In questi giorni, a catalizzare le attenzioni del Cav., è stato il suo (non) matrimonio con Marta Fascina, di 53 anni più giovane. Altro che Sicilia. Ma è così da un pezzo, e non perché l’ex presidente del Consiglio sia stato impegnato a redigere la lista degli invitati (una sessantina, e tutti fedelissimi, a Villa Gernetto). Ma perché non puoi chiedere a un 85enne un condizioni di salute traballanti, “incatenato” ad Arcore per salvaguardarla, di impegnarsi in politica in prima persona. Specie sul territorio. Berlusconi ha prodotto l’ultimo sforzo alla vigilia di Natale, per recapitare a parlamentari di ogni estrazione, previa la mediazione di Vittorio Sgarbi, un grazioso presente in vista della sua discesa in campo per il Quirinale (poi ritrattata). Stop. Poi è comparso in tribuna per qualche partita del Monza e a qualche riunione homemade coi vertici del suo partito. Tutto qui.
Chi crede che Berlusconi possa incidere fino in fondo sulla scelta del prossimo candidato sindaco di Palermo – l’investitura per Lagalla lascia il tempo che trova – o sul successore di Musumeci a palazzo d’Orleans, evidentemente lo sopravvaluta. La routine da ‘padre nobile’ di Silvio, assorbito soprattutto dalla famiglia, lo tiene distante delle decisioni più delicate. E l’incontro con Micciché di lunedì scorso, ad Arcore, va considerato un fuoriprogramma (piacevole, per carità) a cui Berlusconi non ha voluto sottrarsi. L’unico suggerimento riservato al commissario regionale di Forza Italia è stato quello di una “maggiore collegialità nelle decisioni”, concetto che avrebbe ribadito nel corso di una telefonata, avvenuta ieri, alla presenza di Licia Ronzulli. La sua ambasciatrice. Esponente di spicco del ‘cerchio magico’, presissima da Instagram, e incapace – fin qui – di ricondurre i litiganti ai motivi dell’unità.
Anzi, è stata proprio la visita della senatrice, sabato della settimana scorsa, ad aprire la crepa più profonda dentro il partito siciliano. Che, al netto della guida spirituale di Berlusconi, non sa più a che santo votarsi. Gianfranco Micciché, mutuando un gergo calcistico, continua a vantare un palmares di livello: per numero di amministratori locali, per percentuali nelle urne, per deputati all’Assemblea regionale. Peccato che la metà di questi gli si siano rivoltati contro, e abbiano deciso di mandare sotto il vicerè. Come? Eleggendo un nuovo capogruppo. Che quell’elezione sia stata invalidata per motivi regolamentari, conta fino a un certo punto. Ha sancito che in FI esistono almeno un paio di correnti l’un contro l’altra armata. E che nessuno riesce a ipotizzare un orizzonte di pace (ma nemmeno l’avvio di un negoziato). Quanto sia lontano Berlusconi da questa frattura lo dimostra la telefonata giunta al termine dell’incontro palermitano fra la Ronzulli e i ‘lealisti’, tutti vicinissimi al presidente dell’Ars, in cui avrebbe chiesto alla combriccola di salutargli “l’amico Nello”.
Già, Nello. Musumeci. Lo stesso che l’ala miccicheiana non vorrebbe più vedere nemmeno in cartolina. Se Forza Italia s’è spaccata in questo modo è (anche) a causa di Musumeci. La divisione interna fra sostenitori e detrattori ha mandato il partito al macero fin dalla prima ora. Da una parte gli assessori accomodanti, iscritti al suo fan club: Marco Falcone e Gaetano Armao, benedetto vicepresidente dal patto di Arcore (con la stessa Ronzulli in veste di officiante) nel 2017, a cui si è aggiunto di recente anche Zambuto; dall’altra Miccichè, stanco della poca considerazione riservata a lui, ai partiti e al parlamento regionale da quando Nello ha preso a governare come un imperatore.
Questa crepa s’è allargata ogni giorno di più e Berlusconi, mai così lontano dalla Sicilia, non ha fatto nulla per ricucire i brandelli. Ogni qual volta prova a riemergere dall’assenza, finisce per complicare tutto: come alla vigilia di Natale, quando il Cav. con un post elogiò il buongoverno di Musumeci (buongoverno de che?) nelle stesse ore in cui Micciché spiegava che “Musumeci non facilita il confronto, ogni giorno che passa ci rende le cose più complicate”. O come una decina di giorni fa quando, mettendosi in contatto con Marcello Dell’Utri, a pranzo con il governatore, ne approfittò per invitarlo ad Arcore. Come se gli importasse qualcosa.
Eppure qualcosina – non tanto di Musumeci, ma della Sicilia sì – dovrebbe importargli. Per Forza Italia, rappresenta tuttora un discreto granaio di voti. Non come un tempo, per carità. Ma la Lombardia della Ronzulli, l’Emilia Romagna della Bernini (capogruppo al Senato) e persino il Lazio di Tajani (coordinatore nazionale del partito) impallidiscono al confronto. Eppure l’Isola è sempre più distante dall’universo berlusconiano, tenuta fuori dalle decisioni del contano (come al momento della formazione del sottogoverno Draghi). Ed è questo snobismo che indebolisce le leadership di Micciché e incoraggia il gioco delle fazioni. L’ultimo tentativo di strappo porta la firma di Gaetano Armao, che giovedì pomeriggio s’è intrattenuto a Roma con Tajani e la Ronzulli per invocare un cambio di rotta alla guida del partito. Magari attraverso il commissariamento o l’istituzione di una segreteria allargata che dia spazio a chi contesta le scelte di Micciché. I tempi, però, non sembrano maturi. Armao questo discorso avrebbe potuto farlo sabato scorso, a palazzo dei Normanni, alla presenza di Licia. Ma in quel caso preferì disertare, come la maggior parte dei contestatori interni. E questo alla Ronzulli non è andato giù.
Si apre tuttavia l’ennesima settimana di fuoco. Miccichè dovrà affrontare nello specifico la questione delle commissioni parlamentari che ha appena azzerato. Togliendo il giocattolo dalle mani di alcuni detrattori: prima premiati (come nel caso dell’eterno Riccardo Savona, elogiatissimo direttore d’orchestra in commissione Bilancio), ora diseredati. A pagare le spese di questo rimescolamento saranno anche Stefano Pellegrino e Margherita La Rocca Ruvolo, ch’era stato l’ultimo colpo di mercato (a parametro zero, dal claudicante partito dell’Udc). I ‘ribelli’ forzisti hanno chiesto a Calderone di riconvocare urgentemente il partito: sarà il redde rationem. Si arriverà, probabilmente, a una nuova seduta di voto – stavolta legittimata dai regolamenti – per sovvertire la guida del gruppo parlamentare. E impedire l’ingresso di Tamajo e D’Agostino, che bussano alla porta. Risulterà comunque impossibile venir fuori da questo ginepraio di veti e sgambetti. Specie di fronte all’ipotesi di ricandidare Musumeci: c’è una Forza Italia a favore, e una Forza Italia contro. Ed è quasi impossibile metterle d’accordo.
In altri tempi avrebbero invocato l’intervento di Berlusconi per riportare pace e serenità. Ma ce lo vedete adesso il Cavaliere, preso dall’organizzazione di un finto matrimonio e dalla scelta dei cotillons, costretto a dover gestire i malumori della sua famiglia e attento a salvaguardare le fragilità del suo corpo, tornare sul campo di battaglia per dirimere la questione sicula? Francamente, ce lo vedete?