Fra i tanti, piccoli duelli che infiammano il voto per le Europee – consci del fatto che gli equilibri più importanti sono quelli palermitani e non di Bruxelles – ce n’è uno grande, enorme, affascinante. Almeno per gli addetti ai lavori. Che vede in campo due pesi massimi della politica: Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. Il destino e la strategia hanno voluto che entrambi sostenessero la lista di Forza Italia. Proprio come ipotizzò Schifani, nove mesi fa, con la scusa di disegnare un nuovo partito pluralista (e non più leaderistico) all’indomani della morte di Berlusconi. Ma non è per merito di Schifani se i tre, accidentalmente, sono convolati a nozze. Bensì, è l’effetto di un combinato disposto di eventi che rischiava di inghiottire nell’anonimato i due ex governatori. Troppo ingombranti per starci insieme, ma assai rilevanti – in termini di consenso – per ignorarli.

Così è capitato, sia a Cuffaro che a Lombardo, di offrire in dote il proprio malloppo. Di trattare fino allo stremo, e infine di accasarsi con una scusa. Ci ha pensato per primo Lombardo, che lo scorso autunno aveva firmato un patto con la Lega di Matteo Salvini. Una federazione 2.0 dopo il primo tentativo fallito (alla vigilia delle Politiche). Ma all’interno del Carroccio, il leader autonomista ha trovato nemici e sabotatori: uno su tutti Luca Sammartino, che ha risposto picche alla creazione di un intergruppo all’Assemblea regionale, con dentro esponenti della Lega e del Mpa. Così l’esperimento è abortito sul nascere, anzi all’alba di una campagna elettorale dove non è esistita tolleranza. Amici mai. Il leader autonomista, il giorno dopo aver rotto con la Lega, è salito al Palazzo (d’Orleans) per ascoltare la ghiotta proposta di Marcello Caruso e Renato Schifani, anche se i più attenti fanno notare come l’accordo con Forza Italia sia stato ratificato da Tajani in persona, nella Capitale.

Il comune denominatore? La stima per la “straniera” Caterina Chinnici, un’altra accasata. Che non c’entra nulla con Forza Italia, né con la visione del mondo degli “eredi” di Berlusconi. Ma che grazie ai rapporti con il segretario nazionale del partito, ha avuto accesso al red carpet di Bruxelles: prima della lista. Sponsorizzata da Roma. E ovviamente da Grammichele. Lombardo, che l’ha sempre omaggiata dei suoi ossequi – per la storia, la preparazione e la serietà – e di un’antica amicizia familiare, non vedeva l’ora di schierarsi con una indipendente di razza. Chinnici ha sfruttato il taxi del Partito Democratico per approdare un paio di volte in Europa, oggi ci riprova con Forza Italia. E potrebbe offrire a Lombardo, di cui è stata assessora in passato, un ottimo motivo per bussare alla porta del governatore, già da martedì, e chiedere una casella in più nella giunta di governo. Si chiama rimpasto, ed è quello che tutti si attendono se le cose per Santa Caterina dei Misteri andassero in un certo modo. Lombardo in primis.

Ma anche Cuffaro ha ragione di credere che i suoi voti, molto filoschifaniani, rappresentino una fidejussione per la DC. L’approccio non è stato dei migliori. Dopo aver ottenuto ingresso e consumazione gratuita da parte del presidente della Regione, la sua affiliazione al club di Forza Italia è stata stroncata dall’intervento a gamba tesa di Tajani, durante la convention (“Il meeting del buongoverno”) di Marco Falcone a Taormina. Questione morale, si disse. In realtà c’era la paura, da parte dello stesso Falcone e della solita Chinnici, che un candidato cuffariano li avrebbe surclassati nelle urne. Così è partita la carica. E la gogna mediatica nei confronti di un leader – forse l’unico – che ha pagato il proprio debito con la giustizia (in maniera più che dignitosa, s’intende) e tuttavia ha continuato a ricevere schizzi di fango gratuiti. Da Calenda, in primis.

Cuffaro ha avuto la pazienza – ne ha ben d’onde, vista l’esperienza quinquennale a Rebibbia – di attendere il proprio turno. Ha superato con un pizzico di imbarazzo la chiusura di Renzi, che s’è unito al coro degli indignati per il trattamento ricevuto da Totò (tagliandolo fuori a sua volta); ha provato a flirtare con l’amico Sammartino prima che sull’ex vicegovernatore piombasse la magistratura; e poi s’è ritrovato sulle posizioni ‘marginali’ di Noi Moderati, che dal suo impatto ha tratto sicuro giovamento. Sosterrà un democristiano nato come Massimo Dell’Utri, segretario regionale del partitino di Lupi e Romano.

S’è accodato al centro ma spera sempre di fare la voce grossa. E probabilmente ci riuscirà. Ha alle spalle un esercito pronto a rivendicare il suo diritto a competere. Ma anche due assessori regionali, un presidente di commissione, un radicamento forte sul territorio, sindaci e consiglieri alle spalle. Ha puntato le proprie fiches su Dell’Utri, contribuendo al risultato di Forza Italia. Così – se dovesse andar bene – Tajani avrà di che esultare. E Schifani di che bearsi. Il contributo di Cuffaro infatti potrebbe risultare determinante anche per definire il nome del prossimo leader regionale di Forza Italia. Molti dei suoi eletti sosterranno, assieme a Dell’Utri, la corsa dell’assessore alle Attività produttive Edy Tamajo, cioè il pupillo presidenziale. E se scatterà il secondo seggio, per questo strano meccanismo d’intrigo e opportunità, a beneficiarne potrebbe essere proprio la Chinnici. Quella che avrebbe voluto escluderlo e oggi, sommessamente, potrebbe beneficiare della sua presenza. Come Lombardo.

Fra Totò e Raffaele ci sono stati momenti e lotte peggiori. Angustie e sgambetti reciproci. Ma le antipatie personali e politiche sono state calmierate da questa comune opportunità. Che nulla toglie, però, alla bellezza dello “scontro”. Chi prenderà un voto in più, avrà tutto il diritto di rivendicare il senso della propria presenza al governo e in Sicilia. Di diventare il suggeritore prediletto, o la stampella, di Schifani. Di essere l’ispiratore del prossimo candidato alla presidenza. E di mandare qualcuno in Europa. Qualcuno che non conterà mai come loro nell’Isola.