L’asticella del picco spostata sempre più in là (metà aprile?) è la prima fonte di preoccupazione per una Sicilia che, in queste ore di Coronavirus, più che con il contagio, è costretta a fare i conti con se stessa e con la propria fragilità. E si guarda allo specchio, in cerca di un appiglio che la tenga fuori da un dramma nazionale. L’obiettivo è salvare il salvabile e i numeri, al netto dei facili profeti di sventura, per il momento reggono. La Regione, all’interno della propria rete ospedaliera, aveva individuato 213 posti letto per i malati di Covid-19: ma a mezzogiorno del 26 marzo, quelli occupati sono meno della metà (68 in tutto).
Come detto, qualche motivo per sorridere ci sarebbe pure. Ma l’ansia ci comprime in uno stato d’incertezza, e non è detto che sia un male. Perché le criticità, negli ospedali siciliani, sono sempre dietro l’angolo. Una cosa che ci accomuna agli altri è la carenza di dispositivi di protezione individuale (Dpi): le mascherine, i camici monouso e i guanti mancano un po’ dappertutto. Musumeci, ieri pomeriggio dalla D’Urso, è stato lapidario: “Se Roma non ci ascolta corriamo il rischio di combattere una guerra con le fionde. Abbiamo chiesto 362 aspiratori elettrici e ce ne hanno consegnati zero. Cinquecentomila kit diagnostici, consegnati zero. Ventilatori elettrici, richiesti 416 e consegnati zero. Mascherine ffp2 e ffp3 richieste 5,2 milioni, consegnate 41.560. Mascherine chirurgiche richieste 13 milioni, consegnate 170 mila”. Sulle mascherine, fra l’altro, la Regione non ha alcuna possibilità di procacciarsele. E quelle giunte in dotazione da Roma, dallo stesso governatore sono state definiti “panni per pulire”. Per niente consoni all’attività di medici e infermieri, che in queste ore stanno dando il massimo, mettendo a repentaglio la loro stessa vita.
All’ospedale “Cervello” di Palermo, che è stato riconvertito in Covid Hospital, sono tre i medici contagiati dall’inizio dell’emergenza. E nelle ultime ore è partita una gara di solidarietà per reperire materiale: la Fondazione Franco e Piera Tutino, che si occupa di assistenza ai talassemici, ha aderito a due raccolte fondi, mettendo a disposizione il proprio conto corrente. La prima si chiama “Usiamo il Cervello”, ed è promossa dall’associazione Alessio Alessandra (per l’acquisto di un ecografo e un misuratore multiparametrico); la seconda è la meno poetica “Donazione per ospedale Cervello di Palermo”, e porta la firma di Laura Milioto (per l’acquisto di mascherine protettive, tute ecc). I soldi saranno messi a disposizione delle unità operative di Pronto soccorso, Rianimazione e Malattie Infettive.
Un’iniziativa più o meno simile è sbocciata nei giorni scorsi al Policlinico di Palermo “Paolo Giaccone”, dove Claudio Ventura Bordenca, dottore di ricerca in Scienze della Terra presso l’Università di Palermo, e il dottor Andrea Parlato, Dirigente medico ortopedico del Policlinico, sostengono la raccolta fondi online sulla piattaforma Gofundme, per acquistare con urgenza dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti, tute e camici sterili) e attrezzature quali monitor multiparametrici e ventilatori polmonari necessari per la cura dei malati di Coronavirus. Il Policlinico è l’ospedale che nei giorni scorsi ha subito – più volte – la visita dei ladri, che hanno portato via tamponi e oggetti di valore dagli spogliatoi di Medicina d’urgenza, complicando una situazione già critica.
