Ma guarda un po’. Sarà la vicinanza al Continente che allarga l’orizzonte? O vuoi vedere che è merito del procuratore Maurizio De Lucia. Fatto sta che a Messina le indagini sono salite di livello da quando De Lucia, era luglio dell’anno scorso, si è insediato alla guida dei pubblici ministeri. Non può essere, anzi non è solo una coincidenza temporale.
L’ultima inchiesta ha fatto emergere che attorno alla figura di Emilia Barrile, ex presidente del Consiglio comunale, si sarebbe creato un centro di potere. Le cooperative e i patronati, in terra di Sicilia dove il lavoro è un miraggio, sfruttano la disperazione della gente per accrescere il consenso elettorale e riempire il portafogli. Al tavolo del comitato di affari e favori sedevano anche imprenditori e rappresentanti delle partecipate comunali. Accuse da verificare, naturalmente.
Di comitati, la Procura diretta da De Lucia, in questi mesi ne ha scoperti altri e di livello ben più alto.
C’è quello in cui spicca la figura dell’avvocato siracusano Piero Amara, capace di piegare ai propri voleri la giustizia amministrativa con tanto di coinvolgimento di magistrati. Ed ancora si segnala il comitato che avrebbe gestito in maniera illecita un mega appalto da 300 milioni di euro del Consorzio autostrade siciliano che sta costruendo la Siracusa-Gela.
Nel frattempo, mica se ne sono dimenticati, a Messina e dintorni si continuano ad arrestare mafiosi, trafficanti di droga, rapinatori etc etc. È una questione di orizzonti investigativi, di capacità di guardare e seminare in prospettiva futura. A De Lucia, ecco il cuore della questione, la prospettiva mai è mancata.
A Palermo, in un periodo entrato nella storia giudiziaria, la Procura della Repubblica si spaccò sulle accuse da contestare all’allora potentissimo Totò Cuffaro. All’originaria accusa di concorso esterno in associazione mafiosa formulata dai pm Antonino Di Matteo e Gaetano Paci, i colleghi Maurizio De Lucia e Michele Prestipino, che nel frattempo avevano aperto il parallelo fascicolo sulle cosiddette ‘talpe alla Dda’, preferirono quella di favoreggiamento alla mafia. Paci rimise subito la delega, mentre Di Matteo lasciò durante il processo.
Si sa come è andata a finire con Cuffaro prima costretto a dimettersi e poi condannato. Non è tutto. Qualche tempo dopo quando a Palermo arrivò il nuovo capo Francesco Messineo e non c’erano più il procuratore Piero Grasso e l’aggiunto Giuseppe Pignatone, che sposarono la linea del favoreggiamento, la Procura riaprì l’inchiesta per concorso esterno. Cuffaro tornò sotto processo, ma il caso fu archiviato. Era già stato giudicato per lo stesso reato. De Lucia ci aveva visto lungo e bene.