Da un lato si inneggia al partito plurale. Dall’altro si chiude alla partecipazione. Il Pd si arrovella e non trova soluzioni condivise. Vada per la mancata candidatura unitaria, adesso il nodo è un altro: permettere, o meno, agli iscritti di eleggere i segretari provinciali. La battaglia per le primarie, che mette in campo Davide Faraone e Teresa Piccione, ha già raggiunto un livello dello scontro elevato. Ma l’ultima questione si staglia su un campo non prettamente politico ma di valori, stando alle parole di Giuseppe Lupo. L’attuale capogruppo del Partito Democratico all’Ars, che il partito in Sicilia lo ha già guidato per un periodo, mal sopporta lo scenario delle ultime ore: “Penso che il congresso del Pd debba partire dagli iscritti del Pd. Cioè dai circoli. Se l’ultimo censimento degli iscritti risale al 2016, devono essere quelli a votare. Certo non è responsabilità di Teresa Piccione, che negli ultimi cinque anni non ha avuto incarichi di partito, bensì di chi il partito lo ha gestito: il segretario Raciti e il segretario organizzativo Rubino”. Entrambi appoggiano Faraone.
Far votare un elenco di iscritti non aggiornato al 2017, fanno sapere i faraoniani presenti in commissione, significherebbe produrre un vizio di forma che rischia di portare all’annullamento del voto. Da lì l’idea di tenere solo il congresso regionale. E poi si vedrà. “Credo che Teresa Piccione abbia un grande vantaggio di consenso fra gli iscritti e per questo l’area che fa capo a Faraone vuole impedire lo svolgimento dei congressi” tira dritto Lupo. Che in questa storia ci vede una strategia vera e propria. “Ma adesso molti circoli stanno scrivendo ai sette candidati della segreteria nazionale chiedendo di pronunciarsi. Perché serve un atto di indirizzo politico”.
Faraone, sui social, promuove la campagna congressuale “casa per casa”. Ma lei pensa che voglia far fuori un mondo…
“E’ come se guardasse ad altri mondi. Va bene allargare il consenso, ma a partire da elettori e iscritti del Pd”.
Con altri mondi si riferisce a Sicilia Futura, il movimento di Cardinale e Picciolo?
“E’ così evidente? Ho letto un comunicato di Picciolo, che ritiene che Sicilia Futura possa essere un partito nel partito e, a seconda della propria convenienza, reclamare la propria autonomia o prendere parte al congresso del Pd. Questo è inaccettabile. Sicilia Futura ha fatto il proprio di congresso, e il Pd non ha preteso di dire una parola. Mi pare anche normale. Inoltre, i deputati regionali di Sicilia Futura hanno votato spesso con il governo Musumeci e contro il Partito Democratico”.
Il processo di riunificazione del Pd sembra partire già monco…
“E’ come costruire un palazzo dall’attico e non dalle fondamenta. Il dibattito congressuale deve partire dal territorio. In ogni comune esistono un circolo e degli iscritti. Non possiamo accettare l’idea di un partito chiuso. Penso che lo statuto del Pd sia ancora attuale e individua nei circoli le unità organizzative di base attraverso cui gli iscritti partecipano alla vita del partito. Negare questo processo è attentare alla vita democratica del partito stesso”.
Lei è ancorato ai circoli. Renzi, dalla Leopolda, pensa di superarli mediante la creazione dei comitati civici
“Se Renzi pensa di fondare un nuovo partito che lo dica ed esca dall’equivoco. Quando dico Renzi, mi riferisco pure a Faraone, che ha dimostrato di non avere a cuore la vita dei circoli. I nostri comitati civici sono già i circoli aperti in cui si misura il rapporto con la società civile. Se qualcuno pensa di liquidarli con comitati che diventano la base organizzativa di un nuovo partito, noi siamo contrari”.
Voi e la corrente dei renziani sembrate piani paralleli che non si incontreranno mai
“Faraone si sta muovendo nella logica dell’“uomo solo al comando” che è tipica di Renzi. Una logica sbagliata che purtroppo ha fatto apparire il Pd non come un partito aperto al confronto democratico, ma come un partito padronale e personale”.
