L’anno zero del Pd siciliano comincia da un quesito: è meglio celebrare il congresso regionale a porte chiuse, o, nel rispetto dello statuto, garantire il voto a tutti i potenziali elettori? Antonello Cracolici ha poca voglia, quasi nessuna, di cavalcare la polemica. Le fratture che sembravano insanabili – da Faraone in poi – si sono lentamente rimarginate. E il tesseramento, che si è chiuso il 7 gennaio scorso con 13 mila iscritti, è una base da cui ripartire: “Non sono like, ma persone che hanno pagato per avere la propria tessera. E solo quella…”, spiega il deputato regionale. “Non esiste più il principio delle tessere multiple. Il sistema di tracciabilità online lo ha disinnescato”.
L’avete pagato in termini numerici. Prima avevate 40 mila iscritti, ora meno della metà.
“E’ chiaro che dal punto di vista della rappresentanza, il numero degli iscritti è molto esiguo rispetto al fatto che il Partito Democratico in Sicilia raccolga 250-300 mila voti. Forse stiamo parlando del 5% del nostro potenziale. Bisognerà fare sforzi ulteriori, ma ci sono interi paesi che non hanno fatto il tesseramento per via di qualche difficoltà con la procedura online. Il punto non è quanti siamo, ma che ci siamo”.
Mentre Zingaretti pensa di sciogliere il Pd e lanciare un nuovo partito, in Sicilia è ripartito il toto-nomi per il congresso. I ragionamenti non sembrano convergere.
“Secondo me è il contrario. Noi in Sicilia siamo stati azzerati: più che cambiarlo, dobbiamo fondarlo il Pd. E forse, anche per questo, ci viene un po’ più facile… La nostra struttura organizzativa si è sfaldata. Grazie alla campagna di adesione che si è appena conclusa, ripartiamo da una base associativa certa e definita. L’obiettivo, a Roma come a Palermo, è fare un partito nuovo, capace di aggregare e di essere riferimento per tutti i settori di una società che sta cambiando”.
Alle primarie farebbe votare solo gli iscritti o anche i non-iscritti?
“Questo è un dibattito surreale. Credo che sia corretto che un segretario di partito, ancor più se regionale, sia deciso dagli iscritti di quel partito. A Roma succedeva diversamente perché il segretario, secondo lo Statuto, era anche il candidato premier. Ora le cose non coincidono. Bisogna tornare a riflettere sulle giuste coordinate del sistema della rappresentanza. Un partito è innanzitutto dei suoi militanti, di chi vi aderisce. Anche se ha il potere di guardare ben oltre”.
Come dovrà essere il prossimo segretario?
“Serve un segretario che rappresenti il Pd, ma abbia anche la capacità di includere chi oggi nel Pd ancora non c’è”.
La Regione è alle prese con l’esercizio provvisorio e la Legge di Bilancio. Crede che il governo regionale riuscirà a rispettare i paletti imposti da Roma?
“Negli ultimi due anni, attorno allo slogan che col governo Musumeci la Sicilia sarebbe diventata bellissima, si è consumato un bluff. La Sicilia ha dei problemi che il presidente della Regione farebbe bene ad affrontare con serietà e consapevolezza, e senza raccontare che la colpa è di chi c’era venti o trent’anni fa. Invece Musumeci continua a navigare senza rotta, come un marinaio alla deriva. E ogni giorno che passa c’è la sensazione, detto in svedese, che “chi prende un turco, è suo””.
A che si riferisce?
“Al caso dell’Orchestra Sinfonica, dove c’è uno che si autoproclama presidente senza che nessuno gliel’abbia suggerito”.
Però è arrivata la smentita da parte del governo.
“Non posso credere sia stato un incidente casuale. Col dovuto rispetto, immaginare alla presidenza della Foss chi ha fatto il portiere della Foss, vuol dire che è caduta la barriera della decenza. E tutto è diventato possibile”.
Sa che Musumeci ha affidato un incarico da 12 mila euro, per lo studio dei moti rivoluzionari del 1820, a un docente universitario coinvolto nell’inchiesta “Università bandita” a Catania?
“Beh, studiare i moti è utilissimo per capire come oggi si può fare la rivoluzione (ride). Scherzi a parte, quello che è insopportabile di questa stagione di Musumeci è che, nonostante il presidente sia intriso di moralismo verso gli altri, stia praticando ciò che ad altri veniva addebitato come politica clientelare. Si chiama cli-en-te-la, come per Cuffaro, Lombardo e Crocetta. Prima di affermare il moralismo con gli altri, bisogna praticarlo con se stessi… Uno dei primi atti di Musumeci è stato rimuovere il presidente del Parco dei Nebrodi, uno che ha subito minacce e attentati. Ma non per metterci uno che avesse i requisiti, ma un signor nessuno (l’attuale commissario è Gianluca Ferlito, dirigente del corpo forestale)”.
