“Domani diranno che c’è il patto del fico d’India”, avverte, alla fine, Gianfranco Miccichè. Il presidente dell’Assemblea regionale è una delle presenze più curiose – per le parolacce del passato – alla tre giorni della Lega per Salvini. Alla Nuova Dogana si prova a esorcizzare l’appuntamento più importante. Il segretario, domani, varcherà le soglie del tribunale di Catania per difendersi dall’accusa di sequestro di persona aggravato. Prima, però, si banchetta coi fichi d’india offerti da Stefano Candiani, il padrone di casa. Per allentare la tensione, sancire la compattezza di un centrodestra un po’ sfilacciato (almeno alla Regione e nelle città al voto), e rilanciare su temi tanto cari al Mezzogiorno e alla Sicilia. Uno di questi riguarda le autonomie, il divario tra Nord e Sud.
Inizialmente avrebbero dovuto parlarne Micciché e Giorgetti, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il “rivale interno” di Salvini (“Sui giornali leggo di tutto, anche se non rilascio mai interviste”, si difende lui). Ma alla fine si unisce il presidente della Regione Nello Musumeci, venuto a salutare gli amici della Lega “cui auguro di diventare co-protagonisti di un percorso di crescita che tolga voti alle opposizioni”. Dall’economia si finisce a parlare di politica. E di pandemia. Con Miccichè che tira fuori il classico refrain, dettato però dalla convinzione più profonda: “So che Musumeci sarà d’accordo solo in parte, ma continuo a pensare che quel deficiente (Giuseppe Conte, ndr) ci ha fatto zona rossa inutilmente. Abbiamo l’uno per cento di morti in meno rispetto a un anno fa. E, nel complesso, meno positivi della provincia di Lecco”. Tutto è accaduto, secondo Micciché, per una sorta di sudditanza psicologica: “Oggi lo strapotere di alcune regioni del Nord ci sta condannando”.
Musumeci storce il naso e, di fronte al tema della pandemia, rivela la cautela di sempre. “Non abbiamo elementi di paragone per valutare se stiamo facendo bene o male, o se c’erano soluzioni alternative. L’ultima epidemia è stata la spagnola, nel 1918, e ha provocato 32 milioni di morti. Tra cui mia nonna. Noi governatori, in questa occasione, ci siamo ritrovati da soli con noi stessi e la nostra coscienza. Tutto sommato, non è andata malissimo. Ma quando si perdono 311 persone è sempre una sconfitta”. Il riferimento è al numero dei decessi nell’Isola a causa del Sars-Cov2. “Nei paesi che godono della libertà individuale – spiega Giorgetti – fai un po’ più di fatica a fare il lockdown. In Cina, dove sono governati da una dittatura, è un po’ più facile”.
Miccichè attacca a testa bassa sulla farraginosità dei dirigenti (“Abbiamo una classe di burocrati che vive per dirci no”) e stuzzica Musumeci: “La cosa che mi disturba (l’espressione è un’altra, ndr) è che a fine anno, chi fa peggio, prende anche il premio di rendimento”. Musumeci vanta la capacità di spesa dei fondi europei da parte del suo governo – “Un miliardo e novecento milioni da quando ci sono io” – e rilancia sul piano degli investimenti. “Siamo andati dalla ministra delle Infrastrutture, Paola De Micheli, a chiedere di inserire quattro-cinque opere chiave nel Recovery Plan. La Sicilia ha bisogno di un porto hub, di un aeroporto internazionale, di ammodernare la rete ferroviaria e di completare quella autostradale. Il futuro per noi è l’Africa”. E non per le ondate migratorie, rimaste ai margini del dibattito. “Dobbiamo giocare il nostro ruolo nel Mediterraneo”.
Poi si torna a disquisire della Lega. Giorgetti spiega che “stiamo cercando, con le difficoltà tipiche di chi parte da zero, di costruire una classe dirigente anche in Sicilia. Che comprenda i giovani, ma anche da chi ha accumulato un po’ di esperienza. Questo implica il radicamento. E per il radicamento ci vuole tempo. Cerchiamo gente che ami la propria terra e il proprio popolo, che riesca a sopportare qualche rischio. Chi vuole andare sul sicuro, scelga il Pd. Lì non succede mai niente. Il nostro percorso, invece, è condito anche da errori. In politica, come in ogni cosa, si impara facendo”. E di errori ne segnala qualcuno Micciché: “So che è un consiglio non richiesto, ma a Giorgetti e Candiani dico che, secondo me, la Lega, in Sicilia, su alcuni temi deve cambiare atteggiamento. Parlare di autonomia la allontana dalle problematiche dell’Isola”. Inoltre, “un partito si fa con la gente che nasce in quel partito”. Niente transfughi, quindi, anche se è chiaro che “per loro è un po’ più difficile. Vi auguro di avere successo alle Amministrative, ma sono un po’ troppi i casi in cui non stiamo insieme”. Infine un invito – palese – al voto disgiunto: “Se vedete che un candidato sindaco è più avanti dell’altro, è inutile danneggiarlo. Invito sia Musumeci che Giorgetti a tenerlo presente. Fitto, in Puglia, sembrava vincitore finché Pd e Cinque Stelle non hanno fatto un accordo che ha permesso a Emiliano di essere eletto”.
L’ultima stoccata di Musumeci, invece, è rivolta al governo nazionale: “Il punto di forza del centrodestra? Senz’altro le opposizioni. Lavorano per noi – è la risposta un po’ spocchiosa del governatore – Infatti governiamo quindici regioni su venti. I nostri avversari non hanno un’idea di nazione, non sanno dire quale ruolo debba giocare l’Italia nel contesto internazionale. Sono prigionieri delle lobby e rancorosi nei confronti degli avversari che considerano nemici. La mutazione antropologica dei grillini meriterebbe un’enciclopedia. Questo succede perché una forza politica non è solida, non ha alle spalle una storia vissuta e una propria identità. Diventerà Bellissima”, al contrario, “è un piccolo movimento regionale e autonomista, ma vuole essere il valore aggiunto di questa coalizione”. Il governatore e Micciché si mandano baciuzzi a distanza. Sarà Giorgetti che mette tutti di buonumore.
Orlando: “Il tribunale non è il Papeete”
“La manifestazione di domani a Catania, in pieno silenzio elettorale per le amministrative siciliane e per i ballottaggi nazionali, è conferma dello spirito eversivo che sempre più anima la destra italiana.Il tentativo di trasformare le aule del Tribunale in un improvvisato Papete è un fatto di estrema gravità. In Sicilia assume un sapore ancora più preoccupante, perché sempre e comunque, qui più che altrove gli attacchi alla Magistratura rischiano di lanciare messaggi inquietanti. A meno che non sia esattamente ciò Salvini vuole”. Lo ha dichiarato Leoluca Orlando, sindaco di Palermo.