Verso il 1840, dunque con ottant’anni di ritardo rispetto alla data di pubblicazione dell’Emile di Jean Jacques Rousseau ma con tempistica perfetta su quelli del Vittorianesimo che voleva attribuire ogni virtù d’innocenza all’infanzia, i bambini smisero di vestire come piccoli adulti, e si iniziò a pensare un abbigliamento adatto a loro, e al loro naturale desiderio di movimento. Con qualche rigidità di forma e di pensiero (il primo abito “per bambini” fu un’elaborazione della divisa da marinaio, non proprio il massimo della libertà), la moda infantile si è evoluta fra salopette, shorts e tutine fino ad oggi. Quando ha deciso di tornare a quanto si vede nei ritratti di van Dyck e di Gainsborough.
L’ultima tendenza, cavalcata ambosessi, è infatti il “mini me”, cioè ed esattamente il piccolo adulto che credevamo scomparso con la Rivoluzione Francese. Tutte le griffe, da Fendi a Isaia, stanno realizzando completi per bambini che, pur rispettando le proporzioni e lo stile di vita dei bambini, cioè la loro necessità di muoversi senza impacci, sono semplicemente la versione ridotta degli abiti che indossano le loro mamme e i loro papà.
Infantilizzazione dell’adulto? Adultizzazione del bambino? Tesaurizzazione e difesa a oltranza di entrambi, compreso lo spregio per ogni forma di disciplina che esuli da quella approvata dai genitori? Vedetela come volete. Ma sento che il “blue boy” di Gainsborough è già in agguato.