Il futuro della Sicilia non può più essere affidato alla Regione che la governa. Il pensiero di Pietrangelo Buttafuoco è fatalmente noto. Lo scrittore di “Buttanissima Sicilia”, che torna in libreria con “Sotto il suo passo nascono i fiori – Goethe e l’Islam”, ha già avuto modo di ribadirlo da Massimo Giletti, durante la seconda delle tre trasmissioni che, come un tornado, si sono abbattute sulla credibilità della nostra classe politica. Buttafuoco lo ha detto e lo ridice: “Bisogna commissariare immediatamente la Regione. Col ricatto del consenso è impossibile governare”.
Buttafuoco, a noi è parso che “Non è l’Arena”, oltre alla denuncia, contenesse molto di populista e demagogico.
“Trovo populista e demagogico il costrutto politico. Affrontarlo, al contrario, non lo è. Non è Giletti un demagogo a dire quanto fa schifo la situazione, ma è quanto fa schifo la situazione a essere demagogico. Non avendo il coraggio di fare politica, i nostri politici non fanno altro che mettersi nella botola della demagogia, a cominciare da quella grandissima minchiata dell’autonomia. L’idea di rendere speciale una regione come la nostra – ne abbiamo prove comprovate ed eclatanti – ha determinato quel cancro di burocrazia, malaffare, clientelismo, immobilismo inaudito. Bisogna fare i conti con la realtà, non con la teoria. Con la teoria siamo tutti bravi a immaginare il paradiso in terra”.
Mi sembra, però, che lei individui un peccato originale. Che risale alla notte dei tempi. Non per forza ascrivibile a questa classe dirigente.
“Non risale alla notte dei tempi, ma a una precisa impostura che è stata costruita al tempo di Umberto II, manco della cosiddetta Repubblica italiana. Per mettere un argine al caos determinato dal banditismo, dai traffici degli americani, dalla mafia che tornava a comandare, ci si inventò questo statuto speciale che doveva essere una sorta di calmante in una situazione incandescente. Con dei margini ben precisi, dei grumi di potere, che hanno determinato gli addentellati che arrivano fino ai nostri giorni. L’idea che l’unica cosa che sia in grado di fare la politica siciliana sia inaugurare e tagliare nastri è inammissibile”.
Perché, secondo lei, non fa altro?
“Le faccio un esempio. Lo scorso anno ci furono un’alluvione nel Nordest e una in Sicilia (a Casteldaccia). In Sicilia provocò dodici morti, che significa prime pagine sui giornali, telegiornali, mobilitazioni. Ma mentre nel Nordest, dopo tre settimane, le fotografie mostravano che era tutto pulito, aggiustato e perfetto, in Sicilia no. E questo è inaudito. Ci sono stati dodici morti e non so se qualcuno – la magistratura o la politica – abbia mai fornito delle risposte su quanto è successo. Io mi rendo conto di un fatto: che nessun sindaco, nessun presidente di Provincia o di Regione possa muovere una carriola. Se succede a Belluno gli battono le mani, se succede a Canicattì gli mandano un avviso di garanzia. Dicendo questo apro un credito alla fatica dei nostri politici. Ma non significa che bisogna rintanarsi nel non fare nulla. Io so perfettamente qual è la loro paura”.
Ma in questo modo non stiamo ricreando un’attenuante?
“Parliamoci chiaro: se l’autostrada Palermo-Catania è ancora sfasciata ma abbiamo applaudito Matteo Renzi che la inaugurava come se fosse aggiustata, siamo noi i primi a fare schifo. Non Renzi che viene a inaugurarla. Se abbiamo ancora la Messina-Catania con una frana dove sono cresciuti gli alberi, la colpa è innanzitutto nostra, non dei responsabili che dovrebbero preoccuparsene. Perché i responsabili sanno perfettamente qual è il livello della nostra coscienza politica. Sa quanti ponti Morandi abbiamo in Sicilia? Un’infinità… Abbiamo solo avuto la fortuna che la frana di Letojanni o il crollo del pilone del viadotto Himera siano acceduti quando non c’era traffico. Altrimenti ce la racconteremmo in un altro modo”.
A proposito di lavori: stili un cronoprogramma di redenzione dell’Isola.
“Bisogna commissariare immediatamente la Regione. Ci vuole qualcuno che non sia succube del consenso. Col ricatto del consenso è impossibile governare la Sicilia”.
