Il congresso regionale di Diventerà Bellissima, la creatura di Nello Musumeci, si terrà domenica a Catania. E’ lì che il movimento deciderà se partecipare o meno (e con chi) alle prossime elezioni Europee. Antonio Scavone, il nuovo assessore regionale al Lavoro che ieri è stato nominato ufficialmente al posto di Mariella Ippolito, in nome del turn-over imposto dagli Autonomisti di Raffaele Lombardo, è di Catania anch’egli. Raffaele Lombardo è di Catania. Come Nello Musumeci. Entrambi presidenti della provincia. Entrambi governatori. Sembra quasi che l’asse della politica siciliana, di cui Musumeci è reggente e Lombardo abile comprimario (sicuramente uomo ombra), si sia notevolmente spostata nell’ultimo anno e mezzo. Tanto da far sbottare più volte il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè, a cui il decentramento del potere, e delle istituzioni, verso la parte orientale dell’Isola appare quanto mai inopportuno. “Tutte le province devono essere degnamente rappresentate” ha spiegato il presidente dell’Ars.
Gli asset più importanti del governo di centrodestra passano dalle pendici dell’Etna. Scavone ne è un esempio tangibile. Radiologo, 62 anni, è il direttore medico della struttura complessa di Radiologia all’ospedale Garibaldi di Catania. Uno dei delfini più stimati da Lombardo, che anche stavolta ha fatto ricorso alla sua esperienza. Scavone, che Musumeci ha accolto cordialmente in squadra con una telefonata, ha già avuto diversi incarichi di politica attiva: da consigliere e assessore comunale con la Democrazia Cristiana, divenne deputato (nel lontano ’92) e senatore nel 2013 grazie all’accordo tra il Movimento per l’Autonomia e il Pdl, che consentì all’ex governatore, lui originario di Grammichele in realtà, di poter avanzare pretese nelle liste di Berlusconi. Per la prima volta varcherà i portoni di Palazzo dei Normanni.
E in aula, all’Ars, ritroverà un vecchio compagno d’avventura come Giuseppe Compagnone, eletto con i Popolari e Autonomisti nel 2017 (ma in quota Mpa). Anche lui nel collegio di Catania. I due, insieme, aderirono al gruppo parlamentare Autonomie e Libertà quando condivisero l’esperienza di Palazzo Madama. Per conto del solito Lombardo. Che in squadra, all’Assemblea regionale, conta pure su altri due esponenti di peso. Uno è Roberto Pullara, capogruppo dei Popolari e Autonomisti: alle Regionali ha sfondato nel collegio di Agrigento (con quasi 10mila voti) e adesso si prepara alla grande corsa per le Europee. L’altro è Roberto Di Mauro, che è stato schierato da Musumeci nel listino e si è preso la vice-presidenza dell’Ars, alle spalle di Miccichè.
Un plotone niente male, certamente più ricco dell’ala Popolare del gruppo, quella che fa riferimento a Saverio Romano. I soli Cordaro e Lagalla, che hanno messo insieme 16mila preferenze all’ultimo giro, sono entrambi presenti in giunta con due assessorati di spicco: Territorio e Ambiente, e Formazione Professionale. Una esposizione che, giurano i bene informati, non andrebbe più bene a Lombardo, il quale, dopo il cambio Ippolito-Scavone, potrebbe sfoderare la carta del rimpasto, mettendo sul piatto voti ed esperienza.
Ma il vero collante che tiene insieme Musumeci e Lombardo – tra di loro non ci sarebbero rapporti idilliaci, ma solo la consapevolezza di essere necessari l’uno all’altro – è un altro pezzo grosso: l’assessore all’Economia Gaetano Armao, che nella Finanziaria dei giorni scorsi è stato impallinato più volte dal voto segreto di alcuni franchi tiratori e la cui posizione, almeno per una candidatura a Bruxelles, scricchiola. Aveva il medesimo ruolo nel 2010, quando da assessore al Bilancio del governo Lombardo dovette seguire da vicino lo scandalo di Sicilia Patrimonio Immobiliare. Armao, che è il vice di Musumeci, si accredita come uomo di Berlusconi, non di Forza Italia; ma, politicamente, deve a Lombardo le sue fortune. Che bel triangolo.
Oggi il ruolo giocato da Raffaele Lombardo nella politica siciliana non è di secondo piano. Il leader degli Autonomisti, passato da una stagione di governo assai deludente, è macchiato da una serie di vicende giudiziarie che pendono sulla sua testa. Qualche giorno fa, il 15 febbraio, alla corte d’Appello di Catania sarebbe dovuto cominciare il nuovo processo a suo carico (dopo il pronunciamento della Cassazione che annullato l’ultima sentenza del 2017), che vede Lombardo accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale. Ma la difesa ha chiesto più tempo e ottenuto uno slittamento dell’udienza al 7 giugno. Dopo le elezioni Europee, di cui Lombardo ha iniziato a occuparsi con tenacia in queste ore: due o tre dei suoi uomini finiranno, infatti, tra i ranghi di Fratelli d’Italia, il partito della Meloni con cui ha stretto un accordo di ferro per superare lo sbarramento del 4% anche in Sicilia. Ed è da quel pulpito, e magari grazie ai contatti con Raffaele Stancanelli, senatore della Meloni e coordinatore di Diventerà Bellissima fino a qualche mese fa (anche lui, fra l’altro, è stato sindaco di Catania), che l’ex governatore – in modo silente e quasi disinteressato – potrebbe spingere Musumeci ad accettare le corte e proporre delle alternative per Bruxelles. Anche se in lista non è rimasto molto spazio. E domenica Diventerà Bellissima finirà per tirarsi fuori dalla contesa.
Fili che s’intrecciano e nodi che diventano sempre più fitti. Catania guida i processi della politica siciliana fin dentro palazzo d’Orleans, a Palermo, dove l’unico cambio della guardia (per ora) sarà quello imposto dagli Autonomisti. Il rimpasto a cui Nello Musumeci si era detto disponibile all’indomani del sondaggio che davano in calo la sua popolarità, e che Micciché non sembra avere particolarmente a cuore, per ora viene fatto slittare. Forza Italia non rinuncerà alla vena di Bernadette Grasso, che secondo il partito sta tenendo banco alla Funzione Pubblica. Resta sotto osservazione Edy Bandiera – provenienza Siracusa – sulla cui persona non si discute. Ma sul lavoro (forse) sì. Entreranno in gioco altri meccanismi e non è da scartare l’ipotesi che qualcosa si muoverà prima delle Europee, o comunque non appena sarà delineato il quadro delle candidature. Solo allora Palermo potrebbe recuperare un po’ di centralità rispetto ai cugini catanesi. E’ una partita aperta.