Mentre altri sindaci rimangono a guardare senza battere ciglio – che fine fecero Pogliese e Orlando? – ce n’è uno sugli scudi. Si tratta di Cateno De Luca, uno dei personaggi più controversi ed eccentrici della politica siciliana, ex deputato regionale e attuale primo cittadino di Messina. A cui va dato il merito di protestare a oltranza e rivendicare un diritto: amministrare la sua città metropolitana. Ma senza strumenti – o “piccioli” – non si canta messa. Così De Luca, che da settimane minaccia di consegnare la fascia tricolore al prefetto, mercoledì l’ha fatto per davvero. Al termine di una marcia simbolica nel cuore di Messina, che ha sancito uno strappo istituzionale con il governo nazionale (vi hanno partecipato 53 sindaci). Il quale, più volte interpellato sulla questione – una volta dal governo regionale, quella dopo dai parlamentari siciliani – continua in un’annacata fastidiosissima e improduttiva.
Nel mirino di De Luca c’è il sottosegretario all’Economia, Alessio Villarosa, che per evitare il default degli enti intermedi, qualche settimana fa, s’è inventato una mossa a sorpresa: ritagliare 100 milioni di euro già stanziati per la Sicilia (alla voce “investimenti”), cambiare la loro destinazione d’uso e propinarli alle ex province per mettere a posto i bilanci. Una dequalificazione della spesa bell’e buona. Un tentativo disperato di farla franca e giustificare le inadempienze di Roma verso questi enti d’area vasta che da anni, senza fiatare, subiscono le ingerenze dello Stato.
Lo chiamano prelievo forzoso: da un lato “succhia” una quantità incredibile di denari, dall’altro non provvede alle restituzioni sotto forma di contributi. Tanto che De Luca oggi conteggia un ammanco di 250 milioni di euro, negli ultimi quattro anni, rispetto alle ex province delle regioni a “statuto ordinario”. Insomma, qualcuno ha fatto il furbetto. E questa è una storia che più di una volta ci ha segnalato anche Stefania Prestigiacomo, deputata di Forza Italia e co-firmataria di una proposta di legge (il ddl Germanà) che prevede la sospensione del prelievo forzoso: “I diritti non si svendono. Non c’è una sola ragione plausibile, sostenibile, accettabile per cui lo Stato abbia rimborsato parte dei tagli, fatti attraverso il prelievo forzoso, alle province del resto d’Italia. E alla Sicilia no”.
“Noi abbiamo una provincia, Siracusa, che è andata in default e che è fallita a causa di queste mancate risorse” ha proseguito la Prestigiacomo nella sua disamina. Anticipando un tema: ossia che molti liberi consorzi, ad eccezione di Trapani e Agrigento che sono riusciti a chiudere i Bilanci, si trovino a un passo dal dissesto – tranne Siracusa, che è già in default – e non riescono a garantire, oltre che lo stipendio al personale, nemmeno i servizi fondamentali: trasporto disabili, manutenzione degli edifici scolastici, manutenzione viaria (a Ragusa si sta svendendo persino la mobilia). E’ un dramma vero perché di queste tematiche non si occupa più nessuno e, a quanto pare, a nessuno dispiace.
De Luca, nel corso dell’ultima protesta, ha ribadito il concetto: “L’Istituzione non è un’entità astratta. Nel momento in cui non si può rappresentarla, continuare a ricoprire quel ruolo significa tradire la propria funzione. Però annuncio che non è finita qui: andremo avanti con altre manifestazioni ancora più forti, fino a quando non sarà risolto il problema. La situazione è drammatica – ha proseguito l’esponente dell’Udc – aggravata dal rischio che tra qualche mese possa degenerare e costringa anche i Sindaci ad autosospendersi. È necessario attenzionare il Ddl presentato dall’on. Germanà per la modifica del prelievo forzoso, provvedimento che potrebbe essere discusso nel giro di qualche settimana, con una decretazione d’urgenza che metta in gioco, in prima persona, il Governo. I rimedi ci sono, per tale motivo, se le cose non cambiano, non ha più senso continuare a celebrare elezioni per Enti moribondi, abbandonati dalla Regione e dallo Stato”.
Già, perché con Roma ferma a riflettere – ed escogitare l’ennesima soluzione-beffa – e con la Regione che ha appena stanziato, con decreto, 101 milioni di euro “affinché le ex Province possano assolvere le funzioni basilari loro assegnate, fra le quali rientra anche la gestione delle utenze per le scuole di secondo grado” (parola dell’assessore alla Funzione Pubblica Bernadette Grasso), c’è un altro elemento che esplora il senso del ridicolo. Per il 30 giugno sono state indette le elezioni di secondo grado, con cui sindaci e consiglieri comunali si esprimeranno per nominare i presidenti e le giunte dei Liberi Consorzi che non funzionano e non funzioneranno. Elezioni di chi? Elezioni per cosa? Cui prodest? Eppure si farà.
Sul fronte Regione, in attesa che l’assessore all’Economia Armao decida se firmare o meno il patto “fuffa” di Villarosa (“La Regione non giochi al ribasso” ha ammonito Prestigiacomo), che rischia di consegnare alla Sicilia il contentino dei 100 milioni sottratti al Fondo di sviluppo e coesione – De Luca ha detto no, perché “noi non vogliamo toccate risorse per investimenti, chiediamo risorse extra” – è intervenuto anche Nello Musumeci, per commentare l’ultima insolenza del Movimento 5 Stelle: “Le province? Non si può parlare di poltronificio per un Ente che diventa la cerniera naturale fra Comuni e Regione. Quando i rappresentanti del Movimento Cinque Stelle dicono che le province sono un poltronificio dimostrano di non essere mai entrati in una provincia. Averla soppressa, come hanno fatto loro insieme al centrosinistra, ha portato al disastro delle strade in Sicilia. Il governo grillo-leghista la smetta con queste frasi fatte”. La questione è diventata d’attualità anche a livello nazionale, in senso più ampio: alla definizione di “poltronificio” dei 5 Stelle, fa da contraltare la posizione della Lega, che le province vorrebbe riattivarle. Ma anche lì, nessuno dice quando e la questione rischia di tramutarsi, anziché in provvedimenti pratici, nell’ennesimo derby elettorale fra partiti di governo.
In attesa che qualcosa quagli, la Sicilia continua a versare lacrime amare. Laddove capisce che l’arrendevolezza è l’ultimo stadio di fronte alla presa in giro: “La verità è che non siamo considerati Italia – ha detto Nino Germanà, il deputato peloritano che ha dato il nome alla proposta di legge – Le ex Province della Sicilia vengono considerate di serie B. Nel resto d’Italia il prelievo forzoso rientra sotto forma di contributi dello Stato, in Sicilia no”. Al disegno di legge pare si stia lavorando alacremente in queste ore. Dopo le audizioni avvenute in commissione Bilancio – in cui è stato ascoltato pure Musumeci – entro oggi verranno depositati gli emendamenti integrativi, per permettere al testo – visto e modificato (pare) anche da alcuni appunti dei sindaci silenti (Orlando e Pogliese) – di approdare in aula entro l’estate. Il tempo stringe e in pochi ci credono. Ma è l’ultimo treno. O altre fasce finiranno nelle mani dei prefetti, mentre le strade e le scuole cadono a pezzi.