La coalizione di centrodestra sembra essersi ridotta a un intrigante salotto televisivo. Dopo la maretta di Palermo, in cui il primo vertice per le Amministrative (azzoppato dall’assenza di Cuffaro e Romano) è stato rimbalzato da un sito all’altro prima di far cadere la scelta sull’hotel Politeama, l’ultimo cruciale retroscena della politica siciliana è l’invito di Nello Musumeci alla kermesse di Forza Italia, scattata ieri in un altro hotel, il Mahara di Mazara del Vallo. Senza il governatore però, ch’era impegnato a fare altro. Eppure il padrone di casa, Gianfranco Micciché, ci ha tenuto a mettere i puntini sulle ‘i’: “E’ stato lui – ha detto il coordinatore di Forza Italia, riferendosi a Musumeci – a chiederci di essere presente attraverso il suo assessore alla Sanità. Il signor Razza ci ha pregato di invitare il presidente. Avrà chiamato almeno sei volte il nostro assessore Toni Scilla, chiedendogli un coinvolgimento di Musumeci. Non appena abbiamo fatto sapere al presidente che sarebbe stata gradita la sua presenza, ci ha informati attraverso i suoi collaboratori che non sarebbe stato possibile nella giornata prevista (cioè ieri, ndr). Non possiamo farci dettare i tempi da Musumeci”.
Così è saltato il tavolo più atteso di questa tre giorni: ovvero il confronto con gli altri leader del centrodestra. Che sarebbe suonato – più o meno – come una tregua armata in attesa degli appuntamenti che contano: la scelta dei candidati per le Amministrative e le prossime Regionali. Ma, come detto, la coalizione di governo, che vanta quattro anni di vacatio alla voce “leader” (Musumeci ha fatto il presidente della Regione e non ci si è potuto dedicare abbastanza), è alle prese con un clima ostico e di reciproco sospetto che obbliga a individuare, di volta in volta, il luogo più adeguato per non mettere in imbarazzo i convitati. Ammesso che ci vadano. Prova ne è il primo appuntamento, sponsorizzato dalla Lega e a un certo punto divenuto appannaggio dello stesso Micciché, per decidere sulle sorti di Palermo. E cominciare a scremare il gruppo dei pretendenti alla poltrona di Orlando.
Ricordate come andò? Il primo a mettere le mani avanti, intestandosi il merito di quella reunion, fu il salviniano Vincenzo Figuccia, che “dopo aver passato notti insonni e su indicazione del segretario regionale Nino Minardo” decise di “chiamare tutti i partiti, perché Palermo chiede di essere liberata”. Il vertice, per tutta risposta, fu organizzato da Gianfranco Miccichè per venerdì 5 novembre all’Ars. Ma salterà alla vigilia: sarebbe sbagliato – fu il ragionamento – invitare i commensali a palazzo dei Normanni, a casa del presidente (che per uno strano scherzo del destino è anche il leader di Forza Italia in Sicilia). Così la paternità del summit tornò in mano alla Lega, che sponsorizzò l’appuntamento – fatto slittare al lunedì successivo – in casa propria: nella sede di via Garzilli. Macché scherzate? “Siccome non c’è un regista, e gli inviti ce li facciamo tra di noi, non può esistere un padrone di casa”, tuonò Romano a Buttanissima, proprio nelle ore in cui si decise di spostare questa benedetta riunione in campo neutro: all’hotel Politeama di Palermo, casa di tutti e di nessuno. Ma il trasferimento non servì ai maggiorenti della coalizione per estendere l’invito – aridaje – all’altro commensale storico: Totò Cuffaro. Così rimase fuori anche Romano. Ci sarà – forse – una prossima volta.
Gli ospiti portano sempre da bere. Lo avrà pensato un intenditore come Gianfranco Micciché, lo scorso 26 giugno, recandosi all’appuntamento del governo regionale allo Spasimo di Palermo: fu l’unico rappresentante di partito ad aderire all’invito di Nello Musumeci (non mancò la tiratina d’orecchie), ma disse di averlo fatto nelle vesti di presidente dell’Assemblea. Una scusa buona per tutte le stagioni. Degli altri partiti, invece, non si vide nessuno. Tranne gli assessori, tenuti a partecipare. Succederà la stessa – c’è da scommetterci – sabato prossimo, all’appuntamento organizzato, questa volta, da Diventerà Bellissima, alle Ciminiere di Catania, per celebrare (festeggiare sarebbe un po’ troppo) i primi quattro anni di governo. Nel frattempo ci sono state altre occasioni. L’unico a riunire quasi tutti, con l’assemblea di Sicilia Vera all’hotel Diodoro di Taormina, fu l’irredimibile Cateno De Luca. L’invito fu esteso a tutti i leader di partito: aderirono, infatti, anche i massimi rappresentanti di Pd e Cinque Stelle (cioè Barbagallo e Cancelleri), ma non il presidente della Regione che, pure, era stato provocatoriamente interpellato assieme a un paio dei suoi assessori. “Ma gli assessori hanno il diktat di non venire”, disse Scateno, annunciando la sua discesa in campo come “sindaco di Sicilia”.
In questo clima capriccioso e da soap opera torna in mente un’altra manifestazione di inizio estate, anche quella volta a Taormina, organizzata da Raffaele Stancanelli, europarlamentare di Fratelli d’Italia che da un po’ di anni è ai ferri corti con Musumeci. Un appuntamento sulle Infrastrutture da cui lo stesso Musumeci fu escluso (a farne le veci fu l’attuale portavoce di Diventerà Bellissima, Giusy Savarino). Al di là degli scherzi e del teatrino, è chiaro che la geografia dei dibattiti e dei convegni fa emergere un elemento su tutti: la confusione. Confusione di ruoli, ma soprattutto di rapporti – politici e umani – all’interno di una coalizione che gli ultimi quattro anni s’è lentamente logorata. Tutto è riconducibile all’assenza di un leader vero, di un collante fra l’azione di governo e i partiti (due vertici di maggioranza in 4 anni, in effetti, non sono tantissimi). Una stratosfera rimasta sguarnita, che Musumeci avrebbe dovuto e potuto riempire anche per garantirsi una ricandidatura. Ma, in primis, rapporti più sereni: che, ad esempio, avrebbero potuto evitare l’angoscia di presentarsi ogni volta in aula e risultare lo zimbello di tutti, maggioranza e opposizione. Il caso più plateale e più recente è quello dei lavoratori Asu, che la Lega, in parlamento, sta utilizzando scientemente per mettere in ridicolo le mosse dell’esecutivo (attenzione: del suo stesso esecutivo).
A proposito: nell’attesa che i telefoni squillino, che le platee si radunino e che siti e giornali riprendano lo spettacolo, c’è un posto dove non serve l’invito (in compenso esiste un severissimo dress code) e in cui politici e parlamentari sarebbero tenuti a presentarsi: è la Sala d’Ercole di palazzo dei Normanni, sede del parlamento siciliano. In quegli scranni la maggioranza s’è liquefatta da tempo. Un mese e mezzo, di recente, è saltato per la campagna elettorale delle Amministrative. Mentre mercoledì scorso, dopo aver approvato tutti gli articoli dell’assestamento di bilancio, si è preferito rinviare la votazione finale, assieme a quella sulle variazioni di bilancio, perché “non c’erano i numeri”. I deputati di maggioranza se n’erano andati, ritardando le operazioni di un’altra settimana. Affastellando il calendario di appuntamenti su appuntamenti (come la Finanziaria 2022) che saranno stroncati dall’arrivo delle feste e dalle (im)meritate vacanze.