Pozzallo e il suo porto paiono due entità distinte e separate. Ognuna coi suoi problemi: da un lato le difficoltà degli operatori turistici e un’estate che fatica a decollare (alle 12 sul lungomare assolato c’è un silenzio spettrale e i ristoranti sono vuoti); dall’altro le navi in arrivo, gli sbarchi, un’accoglienza irrazionale e sempre più difficile da prevedere e prevenire. Per questo il sindaco Roberto Ammatuna, che fa la spola fra il palazzo comunale, la banchina commerciale del porto e l’ufficio tecnico ha chiesto lumi al ministro dell’Interno, Matteo Salvini: “Serve un incontro per capire come dobbiamo comportarci. Le cose di recente sono cambiate e noi non vogliamo farci trovare impreparati. I servizi vanno coordinati al meglio: dall’approvvigionamento dei viveri al trasporto dei migranti. Quando vediamo giungere le imbarcazioni in prossimità delle acque territoriali, non sappiamo ancora se e quando potranno approdare: così per noi è diventato difficile”.
Il sindaco corre affannato, ma sembra l’unico a farlo. Perché in giro, come detto, fatichi a trovare qualcuno. Il porto e l’hotspot sembrano gli unici testimoni di quanto avviene ai profughi. Compresi quelli che nella serata di domenica, dopo un lungo peregrinare nel Mediterraneo, hanno ottenuto il lasciapassare dal Viminale e hanno toccato terra: “In effetti è così – spiega Ammatuna – La zona portuale è l’unica che si occupa di assistenza. Anche se paghiamo lo scotto dell’iper afflusso degli anni scorsi, che qualche problema ce lo ha causato. Parecchi extracomunitari barcollavano in giro per la città e alcuni media hanno sporcato la nostra immagine parlando di invasione”.
E’ una forma di psicosi che, stando al racconto di Giuseppe, proprietario di una ditta di autonoleggi, attanaglia persino i tour operator: “Appena sentono parlare di Pozzallo, scappano. Credono che sia una città invivibile e in effetti era così fino a qualche anno fa, quando gli extracomunitari andavano in giro e facevano i loro porci comodi, spesso di fronte ai bambini. Adesso se ne vedono di meno, ma è rimasta la paura. Ci sentiamo danneggiati da un punto di vista economico e sociale. Chi lo nega, è fazioso. Alle ultime elezioni ho votato Lega e Movimento 5 Stelle e, in generale, sono d’accordo con le politiche di Salvini”.
Tranne nella parte in cui Salvini apre all’accoglienza verso chi fugge dalla guerra: “Cazzate – si agita il nostro interlocutore – Dalla guerra scappano libici e siriani, loro non hanno la pelle nera come il 95% di quelli che sbarcano qui. Vengono tutti a cercare alloggio e lavoro. Hanno wi-fi e assistenza, lo Stato italiano li mantiene. Se io, che pago le tasse, provo a chiedere una mano, mi calpestano e mi dicono di cercare lavoro. Loro, invece, vengono ospitati negli alberghi a quattro stelle. E’ inconcepibile”. E via con i luoghi comuni più disparati: dai 35 euro al giorno al “vengono prima gli italiani”. “Qui la gente chiude baracca” e indica col dito una panetteria che non esiste più, a pochi metri da noi.
Prima di tuffarci nel “deserto” di Pozzallo facciamo un giro al porto con Ammatuna. Il suo capo del gabinetto ci avverte che è impossibile avvicinarsi all’hotspot, sorvegliato a vista da una camionetta dell’esercito. Ci ritroviamo di fronte “Protector”, il pattugliatore di Frontex che ha accompagnato oltre 200 migranti fino al molo. Le operazioni sono durate tutta notte, adesso regna la calma. Gli unici migranti li incontriamo al bar del porto, mentre provano a spedire denaro al paese d’origine tramite i sistemi della Western Union. La calma ovattata, sul molo, è interrotta dal dialogo fra una cronista e il suo operatore.
