Il parco macchine dell’Esa, l’Ente di sviluppo agricolo della Regione siciliana, è insufficiente e obsoleto. Ai pochi che non lo sapessero, lo ha rivelato il Movimento 5 Stelle con una proposta tramutata in legge, che “mette ogni Comune, Libero Consorzio o Città metropolitana, nelle condizioni di chiedere ad ogni altro ente pubblico sul territorio regionale mezzi o attrezzature per programmare interventi di manutenzione ordinaria della viabilità o di natura idraulica”. A fare scattare l’allarme è un dato fornito da Luigi Sunseri, deputato grillino all’Ars: “Durante l’alluvione del novembre scorso nel Palermitano, che fece 11 morti – ha spiegato l’onorevole – abbiamo scoperto che l’Esa di Palermo in quel momento non solo aveva un unico trattore funzionante, tra l’altro non idoneo a liberare dai detriti le strade, e un esercito di trattoristi (68), ma che questi non potevano essere chiamati in causa perché non potevano prendere in prestito mezzi in forza allo stesso ente, ma sotto la direzione degli uffici di Agrigento. Questi mezzi si trovavano a Sciacca, e, quindi, non potevano esser usati a Corleone”. E’ possibile che non ci fossero le risorse economiche e i mezzi per assicurare il trasporto dei pochissimi cingolati e gommati in dotazione.
Questa leggina, di per sé elementare (perché nessuno ci aveva mai pensato?), sana una delle mille contraddizioni che attanagliano l’Ente di sviluppo agricolo, la società partecipata della Regione che a inizio legislatura il presidente Nello Musumeci annunciava di voler chiudere: “E’ l’ultimo vergognoso carrozzone della Prima repubblica” disse il governatore. Da quel proclama, però, non è mai intervenuto un provvedimento di legge che cancellasse questo acronimo ingombrante – E.S.A. – per assorbire dipendenti (600 tra lavoratori di ruolo e stagionali) e funzioni (l’Esa risale alla riforma agraria) nel nuovo Dipartimento dell’Agricoltura, largamente annunciato. Annunciato e basta. L’attualità, invece, parla di un ente in dissesto e, da dieci mesi a questa parte, senza nemmeno un presidente che si occupi di garantire una prospettiva di indirizzo politico-amministrativo.
Ci aveva provato Nicola Caldarone, dirigente di Forza Italia, capo di gabinetto vicario nell’assessorato di Edy Bandiera. Ma dopo qualche mese, fu invitato a farsi da parte (sarebbe dovuto subentrare un esponente dell’area di Diventerà Bellissima). Dal 25 ottobre, giorno in cui l’ex presidente rassegnò le dimissioni dall’incarico, il Consiglio d’Amministrazione dell’Esa è rimasto monco. Ne fanno parte due consiglieri in rappresentanza delle organizzazioni di categoria – Calogero Sardo e Giosué Catania – che non hanno alcun potere d’intervento. Esiste a malapena un direttore generale, il dott. Fabio Marino, l’ex capo della segreteria tecnica dell’assessore “dem” Cracolici, il cui incarico cesserà il 31 agosto (ma lui è in ferie fino al 29). L’emblema della mala gestio.
Per le delibere urgenti e indifferibili, è stato nominato un commissario ad acta (entrambe le volte Vito Sinatra, proveniente dal gabinetto di Cracolici), ma il Cda non si è mai dotato di una guida di stampo politico che potesse intraprendere un’interlocuzione col governo, avere rapporti coi dipendenti e tanto meno procedere all’approvazione dei rendiconti e dei bilanci di previsione. Ed è su questo punto che la storia si fa greve.
I bilanci approvati da Nicola Caldarone nella sua breve permanenza all’Esa (addirittura dieci in sette mesi), sono stati ritirati e sottoposti all’ennesima, lentissima verifica del collegio dei revisori dei conti. I quali, fra l’altro, non proseguono nell’esame dei rendiconti 2017 e 2018 dato che il governo, a detta loro, non avrebbe approvato i bilanci consuntivi e di previsione precedenti a quegli anni. Ciò in barba alle diverse e reiterate formali indicazioni dell’assessorato all’Economia e del Ragioniere generale, che invitavano perentoriamente alla definizione dei documenti finanziari pendenti, onde evitare ritardi nei finanziamenti a favore dell’ente e conseguenti danni all’erario. Le responsabilità si perdono nei rivoli della burocrazia e dei pareri tecnici mai pervenuti. Ma il fatto, questo sì di scottante attualità, è che “gli organi di amministrazione degli enti (…) che non adottano il rendiconto generale o bilancio d’esercizio entro il 31 maggio dell’anno successivo (norma poi modificata al 31 luglio, n.d.r.) decadono e l’Amministrazione regionale che esercita la vigilanza amministrativa nomina immediatamente uno o più commissari per la gestione dell’ente, per l’immediata adozione del documento contabile e per la ricostituzione dell’organo di amministrazione decaduto” (legge regionale n.16/2017). Il dato certo è che la Regione non ha mai colmato questa lacuna: cioè, non ha mai nominato un commissario straordinario per l’approvazione dei documenti contabili. Per questo – come scrivono i sindacati in una nota recentissima – potrebbero venire a “configurarsi omissione di atti d’ufficio, nonché sicuramente gravi danni all’erario”.
