L’ha chiamata scelta “dolorosa”. E a colpi di cronaca se ne capisce il perché: dopo quasi due anni di governo, Raffaele Fitto si è dimostrato per Giorgia Meloni il ministro più normale – al di là dei meriti – della compagine di FdI. Un unicum, quasi noioso. Sicché farne a meno, per Meloni, sarà “un dolore”. Era un panda. Finora le interviste del futuro commissario europeo si sono contate sulle dita di una mano. Così come le dichiarazioni spettinate alla prima telecamera che passa o la voglia di ribalta (basti pensare al tour nelle regioni per firmare i patti per i fondi di coesione: Fitto sempre dietro, la premier sempre sul palco). Per non parlare di gaffe (Lollobrigida), di pasticci (Sangiuliano), di inchieste (Santanchè e Del Mastro) o dell’uso a volte un po’ disinvolto dei social network (Crosetto). O peggio, della poca esperienza di governo pagata alla prova dei fatti (è il caso di Ciriani ma anche di Musumeci, non molto incisivo).
Al contrario il quasi ex ministro del Pnrr è stato l’unico, o quasi, che ha saputo indossare la cravatta che la premier regalò a tutti i parlamentari all’inizio della legislatura (alle donne donò un foulard). Quel gentile pensiero fu un modo per dire loro: ragazze e ragazzi, si apre una nuova fase, adesso siete istituzioni e vi trovate dall’altra parte. Invece boom: tipo il colpo partito dalla pistola dell’onorevole Emanuele Pozzolo a Capodanno. Di questo – della realtà di cui è circondata – Meloni non si dà pace. Di come cioè ministri, sottosegretari, dirigenti apicali, deputati e senatori scivolino troppo spesso su bucce di banana incredibili, poco consapevoli del posto dove si trovano. Un misto di hybris e provincialismo, dilettantismo e ansia da prestazione. Continua su ilfoglio.it