Si può fare?
“E’ una prospettiva di volontà, di opinione pubblica, di coscienza politica. Non è che dobbiamo aspettare ogni volta una campagna elettorale per complicare quello che non si è mai risolto”.
Il suo giudizio sul governo della Regione.
“In coma totale. Seguendo le trasmissioni di Giletti, dove vado volentieri perché si apre uno spazio di discussione, risulta all’opinione pubblica nazionale che il capo della Sicilia è Miccichè. E’ come se in Italia fossimo convinti che il premier è Fico e non Conte. Micciché dovrebbe ringraziare Giletti, perché, senza mai candidarsi alla presidenza della Regione, già conta governatore. Musumeci, invece, sta sempre nelle retrovie: capisce a che livello siamo?”.
Musumeci, però, a livello nazionale è molto attivo. L’ha visto a piazza San Giovanni?
“Una volta a San Giovanni, una volta a Pontida. Dipende dai suoi umori, ma non mi risulta che sia né della Lega, né di Fratelli d’Italia, né tanto meno di Forza Italia. E’ un solista per amatori. Ha costruito la sua nicchia e vive nella sua nicchia”.
Ha detto che la Sicilia è un campo profughi e l’Europa è cinica. Almeno su questo è d’accordo?
“La Sicilia non è abbandonata solo dall’Europa, ma dai siciliani. Inutile infilarsi in altre discussioni… Sappiamo perfettamente quanto è stato magnifico il sacrificio dei lampedusani, che sono meravigliosi rispetto alla falsa e ipocrita Malta, che è il sepolcro imbiancato per eccellenza del Mediterraneo”.
Detto degli impedimenti e delle paure, cosa manca alla politica siciliana per avere un altro po’ del suo credito?
“L’audacia. La politica deve mettersi davanti alla magistratura, alla società civile, a chiunque. Manca il decisore. La regola chiara è che dove c’è il vuoto arriva il pieno. Se tu hai il vuoto, arriva un altro al posto tuo. Ovvio che tutti ci aspettiamo una decisione dalla politica: ma qual è, dov’è? E’ chiaro che lo strumento Regione non funziona, ci vorrebbe una bella stagione politica per chiedere l’abolizione delle Regioni”.
Ma hanno già abolito le province.
“Siamo stati cretini ad accettare la cancellazione delle province, che sono più coerenti col territorio. E’ la Regione che non serve. Bisognerebbe creare una coscienza politica nell’opinione pubblica e dire una volta per tutte: ‘La Regione in quanto ente non serve a niente, fa danno. Ricominciamo dalle province’. Questo non vale solo per la Sicilia, ma per tutto il territorio nazionale. Le Regioni massacrano le dinamiche dalla società in Italia”.
E’ stato Crocetta, in Sicilia, a cancellarle. Ora fa il fustigatore in tv.
“Crocetta è marketing. Non fa più niente, solo colore”.
Ci trova un legame fra Goethe e la Sicilia?
“Goethe diceva che il futuro sarà un Islam temperato nel sole del Mediterraneo. E noi che siamo siciliani sappiamo perfettamente dov’è il senso di tutto ciò: ed è nella Cattedrale di Palermo, nella tomba di Federico II dove lui, tedesco che volle farsi saraceno per vivere in Sicilia, si fece seppellire avvolto nei lini e con la testa rivolta verso Mecca, per dare una direzione all’universale. A noi siciliani cos’è che ci dà vantaggio? Essere nell’universale. La Regione siciliana si trova agli antipodi, per questo è un po’ triste parlarne”.
Parliamo un attimo del suo libro, allora. Lo ha scritto a quattro mani con Francesca Bocca. Di cosa parla?
“Del percorso di Goethe dall’età di 18 anni fino alla morte. E’ la ricognizione di una condizione spirituale profonda, segreta ma non nascosta. Goethe, l’autore che da tutti è raccontato come il nume dell’umanesimo illuminista, in realtà è un uomo profondamente radicato in un’identità spirituale. Francesca Bocca, che per lunghi anni ha vissuto a Monaco di Baviera, aveva a propria disposizione l’archivio delle opere dell’autore, ma anche fotografie e memorie materiali. Le abbiamo unite alle mie ricerche e ne è venuto fuori un confronto filologico straordinario. Un colpo di scena continuo”.