A Piazza Indipendenza, dalle parti di Palazzo d’Orleans, c’è un’ampia richiesta di fondi comunitari da rimodulare. Cioè di risorse extraregionali a cui cambiare destinazione d’uso, che finiscono per finanziare la spesa corrente piuttosto che gli investimenti. E’ accaduto in questi giorni: il presidente Renato Schifani ha deciso di assegnare, per via amministrativa, 365 milioni alle imprese (spetterà ai vari dipartimenti produrre i relativi Avvisi pubblici) per fronteggiare il caro bollette. Si tratta di risorse recuperate dalla riprogrammazione del Piano sviluppo e coesione (Psc) 2014-2020, anche in considerazione della scadenza del 31 dicembre 2022 per l’assunzione di alcuni adempimenti che avrebbe potuto determinare la potenziale perdita dei fondi.

E’ proprio questo il punto: la Regione siciliana, troppo spesso, vanifica i progetti per cui è riuscita a ottenere i finanziamenti. E’ avvenuto di recente con il Pnrr: il Ministero delle Politiche agricole, nel 2021, bocciò tutti e 31 i progetti presentati dai Consorzi di bonifica siciliani per la realizzazione di infrastrutture irrigue perché non riuscivano a soddisfare uno o più dei 23 criteri di ammissibilità. Uno stop che portò via dalla disponibilità di una Regione sempre più arida (di acqua e di opere pubbliche) la bellezza di 423 milioni di euro. Puff, svaniti. La scadenza del 2026, prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (che il governo Meloni vorrebbe ritoccare) costituisce per la Sicilia una spada di Damocle. Spesso gli enti locali – non solo la Regione – non sono in grado di completare l’istruttoria. Mancano i profili tecnici adeguati e, nel caso della Regione, non basterà l’entrata in servizio dei cento vincitori del concorso sul ricambio generazionale.

Un’altra brusca frenata, annunciata dal Ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, riguarda il bando da 96 milioni, sempre a valere sul Pnrr, per le aree interne: “Le risorse sono state ripartite tra 17 Regioni. Sicilia e Basilicata non hanno presentato alcuna richiesta di finanziamento”. L’affermazione lascia di stucco. Alla scadenza dei termini, lo scorso 2 novembre, Schifani si stava arrovellando per comporre una task force utile a supportare e coadiuvare i dipartimenti regionali nella programmazione e nella spesa dei fondi per l’emergenza. Ma nel frattempo, sotto il naso dei nostri governanti, passava un’occasione unica per “promuovere iniziative volte a sostenere, realizzare e promuovere politiche a favore della montagna, incluse misure di prevenzione del dissesto idrogeologico”. Alla Sicilia era stata destinata una quota da 7,2 milioni. Sfumati. Poco o nulla rispetto agli oltre 400 milioni delle opere irrigue, ma ciò non toglie che si tratta dell’ennesima occasione persa. Di un segnale di profonda inefficienza che quella task force – oggi costituita e retta dal segretario generale Maria Mattarella – dovrà cercare di contrastare in ogni modo.

Non c’è, ovviamente, soltanto il Pnrr. La relazione della Corte dei Conti sul rendiconto 2020 della Regione siciliana – al netto della sospensione del giudizio di parifica – offre uno spaccato della gestione dei fondi comunitari da parte di Palazzo d’Orleans. Ad esempio, all’interno del ciclo di programmazione 2014-20, sono abortiti un paio di cosiddetti ‘grandi progetti’, ricadenti entrambi nell’Asse 7 (sistemi di trasporto sostenibili) del PO Fesr (piano operativo per lo sviluppo regionale): sono stati esclusi “a causa dei gravi ritardi nella fase di avvio”. Per l’interporto di Termini Imerese, il primo dei due, “la realizzazione è stata spostata al prossimo ciclo di programmazione, per via di ritardi nell’attività di progettazione delle opere” (di competenza della Società interporti siciliani, una partecipata regionale) “e della ritenuta necessità di una propedeutica attività di verifica dell’interesse dei privati al cofinanziamento ed alla successiva gestione dell’opera, posto il considerevole contributo a carico dei medesimi soggetti privati, stimato in circa 40 milioni di euro”.

Mentre la tratta ferroviaria Ogliastrillo-Castelbuono, nel Palermitano, è stata esclusa perché i lavori sono partiti in ritardo (a causa di un contenzioso con le amministrazioni locali) e non si sarebbero potuti completare entro la scadenza improrogabile del 31 dicembre 2023. L’intervento non sarà riproposto sul successivo ciclo di programmazione 2021-2027, in quanto già finanziato con risorse nazionali. Le risorse previste per l’intervento di ammodernamento della rete ferroviaria, invece, sono state riprogrammate – ma che novità – “su ulteriori interventi di competenza di RFI, nonché sul rinnovo del materiale rotabile che ha portato all’acquisto di 25 treni pop”.

Ma nella gestione dei fondi comunitari da parte della Regione siciliana, la magistratura contabile fa emergere altre pecche. Ad esempio sulla capacità di certificazione dei 400 milioni di euro destinati all’emergenza Covid: gli esiti dell’attività istruttoria hanno appurato che solo metà della cifra (216 milioni) ha completato l’iter di validazione presso l’UE. “In sede di audizione è emerso, altresì, che gli importi ad oggi non certificati” verranno persi “ove non si riuscisse a portare a certificazione la somma mancante nel termine utile ai fini dell’eleggibilità della spesa del PO (31 dicembre 2023), ovvero, non si riuscisse ad operare, nello stesso termine, un’ulteriore riprogrammazione”.

I magistrati della Corte dei Conti, poi, fanno emergere una ulteriore criticità – sempre a valere sul PO Fesr – “relativamente all’assenza di spesa certificata, per le azioni dell’Asse 10, introdotte in sede di riprogrammazione. In particolare, non risulta certificata spesa per 2 milioni di euro, relativamente a interventi infrastrutturali per l’innovazione tecnologica; per 43 milioni di euro, relativamente al potenziamento delle sedi didattiche di scuole statali ed università e quelle relative al contrasto alla dispersione scolastica e all’inclusione di soggetti svantaggiati, al miglioramento dei servizi scolastici anche per il tramite della fornitura di strumenti per favorire la didattica a distanza per le fasce deboli della popolazione; per 15 milioni di euro per l’acquisto di materiale per la didattica a distanza”.

Infine, anche per l’annualità 2020, grava sulla Regione “il permanente e risalente ritardo nell’approvazione del piano di gestione rifiuti”, come emerge dalla requisitoria della procura della Corte dei Conti. Il risultato di questa negligenza è che “non è stata superata la sospensione dei pagamenti UE per il mancato soddisfacimento della condizionalità ex ante 6.2 relativa alla promozione, nel settore dei rifiuti, di investimenti economicamente ed ecologicamente sostenibili attraverso la definizione di piani di gestione dei rifiuti conformi” alla direttiva comunitaria. Di conseguenza “non sono state avviate alcune misure a cura del Dipartimento regionale Acqua e Rifiuti per 74,8 milioni di euro programmati”. Va meglio per gli altri programmi operativi, ma ciò non toglie che le occasioni perse non si recuperano e che il malloppo dell’Europa, proprio perché ‘a gratis’, andrebbe gestito come farebbe il buon padre di famiglia, evitando di disperderlo in operazioni di dubbia utilità collettiva. Ed evitando di far tornare indietro un solo euro. Solo la cura dei dettagli, promossa da una politica attenta e condotta da una burocrazia all’avanguardia, avrebbe permesso al precedente governo di lasciare la Sicilia con tutte le carte in regola.