La Sicilia ceduta al Nord

Un abbraccio tra il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, e il governatore della Liguria, Giovanni Toti

Quella di Musumeci e Armao è la Regione più esterofila che si ricordi. A un mese e mezzo dalla delibera di giunta che “delegittima” la Cuc siciliana e prevede la possibilità di affidare la gestione degli appalti della Sanità alla Lombardia (con la promessa dell’assessore al Bilancio di rafforzare la nostra centrale unica di committenza grazie a un accordo con la Consip), il governo ci ricasca: è del 30 ottobre, come riportato da “Repubblica”, la delibera dell’assessorato alla Salute che assegna i servizi di assistenza informatica sanitaria alla Liguria, la regione di Giovanni Toti. Otto professionisti, per un costo prossimo alle 700 mila euro, dovranno trasmettere i flussi dei dati sanitari al Ministero della Salute e a quello all’Economia, pena la perdita – da parte della Regione – del finanziamento da 200 milioni di euro previsto come quota parte del 3% del Fondo Sanitario Nazionale.

Che la Sicilia non fosse al passo coi tempi sul piano della digitalizzazione era noto. Ma che in questi anni abbia sprecato mezzi e risorse in quantità industriale deve far riflettere. Il compito affidato agli “amici” liguri sarebbe toccato a Sicilia Digitale, il mega-carrozzone che – al pari della Cuc sul fronte degli appalti – non garantisce le adeguate professionalità per concludere il lavoro. La sua storia è costellata di sprechi (come 60 milioni praticamente buttati per progetti sulla telemedicina, sulla prenotazione online dei musei e sul controllo radar dei pullman) e clientelismo allo stato puro.

Mentre le ultime risorse utili sono state licenziate a fine 2018 per effetto del decreto dignità voluto dal Movimento 5 Stelle: il loro contratto di somministrazione, al termine dei 48 mesi, non poteva essere più rinnovato e non c’erano abbastanza soldi per stabilizzarli. Inoltre, a causa del blocco delle assunzioni previsto per le partecipate della Regione (non per tutte, vedi Riscossione Sicilia), è stato impossibile procedere alla selezione di nuovo personale. In questo modo l’ex Sicilia e-Servizi, lanciata nel 2005 dal governo Cuffaro, e per un periodo guidata anche dall’ex magistrato Antonio Ingroia (per il quale i pm hanno chiesto una condanna a 4 anni con le accuse di indennità indebite e rimborsi non dovuti) è rimasta una scatola vuota.

Fino ai nostri giorni. A gennaio di quest’anno Musumeci e Toti – divenuti grandi amici per essere seguaci dello stesso modello: Salvini – firmano una convenzione in tema di agenda digitale, un’altra struttura in capo all’assessore all’Economia Armao. L’Arit (l’agenzia regionale per l’innovazione tecnologica), che avrebbe dovuto provvedere ad attivare il servizio informatico servendosi di Sicilia Digitale, nel luglio scorso dà attuazione all’accordo, arrivando alla firma di un’altra convenzione con il direttore del servizio informatica della Liguria. Completando, di fatto, lo “scambio di favori” tra Musumeci e Toti. Che non sarà a buon mercato: i tecnici liguri rimarranno in Sicilia per sedici mesi per un costo stimato di 689 mila euro, che ovviamente verranno prelevati dal Bilancio regionale.

Già, quello asfittico. Dove i buchi si moltiplicano, ma gli impegni di spesa – come ammesso dallo stesso Musumeci nel corso del dibattito sulla questione finanziaria all’Ars – vanno avanti. Detto che la Regione, stando a un’interrogazione del deputato del M5s Nuccio Di Paola, dovrebbe versare a Sicilia Digitale 4 milioni di euro per l’affitto di tre piani di uno stabile in via Tahon de Revel, a Palermo (risolvendo così parte dei problemi), non sarebbe risultato più opportuno – anziché rivolgersi alla Liguria – stipulare una convenzione più “modica” con qualche università siciliana e far lavorare i “nostri”? La risposta la conosciamo già: scelta politica. Come il tentativo, durante la discussione dell’ultimo “collegato”, di far approvare una norma in cui la Regione avrebbe affidato al Cefpas 25 milioni per l’attuazione dell’agenda digitale nel settore sanitario. Sala d’Ercole ha respinto la proposta, ma forse dovrebbe chiedersi perché 25 milioni a un ente di alta formazione vanno bene e Sicilia Digitale, invece, viene lasciata a secco. Scelta politica anche questa?

Poiché non si tratta di un caso isolato, la “vicenda ligure” assume contorni preoccupanti. E mette in dubbio la capacità di provvedere al fabbisogno dell’Isola con risorse proprie. Più volte, infatti, il presidente della Regione ha imbastito “tavoli” coi suoi amici governatori: a ottobre 2018 era toccato ad Attilio Fontana, il massimo inquilino del Pirellone, ovviamente leghista, con cui Musumeci aveva firmato una convenzione per la creazione del nuovo modello di emergenza e urgenza del 118. In modo da provvedere al “potenziamento, l’integrazione e l’efficienza dei servizi in ambito sanitario”, con un particolare occhio di riguardo agli standard di urgenza extraospedaliera. Una convenzione che sfocerà nella creazione di Areu Sicilia, sul modello Lombardia, con l’assorbimento di Seus, garantendo comunque i livelli d’occupazione. I vertici della nuova azienda – ma va là, che coincidenza – sarebbero costati anch’essi 700 mila euro, come si evince da una relazione dirigenziale che accompagna il disegno di legge di cui però non si è ancora discusso all’Assemblea regionale.

