E’ un esperimento artistico, con alla base un’operazione (quasi) chirurgica. Che prevede l’utilizzo di un collarino per tenere insieme, o meglio, rimettere insieme, il torso del kouros di Lentini e la testa Biscari. Entrambi – si è appurato – appartenevano allo stesso kouros, ossia una di quelle statue greche, raffigurante solitamente un giovane, realizzata con funzione funeraria o votiva fra il VII e il V secolo avanti Cristo. L’opera, riesumata dalla storia, si trova esposta, nella sua nuova composizione, a Palazzo Branciforte, nel cuore di Palermo. E a rendere possibile tutto ciò, oltre a un comitato scientifico che si è occupato dei lavori sotto la supervisione dell’assessore regionale Sebastiano Tusa, è stata la Fondazione Sicilia. Diretta da Raffaele Bonsignore.
Dopo aver realizzato 15 mostre nell’anno di Palermo capitale italiana della Cultura, la fondazione ha raccolto l’idea di Vittorio Sgarbi, prima di dimettersi da assessore, traducendola in realtà. E non è un caso che domenica scorsa una folla incuriosita si sia recata a Palazzo Branciforte per ammirare la nuova creatura prendere vita: “Già dal 1927 – esordisce Bonsignore – alcuni archeologici ritenevano che il torso e la testa appartenessero allo stesso kouros. Facendosi forte di alcune indagini compiute recentemente dal professor Lanzarini dell’Università di Venezia, che ha appurato come i marmi derivassero dallo stesso blocco, Sgarbi ha avuto l’idea di riunirli e si è rivolto alla Fondazione per finanziare il progetto. Noi ci siamo occupati di tre fasi: quella del restauro; quella della progettazione che, grazie al coinvolgimento dell’Università, ha permesso di riunire testa e dorso in maniera reversibile; e quella dell’esposizione, che rimarrà aperta a palazzo Branciforte fino a metà gennaio”.
Della prima parte si è occupato il centro regionale del Restauro. Alla “reunion”, invece, hanno contribuito il professore Fabrizio Agnello, della facoltà di Architettura dell’Università di Palermo, e Filippo Cucco, docente di Scienze delle Costruzioni. Questa protesi non invasiva è stata applicata dopo aver completato degli studi d’avanguardia. Con questo coinvolgimento in un esperimento di tipo scientifico ed archeologico, la Fondazione Sicilia ripercorre le orme della Fondazione Banco di Sicilia, da cui deriva naturalmente: “La collezione archeologica esposta alla Cavallerizza di Palazzo Branciforte – fa sapere Bonsignore – conta 4700 reperti. Una buona parte sono stati ottenuti grazie al finanziamento di Vincenzo Tusa, padre di Sebastiano, negli anni ’50 e ’60. Oggi la Fondazione torna a fare un investimento in archeologia mettendo insieme i pezzi del kouros, e il curatore del progetto è proprio Sebastiano Tusa. E’ come un cerchio che si chiude”.
La risposta del pubblico, nel giorno dell’inaugurazione, è stata confortante. Ma quello che è riuscito meglio a Bonsignore è il fatto di aver promosso (con ottimi risultati) il dialogo fra due entità museali diverse, il Museo Civico di Catania, dove era esposta la testa, e il Museo Archeologico di Siracusa, che ne ospitava il torso: “E abbiamo messo in contatto anche tre città: oltre a Catania e Siracusa, dove l’opera tornerà temporaneamente – unita – al termine dell’esposizione di palazzo Branciforte, anche Palermo, dove si è realizzato il restauro. Ora occorre che queste entità continuino a parlarsi: perché sarebbe una follia scomporre il kouros dopo aver fatto questo lavoro certosino. Testa e torso devono rimanere insieme”.
Nell’anno di Manifesta e di Palermo capitale italiana della Cultura, la Fondazione Sicilia si è ritagliata un ruolo di prestigio. Ad esempio, come si è accennato in apertura, con la realizzazione di ben 15 mostre, suddivise tra le due sedi di Palazzo Branciforte e Villa Zito: “Solitamente si tratta di esposizioni legate al nostro patrimonio, come nel caso della mostra sulle maioliche al Monte dei Pegni di Santa Rosalia. Poi abbiamo accolto il ritorno di Donna Franca Florio, che abbiamo ospitato a Villa Zito prima del rientro alla casa madre del Berlingieri. A Manifesta siamo stati protagonisti con tre eventi collaterali, tra cui spiccava “Terra di me”, un’esposizione di giovani artisti che avevano un filo conduttore unico, come i viaggi dei migranti, oppure l’installazione di arte contemporanea di Lara Favaretto. Cerchiamo sempre di coinvolgere degli artisti palermitani contemporanei e farli dialogare con le nostre collezioni”.
Ma la Fondazione Sicilia si è anche occupata di restauro, come nel caso dell’icona di Guglielmo II esposta al Duomo di Monreale, organizza il premio Mondello e il giornale in classe, sposa progetti di volontariato. Opera a 360 gradi nel sociale e prova a offrire un contributo d’idee, ed economico, laddove serve. “Il 2018, per Palermo e per la Sicilia, non va considerato come un punto d’arrivo. E’ una tappa importante, che è servita a tutti a livello di visibilità. Ma le istituzioni hanno il dovere di proseguire in questo percorso. Credo sia necessaria una regia comune, un collegamento che possa aiutare Palermo a utilizzare arte e cultura come un momento economico di crescita. E poi, riflessione che rischia di apparire banale ma non lo è, c’è bisogno di infrastrutture e interventi. La Fondazione, per quello che rientra nelle sue possibilità e competenze, è pronta a dare una mano. Ma non possiamo essere noi – conclude Bonsignore – a caricarci di disfunzioni che esistono da decenni”.