A Palermo tutti chiedono dell’on. Presidente Nello Musumeci. Non per le sue imprese da Ministro della Protezione Civile o del Mare, ma per la marea di fondi di sviluppo e coesione (PSC) buttati alle ortiche nei cinque anni da governatore. Dal computo complessivo de ‘La Sicilia’ – pari a 338 milioni – sono oltre un centinaio quelli che la Regione, attraverso differenti progetti (45), avrebbe potuto trattenere nell’Isola, e che invece sono andati persi per sempre. Recuperare un progetto attraverso nuovi canali di finanziamento, come ha provato a fare il governo Schifani, non vuol dire recuperare i soldi originariamente stanziati. Quelli sono svaniti.

Musumeci, però, non risponde dei fatti e nemmeno alle critiche. Come quella riservatagli dal suo successore, in una nota diramata per conto della presidenza: “L’attuale amministrazione ribadisce il proprio impegno a salvaguardare le risorse destinate alla crescita del territorio, nonostante le criticità ereditate, e a ottimizzare gli investimenti per assicurare benefici concreti e duraturi alla comunità siciliana”. Schifani ha usato il fioretto, a differenza di altre volte, ma il Ministro è rimasto inerme. Adesso, a distanza di due anni e mezzo, appare chiaro il motivo per cui la coalizione di centrodestra ha voluto liberarsene, scaricandolo: Musumeci si è limitato al compitino, non ha approvato una riforma (tranne quella urbanistica), non ha curato le ferite della siccità e degli incendi, ha perso una montagna di risorse non sue. Ed è riuscito nell’impresa più ardua: riabilitare un governo – quello di Schifani – che si occupa prevalentemente di mance e di nomine.

Musumeci con la sua ammuina, con i suoi assessori, con la ‘questione morale’ mai risolta – anche se lui non è mai stato intaccato da alcuna inchiesta, solo la Corte dei Conti gli ha fatto le pulci per un paio di rendiconti – ha finito per paralizzare una Sicilia che, ancora oggi, è ferma alla guerra per l’acqua e ricorre al divertissement del treno express per riparare ai danni del caro-voli (che lo stesso Musumeci si era promesso di attenuare grazie al riconoscimento della condizione d’insularità in Costituzione, divenuta una priorità del suo assessore all’Economia). Oggi Musumeci non risponde nemmeno della drammatica crisi della siccità: ha provato a farlo mezza volta, addossando le responsabilità ai governatori degli ultimi vent’anni (ma lui era tra quelli). Poi ha battuto in ritirata. Non s’è più visto, sparito dalla scena fino a ieri, quando ha annunciato ulteriori 28 milioni per affrontare la crisi idrica dell’Isola (i primi 20 sono risultati briciole…): “La quantificazione di questo secondo stanziamento – ha detto – è frutto di un’attenta istruttoria condotta dal nostro dipartimento nazionale, tenuto conto anche con delle valutazioni tecniche di rito nel confronto con il dipartimento della Regione”.

I suoi allievi, quasi tutti approdati a Fratelli d’Italia, si sono lasciati alle spalle un abisso. La sanità langue dai tempi di Razza: la situazione dei Pronto soccorso affollati e delle liste d’attesa (spesso) indecenti è una storia che si trascina da anni, così come la carenza di personale medico e la lottizzazione delle poltrone, che l’ex assessore aveva affidato a un percorso di selezione “rigoroso”, ma risultato sempre più intaccato dalle pretese dei partiti. Razza, a differenza di Musumeci, è anche finito al centro di due inchieste che però non gli hanno impedito di guadagnarsi uno scranno da europarlamentare a Strasburgo, dopo che la moglie, Elena Pagana, ha trascorso quasi due anni “anonimi” da assessore regionale al Territorio e Ambiente (sostituita di recente da Giusi Savarino).

Poi c’è Manlio Messina, cresciuto sotto l’ala protettrice di Musumeci (che lo prese a bordo “licenziando” Sandro Pappalardo, approdato all’Enit). Ed è stato nel corso della scorsa legislatura che la corrente turistica ha sgomitato, facendosi spazio. Nel mondo della cultura e della musica, ma anche del turismo e degli spettacoli, dove rimangono agli atti – soprattutto – gli sprechi e gli scandali. Fino all’altro ieri, quando il sodale politico di Messina, Carlo Auteri da Sortino, è passato agli onori della cronaca per aver fatto incetta di contributi regionali destinati alla sua “galassia” di associazioni. “Avete creato un sistema e questo non va bene – sono le critiche mosse da Donzelli a Messina, secondo un retroscena del Fatto Quotidiano – Noi siamo diversi”. O, forse, “lo eravamo”. Che la condotta del Balilla abbia infastidito i generali di Via della Scrofa appare evidente dalle ultime nomine: al posto di Tommaso Foti, diventato ministro, è stato scelto come presidente del gruppo parlamentare alla Camera Galeazzo Bignami. Il pretendente n.1, manco a dirlo, era proprio Messina.

Il Balilla è stato l’inventore di SeeSicily, un fallimento certificato dalla Commissione Europea (che ha parlato di “spese non ammissibili”, ritirando l’ultimo finanziamento da 10 milioni); nonché il pioniere delle mostre fotografiche a Cannes, sede del Festival del Cinema, affidate direttamente a un’associazione con sede in Lussemburgo per milioni di euro. Le premesse mirabolanti del governo Musumeci si sono schiantate su personaggi in cerca d’autore, che hanno permesso ad avventurieri senza scrupoli di tornare a frequentare i palazzi della Regione: a pagnottisti senza vergogna di appropriarsi della leva del potere; a politici senza futuro di godere del loro momento di gloria; ai magistrati contabili di sospettare, in più di un’occasione, dalla tenuta dei conti pubblici.

Il capitano di quella nave impazzita oggi se ne sta a Roma. Si pronuncia a favore dell’autonomia differenziata, scompare di fronte alle responsabilità, lavora sotto traccia per beccarsi la delega al Mezzogiorno (che Meloni gli ha sottratto una prima volta al momento dell’insediamento e persino in questi giorni, a seguito della fuoriuscita di Fitto dal governo). E’ come se quell’oasi dorata non fosse poi tanto meritata. Ma solo un contentino per attutire la batosta della mancata ricandidatura. “Torno a fare il militante”, aveva detto dopo il ‘no’ della coalizione al Musumeci-bis. E’ finito a fare il Ministro della Repubblica e il senatore (eletto nel collegio uninominale di Catania). Una carriera gloriosa, con pochi rischi.