Pazienti che arrivano e medici che vorrebbero andar via. Nonostante i lavori d’ampliamento celebrati su Facebook dal coordinatore della struttura tecnica anti-Covid, Tuccio D’Urso, il pronto soccorso dell’ospedale Villa Sofia resta un inferno. Per i sanitari i turni sono massacranti, ma per i pazienti è anche peggio: costretti ad attendere sulla barella per ore prima di essere presi in carico. Questo è il risultato di uno schema a fisarmonica che ha smesso di dare i suoi frutti. Di una sanità extra Covid gestita coi piedi e ridotta sul lastrico, a metà fra il sovrumano e l’indegno. Villa Sofia è l’unico ospedale non trasformato in presidio Covid, per questo risente di un flusso enorme di accessi. Ma i medici sono appena tredici, rispetto a una dotazione organica che ne prevede 31. Ma grazie alla pessima pubblicità di queste ore, al concorso si presenteranno in pochi. “Nessuno vuole affogare in un pronto soccorso – spiega Giuseppe Bonsignore, dirigente del sindacato dei medici ospedalieri (Cimo) -. Tanti colleghi vorrebbero letteralmente scappare. Ricevo telefonate di medici in lacrime. C’è chi mi ha raccontato di avere anche cinquanta pazienti fuori la porta”.

Un groviglio inestricabile di lacrime e delusione. L’istantanea di una sanità che arranca sotto i colpi del Covid e di una governance che continua ad essere impreparata a ogni ondata. Qui la storia di ripete ormai da due anni. La pandemia non ha insegnato nulla, ha soltanto complicato le cose. Villa Sofia è la risposta a chi fa sfoggio dei propri risultati sfavillanti, che non andrebbero misurati in nuovi posti letto, ma in medici, cioè coloro che rendono i posti letto “realmente operativi”, e dignità. Villa Sofia è un posto dove persino il primario, il dott. Aurelio Puleo, ha smesso di credere nei miracoli. E prova a esorcizzare l’imbarazzo. “Chi ha un’urgenza drammatica si precipiti ovunque – ha detto a Live Sicilia -, nel minore tempo possibile. Gli altri compiano una valutazione sul posto migliore a cui rivolgersi, nel loro stesso interesse. E, se possono, vadano altrove”.

Parole in parte destabilizzanti. Suggeriscono, di fatto, che il pronto soccorso non è affatto pronto ad accogliere. Che persino in ospedale, dove il confine tra la vita e la morte diventa sempre più labile, è difficile trovare cura. E impossibile trovare pace. La sanità siciliana, che si esalta per la classifica sulla capacità di spesa  riguardo al potenziamento delle strutture ospedaliere (è prima in Italia, secondo Razza), che si prepara ad annettere novemila precari Covid pur sapendo di non poterlo fare, che si appresta alle grandi manovre primaverili per la scelta dei direttori generali, che è al centro di un dibattito infuocato sul Pnrr (capace di ridurre in pezzi la maggioranza e umiliare l’Assemblea), non ha la forza per interrogarsi su quanto accade a Villa Sofia. E soprattutto per rimediare. La sanità al servizio dei pazienti si misura da queste cose. Non dai messaggini ai sindaci per promettere case e ospedali di comunità. Quella è propaganda. Quella è un’altra cosa.