E’ questa visione che ha compromesso l’ipotesi di una candidatura unitaria?
“Temo di sì. Da più parti è arrivata una richiesta di unità e io mio sono battuto in quella direzione. Credevo fosse il modo migliore per ripartire dopo cinque anni assolutamente negativi di gestione Raciti. Ma purtroppo questa soluzione ci è stata negata”.
Quali erano le condizioni?
“Per optare su una candidatura unitaria, il nome non poteva essere Faraone, né Lupo, né Cracolici. C’era l’esigenza di andare oltre le divisioni che per troppi anni hanno caratterizzato la vita del partito in Sicilia. Andare oltre significava individuare insieme un candidato equilibrato: abbiamo proposto Baldo Gucciardi, ma anche persone notoriamente e culturalmente vicine a Faraone, come Librizzi o Bruno. Poi avevamo individuato dei giovani amministratori locali…”.
Sammartino?
“Sammartino no. L’idea era quella di scegliere una figura che potesse unire e Sammartino non aveva queste caratteristiche. Purtroppo Faraone non ha accettato nessuna delle nostre proposte”.
Dopo il congresso, con queste premesse, il partito rischia ancora di essere dilaniato dalle correnti?
“No. Penso che questo congresso serva a superare le divisioni di sempre. Speravamo di poterlo fare con una candidatura unitaria. Un congresso ha senso se chi vince ha anche il riconoscimento di chi perde. Io penso che Teresa Piccione vincerà”.
Perché puntare su di lei?
“E’ la prima candidata donna alla segreteria regionale del partito. Ha le caratteristiche per poterci riuscire, perché parla al mondo della scuola, dell’associazionismo, del lavoro, guarda al mondo dei democratici delusi e che chiedono un cambiamento, sa riconoscere gli errori. Ha a cuore i temi del Mezzogiorno e dello sviluppo, che oggi sono sempre più marginali nell’agenda del governo nazionale”.
La capacità di autocritica è quella che manca all’altra parte dello schieramento?
“Renzi e Faraone non accettano l’idea che il Pd abbia sbagliato qualcosa. A partire dalla riforma della “buona scuola” e da tanti altri errori che ci contestano i nostri elettori. Non possiamo dire che siamo un partito perfetto, che quando stava al governo ha azzeccato ogni mossa. Dobbiamo ammettere gli errori e cambiare. Un partito che non accetta di cambiare non è un partito progressista. Ma rischia di diventare conservatore. Questo non è il mio partito, né quello di Teresa Piccione”.
Un altro errore, almeno qui in Sicilia, potrebbe essere un avvicinamento con Forza Italia? Miccichè è stato uno degli ospiti dell’ultima Faraona…
“Invitarlo è una cosa, consegnargli la scena e l’apertura della manifestazione un’altra. Ha seminato smarrimento fra i nostri elettori. Da troppo tempo chi è vicino a Faraone, e lo stesso Faraone, dà l’idea di flirtare con una parte di Forza Italia. E’ un errore drammatico. Il Pd è storicamente alternativo alla Lega, ai Cinque Stelle e alla destra storica che ha governato il paese negli ultimi anni, Forza Italia compresa. Io sono intervenuto alla Leopolda di Faraone e ho detto che per quanto mi riguarda il Pd non ha nulla a che vedere con Forza Italia”.
Chi prende fra Zingaretti e Minniti?
“Ho sperato a lungo che Paolo Gentiloni accettasse la candidatura alla segreteria nazionale e potesse essere il candidato di tutti. Anche a Roma ero convinto servisse un congresso unitario. Al momento valuto la candidatura di Zingaretti come la migliore perché parte dal territorio. Il fatto che sia un presidente di regione gli dà una marcia in più. E’ l’unico candidato, fra i tre più competitivi, che non ha fatto parte del governo Renzi. C’è un tempo per ogni cosa, ora c’è l’esigenza di andare oltre quel governo. Minniti? Dovrebbe spiegare un equivoco, cioè se rappresenta o meno il candidato di Renzi. Perché qui in Sicilia – sarà forse un caso – tutti i componenti dell’area renziana votano per lui”.