Se si accontentassero dei quindici minuti di celebrità che ad ognuno di noi, nell’arco della vita, prima o poi toccano, e subito dopo si trasferissero in Indonesia, non esisterebbe alcun problema. Ma questi figli di social media e della videocamera facile e non pensante, proprio non vogliono saperne.
Prendiamo Ismaele La Vardera, per esempio: un giovanotto tanto cinico quanto insulso che si è finto candidato alle comunali di Palermo per filmare l’ovvietà di una campagna elettorale in salsa siciliana – con tanto di folklore e di promesse elettorali ‘se ritiri la tua candidatura ti facciamo assessore’, oh my God che scandalo! – al fine di spacciarla tout court per mafia e corruzione agli sprovveduti del Trentino Alto Adige e della Valle D’Aosta che sono ancora fermi a Don Vito Corleone.
Una operazione da bassifondi della moralità: uno che truffa gli elettori e la città per farci un film – ‘Il Sindaco’- e pagarsi le bollette della luce e che, anziché essere preso a calci, viene ossequiato e riverito, in attesa della prima visione del suo film. Provincialismo becero alimentato da gente che non legge e che non vuole pensare.
A lui associo, per superficialità e frequentazione di luoghi comuni e politicamente corretto da supermarket, Pier Francesco Diliberto, in arte Pif, che di banalità e stereotipi siciliani è un cultore: ieri nella sceneggiata contro l’allora presidente della Regione Crocetta per difendere a favore di telecamera, ca va sans dire, i sacrosanti diritti dei disabili gravi e oggi per pontificare sulla sociologia mafiosa da serial tv in prima serata e non solo d’estate, purtroppo.
Cineasti del nulla che usano la Sicilia per tirare a campare. Un tempo i registi erano intellettuali. Leggevano libri, avevano delle cose da dire, le dicevano con arte, facevano pensare, vedevano oltre. Un tempo. Oggi non hanno alcun messaggio da affidarci se non le scorciatoie dei più vuoti luoghi comuni per fare cassetta.