Di ufficiale c’è solo un emendamento approvato alle 5.30 di mercoledì mattina in commissione Bilancio alla Camera. Manca tutto il resto. Eppure la Regione – da Schifani a Falcone, passando per i parlamentari nazionali che si sono spesi in prima persona – è convinta di aver risolto i suoi problemi per l’eternità. A costo di aver rinunciato, come sospetta Cateno De Luca, a 9 miliardi per la retrocessione delle accise (dal 2007 in poi), in cambio di 200 milioni in pronta consegna: è quanto stabilito dall’accordo sottoscritto a Roma con Giorgetti, di cui si discuterà all’Ars a cavallo di Natale. Secondo l’assessore all’Economia, però, “avremo a disposizione una barca di soldi”.

Da qui al Paradiso restano alcune procedure da ultimare. La prima, non indifferente, riguarda l’approvazione della Legge di Bilancio dello Stato. Diamo per scontato che ciò accada, grazie al voto di fiducia che faciliterà l’iter del ‘Salva Sicilia’ agganciandolo a un maxi emendamento del governo. Ciò non toglie che bisognerà rispettare una clausola espressa dalla norma, e cioè che la Sicilia garantirà “il rispetto di specifici parametri di virtuosità, quali la riduzione strutturale della spesa corrente”. Si tratta di un impegno, e sappiamo bene che non sempre la Regione riesce ad onorarli. Nel decreto legislativo del dicembre ’19, quello che ha costretto la Corte dei Conti a sospendere il giudizio di parifica e sollevare la questione di legittimità costituzionale di fronte alla Consulta, si faceva riferimento a un Accordo con lo Stato da adottare entro i 90 giorni dall’approvazione del decreto e, nello specifico, a un pacchetto di riforme per la riqualificazione della spesa, che sarebbero finite all’interno di un piano di rientro. Il quale, però, verrà reso noto nel 2021 (per essere puntualmente disatteso: qualche notizia sulla chiusura dei carrozzoni o sulla riforma dei Consorzi di bonifica?).

Ecco, si riparte da un credito di fiducia che lo Stato vanta nei confronti della Regione. E si prosegue con la questione più annosa: aver ottenuto la benevolenza di Roma – o, almeno, dalla commissione Bilancio della Camera – non fa venir meno il ruolo della Corte dei Conti o, peggio, quello della Corte Costituzionale, che prima o poi dovrà pronunciarsi sul motivo del contendere: quel disavanzo poteva essere spalmato su base decennale? Il “Salva Sicilia”, secondo l’assessore Falcone, non è una sfida alla Corte dei Conti ma “il pieno soddisfacimento di una richiesta: l’autorizzazione alla spalmatura decennale arriverà con una legge del parlamento”, che per altro si promette di sanare il sanabile. Nella norma, infatti, si acconsente di accantonare le cifre pregresse, comprese quelle relative agli esercizi 2019 e 2020 (poi finite sub-judice). Ma cos’accadrà in caso di condanna di fronte ai giudici della Consulta? Nessuno si pone la questione.

I dubbi, per il momento, lasciano spazio all’euforia: “La Sicilia potrà ripianare in dieci anni il proprio disavanzo, azzerando il contenzioso che la Corte dei Conti aveva sottoposto alla Consulta – conclude Falcone -. Finalmente, dopo lunghi anni di interlocuzioni carenti – aggiunge l’assessore al Bilancio – le aspettative della Sicilia hanno trovato a Roma reale apertura e attenzione, nell’interesse comune a lavorare per il risanamento della Regione e per garantire servizi e qualità della vita dei siciliani”. Ma ciò non toglie che anche la prossima manovra Finanziaria sarà legata a doppio filo all’incertezza giuridica dei provvedimenti targati Musumeci&Armao. Almeno fin quando un giudice a Berlino non dirà che è acqua passata. Fino ad allora sarebbe giusto orientarsi a principi di cautela che salvaguardino i conti e l’equità intergenerazionale: evitando cioè che eventuali errori si ripercuotano sulla gestione futura dell’ente e, di conseguenza, sulle prossime generazioni.

Nel calderone di questi giorni, merita una riflessione anche l’altro aiutino – da duecento milioni – che la Regione ha strappato in virtù di un accordo al Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Si tratterebbe di un “riconoscimento” per l’aumento della compartecipazione alla spesa sanitaria, passata dal 42 al 49,11%, che in cambio prevedeva forme di compensazione, in termini di retrocessione delle accise, pari a 640 milioni l’anno (a decorrere dal 2007). Nove miliardi in totale. Che nessun governo regionale ha mai riscosso. In attesa di chiarire questo equivoco, veniamo ai fatti. A riassumerli ci ha pensato Luigi Sunseri, deputato del M5s e presidente della commissione per l’esame delle attività dell’Unione Europea: “Il 25 novembre il presidente Schifani incontra a Roma il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e chiede 650 milioni di euro. Torna in Sicilia felice e soddisfatto. Il 3 dicembre la Corte dei Conti non approva (parifica) il bilancio del 2020 e solleva un profilo di incostituzionalità su una norma che permetteva alla Regione di ripianare il disavanzo in dieci anni anziché in tre anni. Il 20 dicembre Roma presenta una norma che stanzia 200 milioni di euro per la Sicilia (non i 650 milioni richiesti da Schifani) e la Sicilia, su accordo sottoscritto da Schifani, rinuncia, per gli anni dal 2007 al 2021, a qualsiasi compensazione finanziaria in favore della Regione: secondo i miei calcoli a 640 milioni di euro all’anno”.

E qui viene il bello: “Il 21 dicembre il governo Schifani presenta all’Assemblea Regionale Siciliana una norma di variazione di bilancio, da 200 milioni di euro sulla base di un semplice accordo, perché la legge non è ancora stata votata a Roma. Follia. Mai visto nulla di più imbarazzante”, è il commento di Sunseri, che al pari di De Luca promette battaglia. La proposta di variazione di bilancio, come illustrato in aula dal presidente dell’Ars Galvagno, sarà incardinata giorno 27 per essere votata l’indomani. Sarà l’ultimo atto del 2023. Detto che le variazioni di bilancio – quelle vere – sono state approvate qualche giorno fa, si tratta di una norma ‘tecnica’ per incassare i soldi di Roma e accantonarli a totale ripiano del disavanzo. Ma entro quel giorno – qualcuno all’Ars si è posto il problema? – il parlamento nazionale avrà approvato la norma che trasferisce i 200 milioni in Sicilia? O ci si muoverà, ancora una volta, sulla base della “speranza”?

Tutto potrebbe incastrarsi alla perfezione – “Salva Sicilia” e 200 milioni – e in quel caso i comunicati festanti del centrodestra sarebbero sublimati. Ma se qualcosa andasse storto, dopo aver derogato volutamente al principio di cautela, su chi ricadrebbe la colpa? Su Crocetta magari?