Ed è lo stesso ospedale che da qualche mese non ha neppure un direttore generale (l’incarico di Carlo Picco è scaduto il 31 dicembre). La nomina spetta all’assessore alla Salute, in rappresentanza del governo, di concerto con l’università di Palermo. Il rettore Fabrizio Micari, già candidato alla presidenza della Regione siciliana (contro Musumeci), ha scelto dalla rosa dei cinque nomi prospettatagli da Razza, ma l’assessore – preso com’è dall’emergenza Covid – non ha ancora formulato il verdetto definitivo. Difficile possa accadere in questa fase. Anche se i sindacati, poco più di un mese fa, hanno denunciato il vulnus: “L’assenza della figura di Direttore Generale (…) – spiegavano in una nota – determina una incresciosa e precaria condizione del top management aziendale, che si riverbera in un gravoso rallentamento delle complesse attività assistenziali, inscindibilmente connesse a quelle accademiche. Inoltre tale contesto di lavoro determina situazioni di stress lavoro-correlato, vertiginosi cali degli standard qualitativi e di sicurezza previsti dalle norme vigenti in materia, oltre a compromettere la normale dinamica delle relazioni sindacali“. Uno scenario quasi apocalittico che “decreterà un inevitabile de profundis del nostro nosocomio”.
L’ultima polemica, legata alla gestione dell’emergenza, l’hanno sollevata ieri i medici di famiglia, che hanno contestato la sordità di Asp e assessorato alla Salute rispetto alle problematiche sollevate in queste settimane: “Noi lavoriamo a mani nude – hanno detto in una nota -. Non siamo dotati di dispositivi di protezione. Questo significa che possiamo contagiarci ed essere a nostra volta untori nei confronti dei pazienti che visitiamo. Tutto ciò non è più accettabile e attendiamo quanto prima delle risposte concrete”.
E’ proprio questa instabilità strutturale a far sorgere numerosi interrogativi sulla capacità di tenuta del sistema sanitario siciliano di fronte a una pandemia che mai nessuno avrebbe ipotizzato. Razza e Musumeci, dopo aver convertito numerose strutture regionali in Covid Hospital (le critiche non sono mancati, vedi Partinico), stanno prendendo precauzioni per il futuro. L’esigenza più rimarcata, oltre a quella di dotare il personale medico e sanitario di Dpi, è allestire i reparti di Terapia Intensiva. O, magari, crearne di nuovi.
Razza ha già spiegato che, a fronte dei 213 posti dedicati al Covid, e previsti da una stima iniziale, ne saranno liberati degli altri in tutta l’Isola: 246 entro il 10 aprile, 128 nei dieci giorni successivi. A regime, la Sicilia dovrebbe essere in grado di ospitare 587 malati gravi da Coronavirus. Non dipende solo da Palermo, ma anche da Roma e della celerità con cui riuscirà a rifornire di ventilatori polmonari e attrezzature varie la nostra sanità (la Consulta dell’Ordine degli Ingegneri di Palermo ne ha donato uno all’ospedale Civico). La provincia più equipaggiata sarà Palermo con 162 posti letto, seguita da Catania con 128 e Messina con 111. Inoltre, 2.800 posti letto verranno ricavati – per gli altri pazienti Covid, quelli che necessitano delle cure di base – all’interno di altri reparti ospedalieri. La dotazione maggiore spetta a Catania (692 postazioni) davanti a Palermo (674) e Messina (458).
C’è dell’altro. Le Opere Pie siciliane hanno messo a disposizione 800 posti letto per chi necessita di fare la quarantena, così come gli hotel, che hanno siglato specifiche convenzioni con la Regione, per garantire un isolamento sicuro a chi è guarito clinicamente, ma è ancora in attesa di un tampone negativo. Eccolo l’ultimo nodo da sciogliere: i tamponi. Razza ha preso l’impegno a effettuare test a campione sui 35 mila siciliani rientrati dal Nord, che adesso si trovano in quarantena. Ma al momento, come chiedono le opposizioni in Assemblea regionale, la priorità è testare “tutti gli operatori sanitari, compresi i medici di famiglia”, oltre che “tutte le figure professionali più esposte al rischio di contagio”. Solo in questo modo sarà garantito a tutti di lavorare in sicurezza. E di smentire i luoghi comuni più diffusi, e per larga parte veritieri: “Si tende a far passare l’idea che la Sicilia non riesce a far fronte a una crescita epidemica del contagio – ha ammesso l’assessore Razza – Ma ci stiamo attrezzando”.