Non ricominciare di nuovo con questo discorso che Ci hai creati e non sappiamo essere felici, Padre ti prego. Tu lo sai io ti stimo profondamente però sulla felicità che ci hai concesso nutro svariati dubbi.-
-Non è la felicità che vi ho concesso figliola, è solo la capacità di raggiungerla che vi è stata concessa ma non riuscite a farne buon uso.-
-Padre, dissento. Io la vivo male questa conversazione perché devo ammettere che io per prima l’ho vista sempre come un… sì, insomma, come un tranello.-
-Ma cosa dici figliola mia, non hai compreso-
-No davvero. Ascolta Padre, sai che c’è, detto fra me e Te? Questa felicità è più impegnativa e dolorosa della tristezza. Non guardarmi così, dico sul serio. La tristezza, quando la provi, sta lì stanca, accovacciata, comoda come un maglione di lana vecchio; ti dondola, si autoalimenta, non hai neanche bisogno di coltivarla la tristezza, lei, si auto nutre. Tu non vivi, trascorri. Stai lì, molli gli ormeggi, le mani abbandonano la presa, il corpo si lascia un po’ morire e “sia quel che sia” no? Ti si assolve un po’ da ogni responsabilità quando sei afflitto. Godi persino di una qualsivoglia giustificazione sociale del tuo non vivere.
La felicità no. La felicità è come sospesa. Quando è tanta, tocca quasi punti di dolore. Perdi il governo di te, il tuo corpo è sempre contratto, quasi a non farla finire; sempre allerta a che niente te la porti via. La felicità, Padre, è come la bellezza, è esigente. Abbisogna di manutenzione continua, va alimentata e custodita. Mai la bellezza riceve perdono quando sbiadisce, come riceve compassione colui che diventa triste. La bellezza, come la felicità, caro Padre mio, subisce invidie e livori. Come la bellezza, chi è felice è spesso solo. Devi avere mani forti che la tengano stretta. Non puoi metterti comodo come nel dolore, Padre, è stancante mantenersi felici.