“In Sicilia sono tante le cose che non funzionano, ma non per questo possiamo esternalizzare la Regione a un’altra Regione”. Lo ha detto Antonello Cracolici, deputato regionale del Partito Democratico, nei giorni caldi della crisi. Quando – oltre ad aver scoperto che sono sempre mancate le coperture finanziarie per approvare le ultime tre leggi di spesa votate all’Ars (e Miccichè si vide costretto a rivoluzionare il maxi collegato perché non c’erano più soldi) – la giunta Musumeci si era inventata una delibera in cui decideva di “passare la mano” sulle gare d’appalto della sanità e trasferire le competenze all’Aria, la commissione unica di committenza della Regione Lombardia. “Così evitiamo gli sprechi” disse Ruggero Razza, sotto attacco all’Ars. “Sarà una soluzione transitoria – precisò Armao, il responsabile all’Economia – Intanto provvediamo al rafforzamento della nostra Cuc”. Che, per inciso, ricade sotto le competenze della sua struttura assessoriale.
Il solito Cracolici parlò di “lombardite acuta”. Ma la decisione di ricorrere ad altre centrali di committenza, certifica di fatto il fallimento del modello Sicilia. E non bisogna leggere tra le righe, perché Razza, che di questa Regione è l’assessore alla Salute, lo ha detto chiaro e tondo: “La Cuc siciliana non risponde complessivamente alle esigenze di razionalizzazione e controllo della spesa in relazione alle quali è stato introdotto il sistema di centralizzazione delle committenze”. Al mio tre, sbolognate tutto. Qualche giorno dopo, al termine di un’audizione in commissione Salute, Razza e Armao decisero per il passo indietro, allo scopo di attenuare la furia del Pd che era già pronto a proporre una mozione di censura nei confronti del vice-Musumeci: “Il governo regionale ha ammesso che la delibera approvata in giunta sulla Cuc va integrata e precisata – rivelò Cracolici al termine dell’audizione -. L’aggregazione con le Centrali di committenza di altre regioni dovrà essere definita indicando in maniera univoca i settori merceologici di beni e servizi che saranno acquisiti attraverso un sistema aggregato ad altre Centrali, evitando in ogni caso un ulteriore impoverimento del tessuto produttivo siciliano”.
Resta l’intenzione di smerciare ai lumbàrd lo svolgimento delle gare per l’approvvigionamento delle strutture sanitarie (alcune provvedono già con gare autonome, o con la proroga dei contratti in essere). E il passaggio successivo, per l’entrata a regime, prevede la stipula di specifiche convenzioni. La medesima “cessione di sovranità e di funzioni” sta avvenendo con gli appalti dell’informatizzazione. A occuparsene sarà la Liguria, il cui governatore – Giovanni Toti – è l’ultima infatuazione (politica s’intende) di Gaetano Armao. Affidarsi a strutture extra regionali costerà 40 milioni di intermediazione. In barba a qualsiasi buco di bilancio. A qualsiasi disavanzo con lo Stato. A qualsiasi altra priorità (le associazioni antimafia e antiracket dall’ultima Finanziaria non hanno ottenuto il becco d’un quattrino, idem i teatri).
La passione per la Lombardia e i suoi metodi, d’altronde, era già venuta a galla. E sempre in ambito sanitario. L’anno scorso, a fine estate, Nello Musumeci firmava una convenzione con il governatore Attilio Fontana per “il potenziamento, l’integrazione e l’efficienza dei servizi in ambito sanitario”, con un particolare occhio di riguardo al potenziamento del 118 e degli standard di urgenza extraospedaliera. Una convenzione che sarebbe sfociata nella creazione di Areu Sicilia, la nuova azienda pubblica per l’emergenza e l’urgenza, che porterà all’assorbimento di Seus, garantendo comunque i livelli d’occupazione. I vertici della nuova azienda costeranno 700 mila euro, come si evince da una relazione dirigenziale che accompagna il disegno di legge che non si è ancora visto all’Ars. Le figure centrali a cui è affidata la lenta transizione verso Areus – per la serie “sono più bravi loro” – rispondono ai nomi Alberto Zoli (manager di Areu in Lombardia) e Davide Croce, il veneto nominato alla guida di Seus.
