Angelino Alfano è stato ministro della Giustizia, ministro degli Esteri e vice presidente del Consiglio. Oggi è il capo del gruppo San Donato, un impero dell’ospedalità privata. Renato Schifani è stato capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama e presidente del Senato. Dal 26 settembre è il governatore della Regione e l’altro ieri ha firmato con Alfano un accordo di otto milioni per riportare a Palermo, a distanza di dodici anni, un reparto di cardiochirurgia pediatrica (all’ospedale ‘Civico’). Poi c’è Gianfranco Miccichè, al quale Berlusconi ha affidato, fin dall’inizio, le sorti degli azzurri in Sicilia. E’ stato vice ministro dell’Economia e, per due mandati, presidente dell’Ars. Ora insiste con Schifani per avere l’assessorato alla Sanità. Sono tutti e tre figli del ’94, anno della discesa in campo del Cavaliere. Si amano, si odiano, si ritrovano. La sanità li unisce e li divide.
Specie Schifani e Micciché, che si contendono la poltrona più ambita. A piazza Ottavio Ziino, sede dell’assessorato alla Salute, non mancano gli scandali e neppure le rogne. Ma sembra non importare a nessuno. Quel palazzo è l’arena del potere (del governo che verrà e di quelli passati). Il luogo da cui è possibile gestire un budget smisurato, che equivale a 9 miliardi l’anno, il 40% del bilancio regionale. Comporta responsabilità, come ovvio. Ma la paura di un avviso di garanzia val bene una messa. O un incarico. Prendete Re Ruggero: nonostante il coinvolgimento nell’inchiesta sui dati Covid, che gli è costato un capo d’imputazione (per falso) e un processo (alle porte), Nello Musumeci decise di richiamarlo in giunta a un paio di mesi dalle dimissioni, provocate da quella frase infelice sui “morti spalmati”.
La sanità è una torta assai ghiotta, che consente di dare risposte. Non solo ai siciliani, che pure le esigono: sulle liste d’attesa, ad esempio; o sui pronto soccorso, sempre più a corto di personale, e divenuti terra di conquista per barbari e male intenzionati. Ma, soprattutto, a tutto ciò che gravita attorno alla politica e ai governi: ad esempio, l’ospedalità privata, gli specialisti e i laboratori convenzionati. Senza dimenticare gli affari correnti: dalle nomine, diventate un culto irrinunciabile per l’amministratore di turno; alle assunzioni, che specie in campagna elettorale, e pur nella legittimità dei provvedimenti (senza concorso, di solito, non si canta messa), rappresentano un nullaosta per la creazione del consenso. E di medici e infermieri, in Sicilia, c’è bisogno più che mai.
E’ curioso che a contendersi questo immenso bottino, si ritrovino alcuni esponenti storici del berlusconismo. Sebbene in tempi diversi. Angelino Alfano, il delfino senza quid, è ai margini della politica attiva (ormai dal 2018, quando scelse di mollare la sua stessa creatura: Alternativa Popolare). E nonostante il riavvicinamento col vecchio Cav., avvenuto da qualche tempo, non ha ricercato spiragli per tornare protagonista. Protagonista lo è diventato in ambito sanitario, giacchè dal luglio 2019 è balzato a capo della governance del gruppo San Donato, che gestisce 19 ospedali (tra cui 3 Irccs – Istituti di carattere e cura a carattere scientifico), e dal 2012 il colosso milanese del San Raffaele, ove Berlusconi è solito recarsi per i controlli di routine. Lo stesso gruppo ha vinto un bando del Civico-Arnas di Palermo per riportare la Cardiochirurgia infantile in città entro la metà del 2023. Il contratto per l’affidamento triennale, con eventuale rinnovo di 24 mesi, prevede un servizio di assistenza medica, infermieristica e consulenza medica specialistica alla nuova Unità operativa complessa.
Alla firma Alfano non c’era. Ma assieme al suo vicepresidente, Kamel Ghribi, s’è fatto vivo il neo governatore siciliano, Renato Schifani, che ha elogiato il “matrimonio integrato fra pubblico e privato”. Aveva ribadito le proprie intenzioni specie durante la campagna elettorale: “Per lo stop alle liste d’attesa – disse durante il confronto Rai con gli altri candidati – serve il coinvolgimento del privato per eseguire indagini strumentali se il costo è uguale”. Un’apertura netta e inequivocabile, rafforzata dalla firma col gruppo San Donato. Che Schifani ci tenga oltremodo alla Sanità, è dimostrato dall’atteggiamento decisionista con cui rispedisce al mittente le proposte dei partiti – o meglio, del suo partito: Forza Italia – sull’occupazione di quella casella in giunta. “Decido io”, è il refrain.
