La moda fa parte delle scienze sociali ed in quanto tale è servita, serve e servirà per studiare l’uomo, il suo cambiamento e la sua evoluzione, ma è anche un linguaggio per esprimere noi stessi, ed è sempre un passo avanti alle masse che un giorno recepiranno questo linguaggio nuovo e lo faranno loro.
Ma capita che le masse non siano pronte per accogliere dei nuovi messaggi, ed è lì che la moda deve lavorare ancora più strenuamente, perché questi non sono solo riguardanti le nuove estetiche ma anche i nuovi i valori da accogliere, come l’inclusività.
È questo quello che è successo con la foto della nuova campagna pubblicitaria della Maison Valentino, il cui direttore artistico, Pierpaolo Piccioli, insieme al fotografo-modello, Michael Bailey-Gates, volendo trasmettere il messaggio di libertà di espressione e inclusività, sono stati bersagliati da numerosi commenti di odio e razzismo.
La foto rappresenta l’artista in un autoritratto nudo, con il suo corpo androgino asciutto e la chioma bionda, in una cornice che evoca l’arte antica, vestito della sola borsa ‘Roman Stud’ accompagnata da una didascalia che recita: “Una libertà di espressione e un apprezzamento per l’illimitatezza dell’individualità contraddistinguono la nuova campagna #ValentinoCollezioneMilano”.
Nel momento in cui la foto è apparsa sui social, però, non sono mancate le polemiche, nonostante non vi sia nessuna parte intima visibile. Ma se non vi sono parti intime allo scoperto che potrebbero suscitare l’indignazione dei più, allora, cos’è che fa sorgere questo scalpore? A scatenare l’indignazione è la fluidità dell’immagine e del messaggio che trasmette: la libertà di essere ciò che si vuole, ciò che semplicemente si è, senza canoni e senza i classici confini del maschile contrapposto al femminile.
Probabilmente, uno dei fini del brand era, anche, quello di suscitare un dibattito costruttivo per estrarre l’argomento “fluidità di genere” al di fuori dell’elenco degli argomenti tabù, ma ne è derivato un polverone che ha costretto persino il modello-fotografo a rendere privato il proprio profilo a causa dei tanti insulti. Il direttore creativo Pierpaolo Piccioli, dunque, ha preso posizione dicendo che “molte persone hanno reagito con commenti odiosi e aggressivi. Il mio compito è consegnare la mia visione della bellezza secondo il tempo che stiamo vivendo e la bellezza che consideriamo bella è un riflesso dei nostri stessi valori”. Ha poi aggiunto che “l’odio non è un’espressione, l’odio è una reazione alla paura e la paura può facilmente trasformarsi in violenza, che può essere un commento o un’aggressione a due ragazzi che si baciano in una metropolitana”, citando un episodio successo di recente.
La campagna è stata sostenuta e condivisa da numerosi influencer e celebrities, dalla comunità LGBTQ+, dalla modella trans Indya Moore, l’attivista e poeta Alok Vaid-Menon che l’ha giudicata “necessaria”, nonché dal deputato del Pd Alessandro Zan, promotore dell’omonimo Ddl sulle misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati su sesso, genere e orientamento sessuale.
Ma tutto questo scalpore è già successo con Armine Harutyunyan, la modella scelta da Gucci fu considerata “non abbastanza bella” dai più, con Winnie Harlow, la prima top model affetta da vitiligine ora succede con Michael e Bailey-Gates. Ma chi è che definisce i canoni di bellezza? Non di certo la moda stessa, che è l’espressione di noi stessi, e ci dà la possibilità di avere consapevolezza di sé.
Stiamo assistendo a un grande, enorme cambiamento nel genere umano. I movimenti di autocoscienza sono tutti guidati dalla stessa idea: l’evoluzione è possibile se l’uguaglianza è possibile, se è possibile l’inclusività, se i diritti umani sono difesi e la libertà di espressione è protetta e nutrita, auspicando che le masse recepiscano il messaggio e lo facciano loro.