La predilezione di Musumeci & soci per le figure del Nord è emersa anche nel febbraio 2018, quando all’assessorato all’Energia, dopo la fugace apparizione di Vincenzo Figuccia, fu nominato in qualità di tecnico (in quota Udc) il padovano Alberto Pierobon. Il quale, nei prossimi mesi, rischia di dover abbandonare l’incarico – magari dopo aver fatto approvare la riforma sui rifiuti – perché ha ricevuto l’investitura dell’Etra, una multiutility veneta che lo pone in una condizione di “incompatibilità”. Anche l’ex assessore Sandro Pappalardo, dimessosi a giugno per il sopraggiungere di un altro incarico, non era esattamente il miglior rappresentante di “pani ca meusa” (nativo di Tolmezzo, in provincia di Udine). E persino il prossimo rappresentante dei Beni culturali potrebbe non essere siciliano. Facezie.
Un siciliano doc, di Caltagirone, è invece Massimo Giaconia. Per capire chi è costui bisogna riannodare i fili del discorso a dieci giorni fa. Musumeci e Armao, dopo aver consigliato “prudentemente” all’Ars di non produrre leggi di spesa, convocano una conferenza stampa a palazzo d’Orleans. Presentano una marea di numeri sui conti malandati della Regione (un disavanzo complessivo da 7,3 milioni maturato negli ultimi trent’anni), addossano le colpe ai predecessori di sinistra e al parlamento, e tirano fuori dal cilindro l’ennesimo colpo di scena: la nomina “di un esperto di caratura nazionale per fare emergere i residui non accertati nel passato e avviare con la Corte dei conti il definitivo risanamento del bilancio della Regione”.
Si tratta del commercialista Massimo Giaconia, ex assessore a Caltagirone (della giunta Ioppolo, l’attuale segretario regionale di Diventerà Bellissima), che ha salvato dal dissesto il comune calatino. E lo ha fatto in tempi record. Dal curriculum di Giaconia, che Musumeci avrebbe anche voluto nominare nel Cda di Riscossione Sicilia (ma arrivo il “niet” della prima commissione) si annotano numerose consulenze fiscali a società italiane ed estere. Attualmente ricopre l’incarico di tax partner del prestigioso studio associato “Baker&McKenzie” di Milano.
Sarà Giaconia, che per fortuna è siciliano, il “commissario” di tutti le strutture contabili dei vari dipartimenti, che hanno perso credibilità col buco da 400 milioni che costrinse la giunta a una nuova giravolta prima di Ferragosto. Sarà Giaconia il commissario, e il badante, di Gaetano Armao, che secondo Cracolici “non è stato in grado di impartire disposizioni forti nei confronti dell’amministrazione burocratica perché si facesse un serio controllo sui vari capitoli” di bilancio. Ma non sarà da solo: il “mastino dei conti”, infatti, ha già chiamato in soccorso uno studio palermitano cui subappaltare questa nuova operazione-verità. Si tratta di Kibernetes Srl, che si occupa di progettazione, sviluppo ed erogazione di servizi e soluzioni per ogni esigenza degli enti pubblici. Giaconia è già candidato a diventare il nuovo ragioniere generale della Regione se, come rivelato da “La Sicilia”, Giovanni Bologna dovesse decidere di tenersi solo la dirigenza alla Funzione Pubblica.
Ma questa è un’altra storia. L’attualità racconta di una macchina, la Regione, che non riesce a provvedere al proprio fabbisogno. Appena un paio di mezzo fa, dal primo “collegatino” sullo sblocco delle assunzioni, fu stralciata una norma voluta dal governo che prevedeva l’assunzione di personale esterno e qualificato – pari all’8% della dotazione (sono 1350 i dirigenti regionali) – per potenziare alcuni uffici (su tutti il dipartimento Acqua e Rifiuti) lasciati scoperti. Il vecchio detto “chi fa da sé fa per tre” di certo non è nato da queste parti.