La Corte dei Conti ci metterà ancora qualche giorno a esprimersi sulle “spese irregolari” della Regione siciliana, imputabili alla precedente gestione: secondo le prime ricognizioni, contenute in una relazione di 600 pagine, balla circa un miliardo di euro. Ma il giudizio di parifica, fissato per il 3 dicembre, equivarrà a togliere il tappo a una macchina ingolfata e in pieno rodaggio. Il presidente Renato Schifani e l’assessore all’Economia, Marco Falcone, attendono l’esito dei magistrati per dare vita ai prossimi appuntamenti, da condividere con l’Assemblea regionale: a cominciare dalle variazioni di bilancio, una leggina da 70 milioni, di cui una dozzina destinati ai Comuni per fare fronte al caro energia; senza dimenticare la legge di Bilancio e Stabilità, che Falcone spera di poter chiudere entro l’anno, evitando il ricorso all’ennesimo esercizio provvisorio.
Prima, però, c’è una grossa partita da disputare. Il primo tempo è andato in scena ieri, quando Schifani e Falcone si sono presentati di fronte alla Corte dei Conti, cui sono state consegnate “le necessarie, articolate controdeduzioni sui rilievi mossi a proposito del rendiconto 2020 della Regione. Il presidente del collegio – fanno sapere da palazzo d’Orleans – ha fissato al 25 novembre il termine per fornire eventuali nuovi chiarimenti, calendarizzando l’udienza di parifica al prossimo 3 dicembre. Rimaniamo fiduciosi, attendendo con serenità le decisioni della Corte”. “Ci stiamo prendendo cura dei conti della Regione nell’interesse dei siciliani”, è la chiosa di Schifani. Che in questo avvio di legislatura deve far fronte ai pasticci del passato. Il grosso della somma in bilico – 866 milioni – è infatti il frutto di un’interpretazione un po’ frettolosa che i magistrati attribuiscono all’ex assessore Gaetano Armao: riguarda la decisione di spalmare in dieci anni anziché in tre il disavanzo storico. Senza la “copertura” di un accordo di finanza pubblica, che arriverà soltanto il 14 gennaio 2021. “In forza del principio del “tempus regit actum”, il ripiano decennale non avrebbe potuto trovare applicazione negli esercizi 2019 e 2020, essendosi effettivamente concretizzate solo nel 2021 le condizioni necessarie per fruire dell’agevolazione”, si legge nelle motivazioni dei magistrati.
Il secondo grande nodo da sciogliere, invece, riguarda il finanziamento delle autolinee pubbliche e private in forza di una legge dichiarata illegittima, in seguito, dalla Corte Costituzionale: ammonta a circa 161 milioni. Insieme ad altre contestazioni minori, il totale dell’handicap che pesa su Palazzo d’Orleans supera il miliardo. Ci sarebbero inoltre delle contestazioni che riguardano il Fondo contenziosi e le società partecipate. Le articolate controdeduzioni della Regione, approntate “in punta di diritto” dal ragioniere generale Ignazio Tozzo, servono fondamentalmente a due cose: la prima è restituire dignità e decoro all’immagine dell’ente, che negli ultimi anni ha fatto a cazzotti con la magistratura, fino al punto di rischiare la bocciatura del rendiconto 2019 (la parifica, in quel caso, risultò fatale soltanto al Conto economico e allo Stato patrimoniale di palazzo d’Orleans, e mise in evidenza il mancato accantonamento di 315 milioni nel Fondo contenziosi); ma soprattutto capire il destino della prossima Finanziaria e della sua reale portata.
Se la Corte dei Conti dovesse confermare l’approccio e porre sub-judice la cifra contestata, che andrebbe pertanto “accantonata”, Schifani e Falcone sarebbero costretti alle acrobazie per approvare una Legge di Stabilità degna del suo nome e della funzione che riveste, anche se il presidente della Regione, in uno dei prossimi incontri col ministro Giorgetti, previsto giovedì, sarebbe pronto a chiedere 600 milioni come compensazione dei mancanti trasferimenti da parte dello Stato per l’aumento della spesa sanitaria coperto direttamente da Palazzo d’Orléans.
Non è ancora il momento di fasciarsi la testa, quindi. Ma si tratta pur sempre di questioni dirimenti che possono influenzare il corso (e il percorso) del nuovo governo di centrodestra. Che per il momento annaspa: nei numeri, negli uomini e nelle donne, nella forza della sua maggioranza. Quello tirato su da Schifani 52 giorni dopo l’esito elettorale, è un esecutivo molle, che in molte caselle – specie quelle determinate dall’ingerenza romana di FdI – non dà garanzie. Ma anche in aula, nonostante la vittoria schiacciante nelle urne, la maggioranza è incapace di esprimere coesione. Questo ha rallentato la distribuzione delle deleghe e, tuttora, impedisce l’avvio dei lavori parlamentari: dopo l’elezione dei vicepresidenti e del Consiglio di presidenza dell’Ars, i fari sono puntati sulle commissioni legislative permanenti, che entro mercoledì dovrebbero esprimere i propri componenti. In base a una spartizione politica difficilmente comprensibile per chi è fuori dai palazzi e non sa come portare a casa pranzo e cena.
Per la delicatezza che riveste il tema del bilancio, ad esempio, è difficile comprendere come alla guida della seconda commissione (dopo il decano Riccardo Savona, prematuramente scomparso) possa finire un novello dell’Ars (si fa il nome dell’on. Daidone, di FdI, alla prima esperienza). Ma anche la commissione Antimafia potrebbe diventare una spada di Damocle se non si riuscirà a dare seguito all’esperienza produttiva di Claudio Fava. Più avanti, invece, torneranno di moda il sottogoverno (con la poltrona dell’Irfis da assegnare) e lo spoils system relativo ai burocrati. Dopo le ultime vicende legate alla corruzione – per lo più pesci piccoli – Schifani non vuole lasciare nulla di intentato. E proporrà una rotazione dei dirigenti ancora più marcata: “Manifesto il mio personale impegno a diramare un atto di indirizzo con cui tutti i dirigenti responsabili dei dipartimenti e degli uffici della Regione Siciliana saranno invitati ad assicurare il più che rigoroso rispetto delle misure previste dal Piano anticorruzione di questa amministrazione, con particolare riguardo alle misure di rotazione del personale. E su ciò vigilerò personalmente”. Tutte cose sacrosante, che però tolgono tempo ai provvedimenti più urgenti. In mancanza dei quali – eufemismo – i siciliani potrebbero un attimino risentirsi.