “I Have Dreamed” tour, ha regalato novanta minuti di leggerezza, di gaieté e di necessaria evasione in due serate in cui il bel canto si è fuso con il jazz e in cui evidente è stata la sua naturale padronanza del palcoscenico.
Albert Camus in una delle sue poesie più belle scrive: “Nel bel mezzo dell’inverno, ho scoperto che vi era in me un’invincibile estate. E che ciò mi rende felice. Perché afferma che non importa quanto duramente il mondo vada contro di me, in me c’è qualcosa di più forte, qualcosa di migliore che mi spinge subito indietro”.
Questi versi che ci insegnano a cercare l’estate nonostante l’inverno, che ci suggeriscono di inseguire la bellezza e la joie de vivre al di là delle preoccupazioni e degli affanni delle nostre quotidiane e talvolta ordinarie esistenze, ci invitano soprattutto a tornare indietro, ai giorni felici, ai momenti lieti e alle ore spensierate, come quelle che Kurt Elling ha saputo regalarci con il suo swing fatto di toni caldi e confidenziali, di ritmi lenti e leggeri.
Proficua e preziosa durante le due serate è stata l’intesa fra l’Orchestra Jazz Siciliana e il crooner di Chicago, collaborazione sfociata in due serate entrambe sold out, che hanno proposto un programma di composizioni jazz originali e standard, tutte modernamente arrangiate. Brani intramontabili che non passano mai di moda, grazie anche alla bravura di chi li interpreta, come “I Like the Sunrise”, “Steppin’Out” e “I Can’t Give You Anything But Love”, o “You Are Too Beautiful” ,“Tutti For Cootie”, “Li’l Darlin’” e “Resolution”, caratterizzati da momenti di sorprendenti virtuosismi canori, accattivanti e veloci fraseggi e da un assoluto controllo della tecnica dello scat e del vocalese.
L’esecuzione dell’orchestra siciliana, sempre sapientemente guidata dal direttore Domenico Riina e sempre di notevole livello, si è dimostrata all’altezza di Elling, con valide e persuasive performances della sezione ritmica, in particolare quelle di Riccardo Randisi al pianoforte e di Paolo Vicari alla batteria, artefici di convincenti prestazioni che hanno avuto il compito di creare la base fondamentale per l’improvvisazione dei solisti.
Dopo aver faticosamente riconquistato la nostra libertà usciamo quindi a riveder le stelle e se vi piace il jazz, quest’anno non avrete che l’imbarazzo della scelta. Palermo sempre più in Jazz.