Si dice che nel piccolo centro di Ragalna, dove sorge la casa di vacanza di Ignazio La Russa, Fratelli d’Italia abbia rotto gli indugi per arrivare alla nomina di direttori sanitari e amministrativi della sanità, dando il via al “balletto inqualificabile” denunciato da Renato Schifani. Quel che è certo è che il presidente del Senato, da un paio d’anni a questa parte, s’è ritagliato un ruolo da protagonista – neanche tanto silenzioso – nelle vicende politiche che interessano l’Isola. A partire dall’estate 2022, quando La Russa propose a Berlusconi, col chiaro intento di assumersene la paternità, il nome del forzista Renato Schifani come futuro presidente della Regione. Touché. I patrioti perdevano Musumeci, sacrificato sull’altare di una coalizione litigiosa; La Russa si guadagnava un credito di riconoscenza pressoché infinito, con la garanzia di entrare a gamba tesa su qualsiasi vicenda locale – a partire dal sottogoverno – e poterla spuntare (tale era il debito di riconoscenza della coalizione nei confronti di FdI per la mancata riconferma del Pizzo Magico).
La scalata del futuro inquilino di Palazzo Giustiniani è diventata poderosa. Ha iniziato a materializzarsi con l’elezione del suo delfino, Gaetano Galvagno, alla presidenza dell’Assemblea regionale, poi è proseguita con l’imposizione di Elena Pagana e Francesco Scarpinato nella giunta di governo, nonostante il diktat di Schifani che aveva chiesto -espressamente- di indicare degli assessori eletti anche all’Ars. La Russa è il quinto santone della politica siciliana, dopo quelli accennati nei giorni scorsi. E cioè: l’attuale governatore, due “ex” (Cuffaro e Lombardo) e Totò Cardinale. La Russa è il quinto, ma entra di diritto sul podio dei più influenti. Non solo per aver indirizzato le nomine della sanità (così suggerisce un retroscena de ‘La Sicilia’, rilanciato dal segretario regionale del Partito Democratico) ma per avere ampio margine di manovra anche a livello di sottogoverno.
Nello spaccato presentato ieri da Repubblica, gli viene attribuito uno dei due componenti siciliani della commissione paritetica Stato-Regione (cioè Giuseppe Salvatore Failla, socio di studio di Rosaria Natoli, già “dismessa” dal Csm); mentre nel consiglio d’amministrazione della Fondazione Federico II – dopo l’addio di Patrizia Monterosso, liquidata con una Pec da Galvagno – siede l’architetto Francesco Finocchiaro. Di Paternò come La Russa e come Agata Marzola, che presiede il collegio sindacale della medesima fondazione. Peraltro, al battesimo dell’iniziativa condotta in sinergia con la Pinacoteca di Brera (che prevede il trasferimento e l’esposizione di cinque sculture al Palazzo Reale di Palermo) era seduto in prima fila il figlio maggiore di La Russa, Geronimo. Che ha posato al fianco di Galvagno con esuberante disinvoltura. La Russa jr, lo scorso anno, è stato nominato nel Consiglio d’amministrazione del Piccolo Teatro di Milano ed è presidente dell’Aci nel capoluogo lombardo: cosa c’entrerà mai con la cultura?
Ai più curiosi non resterà che aspettare. Nel frattempo La Russa muove altre pedine: un altro avvocato di Paternò, Fortunato De Martino, è consulente del presidente dell’Ars fino al prossimo 30 settembre. Mentre per la direzione artistica del Teatro Massimo – ma qui bisognerà considerare i difficili incastri fra i desiderata del presidente della Regione e quelli del sindaco di Palermo, Roberto Lagalla – continua a circolare il nome di Beatrice Venezi. Che non è di Paternò, ma appartiene alla stessa area politica del presidente del Senato e conta sulla benevolenza di Schifani e dei suoi amici, a cominciare da Andrea Peria, che corre per la poltrona di sovrintendente.
Anche se l’ambizione mai rivelata pubblicamente è fare strada in politica, alimentando le legittime aspirazioni di Galvagno. Divenuto presidente dell’Ars all’inizio di questa legislatura, il “gioiellino” di FdI, a neanche 40 anni, è il candidato numero uno alla successione di Schifani, almeno per i patrioti. Con buona pace di Re Renato. Dovrà superare le ambizioni di Edy Tamajo, ma è già sicuro del supporto di un altro catanese doc come Raffaele Lombardo. La Russa, inoltre, ha spostato il proprio baricentro verso l’ala musumeciana del partito, facendosi fotografare assieme all’amico Nello, in prossimità di Ferragosto, per lanciare un chiaro segnale d’unità e compattezza. Anche la corrente turistica di Manlio Messina dovrà farsene una ragione, così come la Lega d’ispirazione sammartiniana (che vanta al suo interno l’eurodeputato Raffaele Stancanelli, entrato a pieno titolo fra i “nemici” di ‘Gnazio): la strada verso Palazzo d’Orleans passa da Paternò.
L’ultimo a desistere potrebbe essere lo stesso Schifani, che non ha mai osato contrastare le mire espansionistiche di La Russa – sa di aver occupato quella poltrona grazie a lui – e anzi ha invocato il suo supporto per evitare di fare strage di rancori: come quella volta in cui, all’indomani del pasticcio su Cannes, era pronto a scaraventare Scarpinato fuori dall’esecutivo. Un passaggio con La Russa s’è reso necessario per organizzare il turnover con l’Amata ai Beni culturali. Ed è a La Russa che si è rivolto il governatore per sfogare la sua rabbia dopo lo “scippo” di Salvini da oltre un miliardo sul Ponte. Il rapporto fra i due, finora, si è sempre dimostrato solido. Ma le aspirazioni future potrebbero confliggere. In quel caso, aggiornare la black list.