L’ultima proposta, emersa dal vocio del suo staff, riguarda Anna Maria Palma, viceprocuratore generale di Palermo, ex capo di gabinetto di Schifani al Senato. Una persona di cui si fida. Peccato che nel curriculum, senz’altro eccelso, del magistrato, la voce ‘sanità’ non compaia da nessuna parte. Di Anna Maria Palma si ricordano le lacrime, in aula, durante il procedimento per calunnia aggravata nell’ambito del depistaggio di Via d’Amelio. Ma nessun intervento contro le liste d’attesa, per dirne una. Non sembra, insomma, dotata della “competenza necessaria” (reclamata dallo stesso Schifani) per imporsi alla guida di un assessorato assai delicato. A meno che il neo governatore non emuli Raffaele Lombardo, il quale assegnò la delega a un altro magistrato di calibro: Massimo Russo. Una garanzia morale, innanzi tutto.
Anche Gianfranco Miccichè, un altro figlio del ’94, è interessato alla torta. Più che altro, dopo aver visto troppe stranezze nel corso dell’ultimo quinquennio: “Se uno lascia ad un presidente della Regione che ha un partito del 3 per cento anche l’assessore alla Sanità, che ogni tanto lavora per noi ed ogni tanto contro, allora l’errore è mio”, si era sbilanciato il presidente dell’Ars a novembre dell’anno scorso. Paragonando l’assessore Razza a un “imperatore”. Ed evidenziando alcune anomalie: “Io credo che la Sanità sia uno di quegli assessorati in cui fare cambiamenti radicali – disse in un’intervista a Repubblica – Non possiamo litigare con tutti. I medici della medicina generale ci fanno causa perché hanno lavorato gratis, le associazioni sono infuriate. È un problema da risolvere”. Vorrebbe pensarci lui, o al massimo delegare qualcuno dei suoi: le principali indiziate sono donne.
L’ultima tentazione, come racconta ‘La Sicilia’, è Giovanna Volo, classe ’55: fino al 2020 ha rivestito l’incarico di direttore sanitario del Policlinico Giaccone. Attraverso la sorella Grazia, avvocato e storica compagna del giornalista Paolo Liguori, è un’amica di famiglia dei Micciché. Nonchè la mossa a sorpresa di Renato Schifani, che l’avrebbe sondata per proporgliela. Poi ci sono i ‘classici’: da Daniela Faraoni, direttore generale dell’ASP di Palermo; a Barbara Cittadini, presidente dell’Aiop. Ma il coordinatore di Forza Italia non disdegna nemmeno Toti Amato, presidente dell’Ordine dei Medici di Palermo.
A proposito della Cittadini, c’è un altro discepolo del Cav., poi passato col Pd, che oggi si trova ob torto collo invischiato negli scandali della sanità siciliana. Si tratta dell’ex parlamentare Dore Misuraca, forzista della prima ora e marito di Barbara. E’ iscritto nel registro degli indagati della Procura di Palermo perché avrebbe tentato di turbare una gara d’appalto da 66 milioni. Come? Intervenendo su Fabio Damiani, l’imputato di lusso, quando era a capo della Centrale Unica di committenza. Addirittura – come scrive Riccardo Lo Verso su Live Sicilia, basandosi sugli audio consegnati da Damiani agli inquirenti – per far arrivare una ditta seconda. Parabola surreale quella di Misuraca. Il suocero, Ettore Cittadini, fu assessore alla Sanità del primo governo Cuffaro, dal 2001 al 2004, dove era entrato da ‘tecnico’. Se ne andò per fare spazio a Giovanni Pistorio: “Mi è stato spiegato – disse al momento dell’encomio – che, nell’eventualità di elezioni alle porte, occorre rafforzare il controllo politico del voto. E’ una cosa che mi preoccupa, perché nella Sanità l’acquisizione di consensi elettorali si ottiene solo elargendo favori e agevolando categorie. E credo che in questo momento non lo si possa fare”. Né allora né mai. Eppure…