Ma guarda in quale gorgo l’ha trascinata quel pagnottista di Andrea Peria, il traballante sovrintendente dell’Orchestra Sinfonica, messo lì da Schifani in una vampata di amichettismo. Prima di approdare nell’infelicissima Palermo, Beatrice Venezi era una giovane direttrice d’orchestra che, per dare testimonianza della propria fede politica e raggiungere all’un tempo traguardi sempre più ambiziosi, ha accettato con piacere e molte utilità la nomina a consulente del ministro della cultura, Genny Sangiuliano. Ma, a parte qualche urlo sgradevole, proveniente dal loggione durante il concerto di Nizza – “fascista! fascista!” – la carriera della bella e fascinosa Beatrice scorreva liscia come l’olio di palma. Per lei c’erano solo applausi, onori, ponti d’oro e fette di paradiso: dalla moltiplicazione degli incarichi alla graffiante imitazione di Virginia Raffaele su Rai Uno, tutto si appalesava come una consacrazione dei suoi incontrastati e incontrastabili successi.
Il ruzzolone arriva quando Peria – nel disperato e goffo tentativo di puntellare la propria nomina; nomina sulla quale gli organi di controllo della Sinfonica hanno rilevato non poche criticità – la chiama al Politeama non per uno ma per due concerti. E, soprattutto, quando il vispo sovrintendente, per convogliare consensi politici sulla propria decisione, comincia a insalivare la figura della Venezi con una campagna di stampa e una piaggeria tale da farla paradossalmente apparire più carismatica di Leonard Bernstein, più autorevole di Arturo Toscanini, più ispirata di Herbert von Karajan, più passionale di Riccardo Muti. Un bluff, ovviamente. Un errore di grammatica. O, come usano dire i palermitani, una improvvida piritollata. Che, manco a dirlo, spinge Repubblica a farsi un giro tra gli orchestrali della Sinfonica e a chiedere un giudizio di merito sulla direzione della “divina”. Con la disastrosa conseguenza che le risposte gelano di colpo tutti i luoghi comuni, frantumano ogni aureola e diventano un martello pneumatico con il quale – fragorosamente, inesorabilmente – viene demolito il monumento costruito con tanto zelo e tanto incenso dal callido Peria.
“La direttrice d’orchestra ha solo complicato il nostro lavoro: sarebbe stato più facile suonare senza di lei”, esordisce Claudio Sardisco, flautista della Sinfonica da oltre 40 anni. “Dopo le prove d’orchestra abbiamo concordato con i colleghi di non guardarla in modo da riuscire a coordinarci tra noi, concentrandoci solo sull’ascolto reciproco: ce la siamo dovuta cavare da soli perché i gesti della Venezi non erano coerenti con l’esecuzione musicale”. E il violinista Luciano Saladino incalza: “Il problema è che la vedi da fuori e ti sembra brava, poi però lavorando ti accorgi che non è in grado di seguire l’orchestra. La spinta mediatica l’ha portata più in alto di quello che merita e mi ha dato fastidio che, in un programma ricco come quello della Sinfonica di quest’anno, sia stata presentata come se fosse Bernstein: un’offesa a chi questo mestiere lo fa con fatica, studio e devozione senza sottostare a logiche clientelari e a giochi di potere”. Ancora più severa Ivana Sparacio, anche lei violinista: “Chiunque venga a dirigerci merita la nostra professionalità, ma Venezi non rientra certo tra i direttori con cui mi possa vantare di avere lavorato. E’ un fenomeno mediatico, spettacolarizza la musica”.
Un tonfo inaspettato. Una improvvisa caduta dall’altare. L’inchiesta di Repubblica – così affilata, così tagliente – ha fatto il giro dei palazzi romani, dei teatri, delle fondazioni. E la Venezi immaginifica costruita da Peria come genio universale della musica classica, nel volgere di un pomeriggio, è quasi evaporata. Altro che meritocrazia. Le risposte acuminate degli orchestrali l’hanno ridotta al rango di “fenomeno mediatico”. O, peggio, di una “diva ministeriale” amata e corteggiata dall’amichettismo di governo e sottogoverno. Un brutto inciampo. La boria farfallonesca di un sovrintendente, infantile e inadeguato, ha finito per strappare il sipario. E sul boccascena del Politeama è apparsa una Beatrice Venezi purtroppo diversa dalla maschera che il ministro Sangiuliano, la premier Meloni e tutti i patrioti avevano indicato, fino all’altro ieri, come modello e simbolo di una nuova e immacolata egemonia culturale.
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Un capro espiatorio per salvare il baraccone
(di Giuseppe Sottile)
Beatrice Venezi è una giovane direttrice d’orchestra che forse dovrebbe prendere atto del fatto di non avere ancora raggiunto i livelli di Leonard Bernstein o di Herbert von Karajan. Lo stesso vale per Andrea Peria: il sovrintendente della Sinfonica ritiene di avere già le competenze per dirigere il Teatro Massimo dimenticando di essere un pagnottista nominato da Renato Schifani per i servizi resi durante la campagna elettorale. Dopo il concerto di sabato scorso, gli orchestrali della Sinfonica hanno detto che la Venezi non è proprio un genio della musica classica come Peria ha voluto far credere. Apriti cielo. E’ scattata la caccia al capro espiatorio. Cioè al flautista e ai violinisti che hanno raccontato la verità. Per salvare, va da sé, la faccia alla Venezi, a Peria, a Schifani e a tutto il baraccone del sottogoverno annidato tra i drappeggi del Politeama.