All’Ars sono già maturi i tempi per lasciarsi alle spalle l’abbuffata delle mance, ormai note col nome di “marketing territoriale”, e tuffarsi in una nuova avventura: non si parla della sanità derelitta, che toglie il sonno a pazienti e lavoratori (del pubblico e del privato); bensì delle agognate province, per le quali il centrodestra è tornato a lottare in maniera strenua. Pur senza un appiglio normativo preciso. Alla coalizione non sta tanto a cuore il loro funzionamento ma, almeno in questa prima parte, l’elezione diretta dei loro rappresentanti. Poter contare su oltre 300 poltrone sarebbe un buon modo per dare riparo ai tanti “trombati” delle ultime Regionali, che non riescono a trovare posto neppure in un Cda di sottogoverno. E tornare a drenare preferenze alla macchina del consenso, che prima o poi si rimetterà in marcia.
Così è capitato che i rappresentanti dei partiti, ieri mattina, si ritrovassero a Palermo per provare a smussare gli angoli di Fratelli d’Italia, che – per bocca del suo enfant prodige, Gaetano Galvagno – non sembravano disposti a correre alcun rischio con la reintroduzione del suffragio universale, correndo il rischio di una impugnativa. Finché rimane in vigore la Legge Delrio, l’unico modo per rinnovare gli organi elettivi è affidarsi al voto di sindaci e consiglieri comunali (le cosiddette elezioni di secondo livello, che portano con sé parecchie insidie); ma per i patrioti non è appetibile nemmeno l’altra ipotesi, cioè ignorare le due sentenze della Corte Costituzionale che chiede di porre un freno alla proroga dei commissari – giudicati “illegittimi” – che da oltre dodici anni imperversano negli enti d’area vasta.
Sembra un giochino disperato, utile a ingannare il tempo (o la noia?) nelle more della prossima emergenza, o della prima riforma utile (giacché l’Assemblea, al netto della sessione di bilancio, non ne ha scritta una). Dicevamo di Fratelli d’Italia: all’appuntamento di ieri c’erano i soliti due segretari (Pogliese e Cannella) che pare si siano allineati alle posizioni dominanti (dei Cuffaro e dei Lombardo). Nel corso dell’incontro, infatti, è stata ribadita “la volontà comune di lavorare in modo unitario per superare ogni ostacolo di natura normativa, burocratica e attuativa legato alla riforma delle Province e per l’elezione diretta dei Presidenti, ritenute scelte strategiche per rafforzare la partecipazione democratica e garantire una rappresentanza effettiva dei cittadini”.
Superare, non “scavalcare”: è già un passo avanti. Anche se oltre alla proiezione, non resta nulla. “La Sicilia – prosegue la nota, firmata anche da Forza Italia e Lega – ha bisogno di istituzioni locali forti e operative, in grado di rispondere concretamente alle esigenze delle comunità. Per questo riteniamo che sia utile dotare la macchina amministrativa di strumenti di governo e indirizzo politico eletti direttamente dai cittadini e capaci di assicurare l’indispensabile legame con le comunità amministrate. L’obiettivo è quindi quello di proseguire nel percorso legislativo già intrapreso, lavorando per superare le attuali criticità e poter così restituire alle Province un ruolo centrale nella gestione dei servizi e nello sviluppo territoriale”. Non è ancora chiaro il “come”, anche se – insistiamo – l’unico orizzonte della politica, all’inizio di questo 2025, non può essere la restaurazione dello status quo.
Dei tanti problemi sul tavolo, a partire dalla sanità, l’aula del parlamento non ne ha affrontato uno. Questa settimana a palazzo dei Normanni si è tornata a discutere la riforma della dirigenza, per l’introduzione di una fascia unica dirigenziale (anche se i sindacati ne preferirebbero almeno un paio). Mentre il dibattito là fuori è rovente: sia per il caos nei Pronto soccorso, con le barelle stipate nei corridoi e i pazienti che vanno incontro alla morte; che per la crisi delle strutture convenzionate, debilitate dal nomenclatore Schillaci e sotto ricatto dell’assessorato alla Salute, che “minaccia” di revocare l’accreditamento qualora laboratori d’analisi e ambulatori non garantiscano le prestazioni sottocosto (sulla scorta di un tariffario aggiornato senza alcun raziocinio) e proseguano nello stato d’agitazione.
Sono temi “caldi”, che hanno a che fare con la vita delle persone. Ma da cui i partiti, con una spocchia che si fatica a comprendere, rimangono alla larga. Se prima c’era l’ossessione delle mance, e s’è fatto il possibile e l’impossibile per garantirsi un maxi emendamento con 1.200 voci di spesa (nonostante gli scandali arretrati) nell’ultima Legge Finanziaria, adesso sono tornate di moda le province. Una sorta di assicurazione sulla vita della “casta” che – a parte Schifani – non ha battuto ciglio nemmeno di fronte al tentativo di due assessorati (l’Economia e la Salute) di stabilizzare nei propri uffici il personale in “comando” da altri enti (con parenti illustri nei piani alti della burocrazia).
E’ in questo esempio spicciolo, dichiaratamente populista, o nei frequenti tentativi di beffare la Consulta e prorogare i commissariamenti negli enti intermedi (già 18 i rinvii), che si nasconde la cecità di una classe politica che non sembra avere molto a cuore il benessere della Sicilia. L’unico scopo sembra la conservazione della specie. La propria.