L’ultimo lembo di terra, separato dal Continente, che ti appare di fronte al naso quando decolli da Punta Raisi, è l’Isola delle Femmine. Quella selvaggia, incantevole, dove non esiste l’abusivismo (la zona non è edificabile), la “borgata” dell’omonimo comune di quasi 8 mila anime. Che presto potrebbe avere un padrone: “Stiamo studiando come potrà essere la proprietà. Magari 35 mila quote da dieci euro. Una fondazione. Un’impresa sociale. O un trust. Di sicuro sarà una proprietà collettiva femminile”. L’Isola delle Femmine alle femmine. E’ questo il progetto di Marcella Caldas, architetta, drammaturga, un po’ colombiana un po’ spagnola, ma soprattutto palermitana. Che ha svelato, assieme ad alcune colleghe – fra cui Valentina Guerra, art producer – la trovata così innovativa.
Queste sognatrici hanno raccolto al volo l’invito di una agenzia immobiliare di Arezzo, che sul proprio sito ha pubblicato l’annuncio di vendita di questa isola: zero stanze, zero piscine, quindici ettari calpestabili. Per un costo che si aggira sui tre milioni e mezzo. La cosa più difficile, spiega la Guerra, è rintracciare i proprietari: “Ho comprato il foglio catastale – racconta a Michele Masneri de “Il Foglio” – ma sul catasto l’isola non c’è. La proprietà ufficialmente è di Paola Pilo Bacci (l’erede di Rosolino Pilo, il patriota che guidò i moti antiborbonici nel 1848), ma non ci sono documenti. L’isola è loro dal 1600, ma non è che c’è il rogito. Poi c’è anche una famiglia di avvocati che sostiene che catastalmente sia loro, e che sia passata loro per enfiteusi”. Che non si è capito bene cosa sia.
Ma l’incertezza nulla toglie al fascino dell’impresa. Di queste donne che vorrebbero costituire uno “stato sovrano”, un approdo simbolico al femminile. In quest’isola che deve il proprio nome (forse) a tredici fanciulle turche che furono abbandonate lì dai propri mariti per aver compiuto azioni poco carine. E poi furono riprese, ottenuto il perdono, e ricondotte col nido familiare sulla terraferma. Ma ne esistono tante di versioni, tutte affascinanti. Come quella di Stefania Galegati, altro membro del gruppo femminista, che da dieci anni ha lasciato New York e si è trasferita a Palermo: “Fimi, variante storpiata di Femio, a sua volta derivante da Eufemio, governatore bizantino di Messina. Altra presunta origine potrebbe essere la derivazione dal nome latino “Fimis”, a sua volta latinizzazione del termine arabo “fim”, che segna lo stretto canale che separa l’isola dalla costa”.
Tante isole per una sola isola. Ma cosa vogliano farci queste ragazze così impegnate rimane tuttora un mistero che non sembra necessario svelare: “Eravamo affascinate dall’esperienza di quegli eccentrici che fondano stati sovrani” spiega la Caldas. Ma questa nuova proprietà, ammesso che si trovino i soldi e i documenti per comprarla, potrebbe diventare sostanzialmente un simbolo artistico, la volontà pragmatica dell’affermazione di genere. La riconquista del Continente: “In Sicilia il maschio non fa niente, è decorativo. Le donne invece sono fortissime”.