Ammatuna ci spiega la vita nel centro di prima accoglienza: è gestito da una cooperativa con sede a Bari, si chiama Medihospes, e il contratto di gestione scade il prossimo 31 luglio: “Non abbiamo ancora deciso se rinnovarlo o procedere a nuova assegnazione. All’interno dell’hotspot – dice il sindaco – ci sono organizzazioni internazionali ed umanitarie, i nostri operatori, insegnanti d’italiano per chi si ferma qualche giorno in più del previsto (la norma impone una permanenza fra le 48 e le 72 ore prima dello smistamento in altre strutture accreditate, ndr). Questo centro non è secondo a nessuno. Ci hanno confermato il loro giudizio positivo sia il ministro Salvini che il presidente della Camera Roberto Fico, che ha fatto una visita a sorpresa, controllando persino i bagni”.
La vita dentro il centro e la vita fuori. Dove Pozzallo è ferita nell’orgoglio da chi continua a blaterare, reputandola una città insicura. La città degli sbarchi. Ci rechiamo nel ristorante “Ballarò”, dove il ministro Salvini pranzò nel giorno della sua prima visita istituzionale, lo scorso 2 giugno. Siamo in piazza delle Rimembranze, a due passi dalla Torre Cabrera, simbolo della città. Ci accoglie un giovane cameriere con le idee molto chiare: “Non è vero che la questione migranti danneggia il turismo. La gente di Pozzallo è ancora un po’ xenofoba. D’altronde i migranti rimangono per pochi giorni e in giro non si vedono. I porti chiusi? Sono d’accordo con la proposta dell’Italia. Anche gli altri paesi europei vanno responsabilizzati, non possono lasciarci soli”.
Poi l’asso nella manica: “Qui da noi abbiamo assunto Moussa, un ragazzo maliano venuto dal mare. Ha un contratto, è in regola, lavora come lavapiatti”. Ce lo presenta. Moussa è un omone molto giovane, di poche parole: “A Pozzallo c’è un sacco di brava gente, io mi trovo bene. Sono venuto qui da solo, ma in città lavora anche una mia cugina. Se consiglio ai miei compatrioti di venire in Italia? Perché no…”. Quando gli chiedi se vanno via dall’Africa per la guerra, quasi si blocca: “Questo non lo so, devi chiedere a loro. Potrebbe essere”. Il suo sorrisone s’allarga e vale da saluto.
Fatih, invece, è un tunisino che ha smesso di credere nell’Italia. Vende vasi in ceramica e roba simile. Trova riparo sotto un chiosco in legno in attesa che qualche avventore gli chieda il prezzo delle sue esposizioni. “In un mese e mezzo ho guadagnato mille euro – si lamenta – In Italia non c’è più niente: manca il lavoro e i giovani vanno via. Tutte le case a Pozzallo sono vuote e bisogna aspettare agosto per tirare su qualche soldo. Fossi al posto dello Stato italiano, chiamerei qui gli immigrati per risollevare l’economia”. Il suo accento è vagamente macroniano: “In Francia si lavora meglio. Si sta meglio. Vengo qui dagli anni ’70 per la stagione estiva, ma penso non lo farò più. Ai miei figli lo sconsiglio”. Si parla di accoglienza: “Razzismo? Non lo chiamerei razzismo. E’ una paura del diverso. E’ tipico di molti anziani, e qui ce ne sono tantissimi”.
Col sindaco, invece, si parla di futuro. Sviluppo economico è una locuzione su cui Ammatuna punta parecchio: “Una delle cose che chiederò a Salvini è che questa città venga ricompensata dai torti subiti in passato. Paradossalmente, facciamo meno fatica a parlare con lui che con la Regione. Abbiamo presentato una richiesta di finanziamento per l’area portuale, perché non possiamo permettere che la questione migranti ingolfi il nostro commercio. Ma con Musumeci non sono ancora riuscito a dialogare, niente. Pozzallo è una città laboriosa, che deve emergere per il suo porto, per la sua area industriale, per le sue potenzialità turistiche. Abbiamo una costa favolosa (anche se è da poco sparita la bandiera blu, ndr)”.
Col Ministro dell’Interno le cose sembrano andare meglio: “Nel primo colloquio ci siamo detti che sul tema dell’accoglienza la pensiamo diversamente, ma anche che da questo momento in poi bisognava migliorare la nostra sinergia. Sono rimasto soddisfatto del suo approccio con la città e, fra Salvini e Macron, scelgo tutta la vita Salvini perché è italiano come me. Non possiamo prendere lezioni dalla Francia, dopo quello che ha combinato a Ventimiglia”. Una svolta campanilista, necessaria vista il momento: “Noi siamo in trincea tutti i giorni, ma spesso l’Europa non si è comportata bene in questi anni”.