Quell’accordo, d’altronde, era solo il preludio a quanto sarebbe successo quest’estate e alla decisione, da parte del governo, di decentrare le gare d’appalto per l’acquisto di beni e servizi per ospedali e aziende sanitarie. Da un lato, come spiegava l’assessore Razza, per evitare uno spreco di risorse; dall’altro per “svegliare” la Cuc siciliana, che negli ultimi tempi ha fatto flop. “Attraverso questa misura – asseriva Ruggero Razza – abbiamo permesso alla nostra Regione di ridurre gli sprechi attualmente discendenti dal ricorso a procedure poco coerenti con le indicazioni del mercato e di conformarsi agli standard maggiormente ottimali che provengono dall’esperienza delle cosiddette Regioni benchmark. Di fatto mettiamo il nostro sistema sanitario, grazie a strumenti adeguati che assicurano criteri di acquisto più convenienti, nelle condizioni di ridurre le differenze con le altre Regioni, velocizzando le procedure e creando così dei risparmi significativi che potranno essere reinvestiti”.

Ma non è sfuggito ai più attenti che la partita vale 2,5 miliardi l’anno. Soldi che saranno gestiti dalla centrale lombarda. Contro la decisione del governo, infatti, si erano schierati il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico. I “dem” hanno preteso e ottenuto la convocazione di Gaetano Armao (la Cuc ricade sotto le competenze dell’assessorato all’Economia) e Ruggero Razza in commissione. Col risultato che “il governo regionale ha ammesso che la delibera approvata in giunta va integrata e precisata – comunicò Antonello Cracolici dopo l’audizione dei due assessori –. L’aggregazione con le Centrali di committenza di altre regioni dovrà essere definita indicando in maniera univoca i settori merceologici di beni e servizi che saranno acquisiti attraverso un sistema aggregato ad altre Centrali, evitando in ogni caso un ulteriore impoverimento del tessuto produttivo siciliano”. La questione rimarrà in stand by almeno finché non saranno firmate le convenzioni “attuative”.

Dietro i progetti informatici e gli appalti della sanità, però, si nasconde la “lombardite acuta” (ma è una sorta di “sindrome della polenta”, allargata a molte regioni) di cui soffre Musumeci. Il quale, non riuscendo a replicare in nessun campo i modelli virtuosi che si impongono al Nord, si abbevera direttamente alla fonte. In questo processo osmotico, però, c’entra eccome la politica. Da quasi un anno, infatti, il governatore siciliano fa la corte alla Lega di Matteo Salvini, con il quale non è ancora riuscito a instaurare un feeling di piena e completa fiducia (il commissario leghista Candiani lo ha spernacchiato in più di un’occasione, anche dopo il voto in Umbria).

Per questo ha cercato una sponda in Giovanni Toti, con cui da tempo si parla di costruire la “terza gamba del centrodestra”, e non più la seconda, dato che la Meloni non è facile da sbaragliare. Una sorta di patto federativo tra i due movimenti – Cambiamo! e Diventerà Bellissima – su cui Toti e Musumeci stanno lavorando con calma, dato che l’orizzonte elettorale non è ancora stato fissato. Sarebbe, per il governatore siciliano, un modo per uscire dall’isolazionismo in cui si è ridotto scegliendo di non partecipare alle ultime Europee, quando Toti ancora parteggiava con Berlusconi e Forza Italia.

E il buon Musumeci, in questo azzardo, troverebbe un facile alleato: quel Gaetano Armao che ha scelto sì di rimanere fedele al Cavaliere di Arcore – s’è visto due settimane fa a un congresso organizzato dalla Gelmini a Milano – ma al solo scopo di restare agganciato al carro della Lega, che l’ha già visto partecipe durante la campagna elettorale per le ultime Amministrative a Gela. Musumeci difende Armao in modo strenuo, l’assessore all’Economia lo ricambia con parole salivose (“Con me si è rivelato generoso”). Un film già visto.

Anche con la sua partecipazione alla festa di Pontida di un anno e mezzo fa, e con la presenza ingombrante a piazza San Giovanni, per la festa dell’orgoglio italiano, Musumeci ha ribadito la sua appartenenza a un’area ben precisa. Scandendo a chiare lettere i capisaldi del suo pensiero (anche sui migranti) e circondandosi di quelli che oggi più che mai rappresentano la schiera dei suoi amici governatori: una speciale predilezione, oltre a Toti e Fontana, ce l’ha per Zaia e Fedriga. Chissà che non si possa affidare a veneti o trentini un’analisi dettagliata dei conti della Regione che non tornano mai.

IL COMMENTO DI CLAUDIO FAVA (CENTO PASSI)
“La Sicilia di Musumeci vive solo in un passato fatto di cavalli e iniziative folkloristiche, mentre per digitalizzazione e innovazione si va a chiedere alle Regioni del Nord”. Lo ha detto il deputato dei Cento Passi, Claudio Fava, in riferimento all’assegnazione dei servizi informatici a otto tecnici della Regione Liguria. In un settore strategico, secondo il deputato di sinistra, la Regione “dovrebbe adoperarsi per recuperare il terreno perso e colmare il divario dal resto del Paese, invece diventa terra di conquista. Magari appaltando servizi strategici e indirizzando cospicui fondi a Regioni governate, attualmente, da sodali politici di Musumeci”.

Paolo Mandarà :Giovane siciliano di ampie speranze

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