Eolico, rifiuti. La Regione è sempre a rischio contaminazione.
“Sull’eolico ne vedremo delle belle…”.
Non c’è il rischio che l’inopportunità di alcuni provvedimenti – come la proroga dell’autorizzazione integrata ambientale alla Oikos – diventi qualcosa di più pericoloso?
“Le questioni di inopportunità, in questo caso, diventano questioni di relazioni possibili. Il governo Musumeci si è sempre dato un profilo teorico di inavvicinabilità, ma mi paiono tutti avvicinabili. Fermo restando che una cosa è ascoltare, un’altra è commettere reati. Il mio, però, è un giudizio politico: in base a questo, dico che ci sono comportamenti che lasciano più di un dubbio nel modo di concepire il proprio ruolo nell’amministrazione pubblica, che non può essere quello dell’acceleratore di pratiche. Un rappresentante delle istituzioni non può diventare l’intermediario fra la struttura burocratica e il cittadino. Chi governa deve trovare le soluzioni per risolvere i problemi, ma in una logica generale, non particolare”.
Un altro pasticcio riguarda gli immobili. La Regione impone al Fondo Pensioni di acquisire la propria partecipazione (il 35%) nel Fiprs (il fondo immobiliare della Regione stessa), versando 22 milioni d’acconto. E’ una legge fatta dal governo Crocetta e che finora era rimasta inattuata… Che senso ha?
“Ho avuto modo di valutare questa cosa durante la mia esperienza in giunta. Il fatto che proprietaria del fondo sia la Regione non è meno grave che lo diventi il Fondo Pensioni… Anch’esso è controllato dalla Regione che, quindi, ne risponde. Il fatto che un fondo possa patrimonializzare la propria liquidità è quasi un obbligo di legge. Per far fruttare il denaro che hai a disposizione, generalmente, non lo metti sotto il mattone, ma compri mattoni, cioè fai operazioni immobiliari e cerchi di dare valore al denaro che accumuli. Il punto è un altro: oltre agli assessori di cui si è parlato, anche Musumeci e i suoi attuali sodali, durante la scorsa legislatura, hanno gridato allo scandalo quando la giunta Crocetta e Baccei proposero questa norma. Fecero muro. Ma alla prima curva hanno subito sbandato, riprendendo quello che contestavano agli altri. E’ la storia della doppia morale: se tu affermi una cosa, non puoi praticarne un’altra. Non puoi dire che gli altri puzzano e tu profumi”.
Il governatore continua a duellare con l’Anas per l’abbandono delle infrastrutture, e l’Anas ha risposto. Spiegando che il gap rispetto al resto del Paese è un dato degli ultimi trent’anni.
“Negli ultimi trent’anni è esistita anche l’Anas. Questo rifugiarsi nel passato è diventata una pratica stucchevole. C’è un dato su cui Musumeci ha ragione: a partire dagli enti pubblici, il Sud e la Sicilia sono stati dimenticati. E’ un paradosso che noi per l’Italia siamo un’Isola e per l’Europa, invece, no. Che da noi non si possa immaginare l’alta velocità perché c’è il mare in mezzo, e in Europa siamo considerati un tutt’uno col continente. Per anni, enti come l’Anas, le Ferrovie dello Stato, ma anche le aziende del gruppo Iri, o la stessa Eni, hanno operato nella logica dell’assistenza, destinando le politiche di sviluppo ad altre aree del Paese o del mondo. Come se nel Mezzogiorno non esistessero le stesse condizioni di sviluppo della Bulgaria o della Romania. Poi, però, c’è un altro aspetto: Musumeci deve mettersi d’accordo con se stesso e capire cosa sta facendo la Sicilia per utilizzare le risorse che ci sono state assegnate per il campo delle infrastrutture. Cosa sta facendo per rimuovere le cause per cui non riusciamo a spenderle. Non abbiamo mai affrontato il vero nodo, a partire dalla progettazione”.
Cosa pensa dello sbarco della Lega all’Assemblea regionale?
“Non mi sorprende. Il paradosso è che 150 anni fa in Sicilia sbarcò Garibaldi per riunificare l’Italia. Oggi arriva la Lega che, invece, ha il progetto di un’Italia divisa. Un partito che si fonda sull’ideologia delle autonomie differenziate, in cui chi ha di più continuerà ad avere di più e, viceversa, chi ha poco continuerà ad avere sempre meno. Un altro paradosso è che una parte di siciliani, come tutti i sudditi e gli ascari, preferisce sostenere il proprio carnefice piuttosto che ribellarsi ad esso. Tutto si può dire, ma non che la Lega faccia gli interessi della Sicilia. Lo capisce anche un bambino”.
Perché i siciliani seguono Salvini?
“Ancorché li sfotta e li derida, molti hanno bisogno di un sovrano e di stare dalla parte del vincitore”.