C’è di più. “Il bilancio consolidato della Regione – trasmesso alla Corte dei Conti – risulterebbe privo di un dato “reale” relativo all’ente pubblico E.S.A. stante la non approvazione del rendiconto 2017”. Il rischio di fornire alla Corte dei Conti numeri non veritieri, come sottolinea la nota di Cgil, Uil e Ugl, è molto forte. Rischi che si aggiungono a rischi. E che denotano la difficoltà finanziaria di un ente già provato da continui pignoramenti, da contenziosi aperti, da un debito di 10 milioni per opere di canalizzazione non completate. Che soldi ne girino pochi, però, è anche responsabilità della Regione: l’Esa vanta un credito da 28 milioni dal biennio 2006-08, quando Palazzo d’Orleans acquistò dall’Ente di Sviluppo Agricolo cinque immobili senza sborsare un centesimo. Una sentenza passata in giudicato, a cui la Regione non si è mai appellata, diede ragione all’Esa e quantificò il debito esigibile in 28 milioni di euro che andrebbero recuperati. Subito.
Ma dietro l’Esa e le sue querelle burocratiche, che fanno malissimo alla pubblica amministrazione siciliana, si cela una platea di 600 lavoratori: 200 sono dipendenti di ruolo, 400 trattoristi stagionali. Che si occupano della pulizia degli alvei dei fiumi, del ripristino della viabilità stradale e degli interventi di protezione civile, e si catapultano in caso di emergenza, come per l’alluvione del novembre scorso. Ma la legge regionale n.6/1997 (art. 32, comma 6) prevede che “l’erogazione della seconda semestralità, da effettuarsi esclusivamente nell’anno di competenza, è condizionata alla presentazione del conto consuntivo dell’anno precedente”. Quindi: niente rendiconto, niente erogazione dei finanziamenti, e mesi di ritardo nel pagamento degli stipendi (e solo grazie alle proteste dei lavoratori).
E’ una situazione che si è presentata diverse volte negli ultimi anni e che è stata sbloccata dopo lunghe vertenze. Ma si riproporrà a breve, quando il funzionario dell’assessorato all’Economia delegato a registrare i decreti dell’assessorato all’Agricoltura, e dell’Esa in particolare, si potrebbe astenere dal firmare il decreto di attribuzione dei fondi perché, come prevede la legge, attende che siano approvati dapprima i rendiconti arretrati. E’ come un cane che si morde la coda, e fa tanto male. I sindacati e i dipendenti stanno facendo pressioni sull’assessore per la registrazione. Probabilmente, dopo un tira e molla, gli stipendi saranno versati. Gli altri debiti che l’Esa deve pagare, invece, porteranno a contenziosi e pignoramenti con evidenti danni all’erario.
Il guaio peggiore, determinato dall’assenza di un presidente, è che i dipendenti non hanno la possibilità di comunicare all’Inps i dati relativi al loro pensionamento, perché non c’è nessuno che li firmi. E come se non bastasse, gli stessi dipendenti, dall’ottobre del 2012, attendono di passare dal contratto dei Ministeri a un contratto collettivo regionale di lavoro (entro 60 giorni ci si sarebbe dovuti adeguare alla riforma approvata dal governo). Fin qui nessuno ha fatto niente, a parte le organizzazioni sindacali che procedono a suon di esposti alla Procura della Repubblica. E’ l’unica arma a disposizione. L’adesione a un contratto collettivo, oltre a fornire garanzie sul piano economico, avrebbe portato in dote una migliore regolamentazione del tessuto burocratico e amministrativo dell’Esa.
L’ultima chicca di questa storia arriva dalla Regione, che nell’ultimo bilancio triennale non ha destinato un euro all’Esa per il 2021. Forse perché c’è la volontà di chiuderlo, o di lasciarlo morire lentamente. Un obiettivo, per la verità, che è quasi stato raggiunto. Peccato che attorno ai problemi dell’Ente di Sviluppo Agricolo – le cui funzioni andrebbero aggiornate, così come le risorse (sia umane che meccaniche) – si aggrappi la vita di 600 famiglie. La mancata nomina di un presidente, o di un commissario straordinario, denota un lassismo insopportabile. Comunque vada, non sarà un happy ending.