La guerra delle province è solo all’inizio. E rischia di scatenarsi all’indomani dell’unica, discreta notizia che condisce le cronache politiche degli ultimi mesi. Ossia la concessione, da parte del governo nazionale, di un centinaio di milioni entro giugno per consentire agli enti intermedi di non affogare nei debiti. E, sulla lunga distanza, per permettere loro di riprendere gli investimenti. Ma la prospettiva è piatta e per oggi, a Palermo, è in programma la seconda marcia degli amministratori locali. La prima è andata in scena a Messina qualche giorno fa, quando Cateno De Luca, l’unico sindaco che sembra interessato alla sopravvivenza di città metropolitane e liberi consorzi, ha radunato una cinquantina di “colleghi” e consegnato (simbolicamente) la fascia al prefetto. In passato si era spinto persino oltre, mandando in ferie forzate quasi tutto il personale della città metropolitana di Messina.
Ad accompagnare De Luca nella sua missione ci sono i “compagni” deputati dell’Udc, Vincenzo Figuccia e Danilo Lo Giudice – che ha preso il posto di De Luca all’Ars dopo che questo è diventato sindaco – i quali hanno sollecitato le istituzioni: “Nei giorni scorsi il Governo regionale ha annunciato un primo provvedimento per salvare le ex Province dal dissesto, in accordo col governo nazionale. Ma è appunto solo un primo passo, certamente non risolutivo, perché gli enti intermedi, Città metropolitane o Liberi consorzi, hanno bisogno di interventi strutturali, normativi e finanziari, che siano certezza almeno nel medio periodo”. L’accordo cui fanno riferimento i tre dell’Udc è quello che Nello Musumeci, governatore siciliano, ha salutato come il miglior risultato possibile. Ma che ha mandato su tutte le furie la deputazione siciliana di Forza Italia, che a Montecitorio si stava battendo in lungo e in largo per strappare un accordo più giusto.
Quello emerso dalla lunga trattativa con Roma, invece, “mortifica la Sicilia” secondo Nino Germanà, il parlamentare forzista di lungo corso che ha prestato il suo cognome al disegno di legge sul prelievo forzoso tuttora fermo alla Camera. Che lo stesso Germanà, in base alle ultime evoluzioni sul tema, minaccia di ritirare. Dietro i festoni e lo spumante, in realtà, si celebra lo scandalo. Quello dei politici siciliani, in questo caso del governo regionale, che si accontentano di trattare al ribasso. “Non bastano 150 milioni di euro ma ci vogliono 350 milioni di euro per garantire la tranquillità finanziaria e la corretta programmazione per il triennio 2019-2021 a tutte le città metropolitane e liberi consorzi della Sicilia” ha spiegato De Luca. Mentre Figuccia e Lo Giudice hanno presentato un ordine del giorno in assemblea regionale per capire “chi è davvero dalla parte dei territori e chi lo è soltanto a parole”. Dopo la marcia, il presidente dell’Ars Micciché dovrebbe ricevere una delegazione di amministratori locali, mentre Musumeci, al di là della soddisfazione che ha seguito questo patto “fuffa”, non ha più proferito verbo.
Ma veniamo al dunque. Dopo un lunghissimo tira e molla, le preghiere di rito, accelerazioni e brusche frenate, il governo gialloverde ha pensato di rifilare alla Sicilia l’ennesima sola: credendo, o cercando di far credere ai siciliani, che 140 milioni di euro (cento di base più i quaranta del rifinanziamento di un piano triennale regionale) siano sufficienti a tamponare l’emergenza di enti in quasi in dissesto, che non riescono a chiudere i bilanci, programmare interventi relativi a manutenzione scolastica e viaria, men che meno a eseguire opere pubbliche di rilievo. Le province, affossate dall’ex governatore Crocetta in diretta televisiva da Giletti, faticano a pagare gli stipendi ai dipendenti. Ma adesso potranno ricominciare a farlo, grazie a quella che Stefania Prestigiacomo, in una recente intervista a Buttanissima, aveva definito dequalificazione della spesa. “E’ uno scandalo – ha tuonato la Prestigiacomo -. Si attingono risorse dal fondo sviluppo e coesione, ovvero dal fondo per gli investimenti infrastrutturali necessari per la Sicilia, per finanziare la spesa corrente. Non si è conquistato un euro vero, il conto lo pagheremo noi e solo noi”.
E’ come se la Sicilia si fosse calata le braghe rispetto all’insolenza di un governo gialloverde che, secondo Nino Germanà, “in maniera truffaldina ha deciso di superare la questione del prelievo forzoso delle ex province sottraendo i fondi già stanziati per le infrastrutture di una terra che ha fame di sviluppo”. Dando addosso a Salvini, che di recente aveva rispolverato il tema delle province: “Questa è la conferma che quelle del vicepremier leghista sono solo dichiarazioni da campagna elettorale” ha accusato Germanà. Il cui disegno di legge, che porta anche la firma della Prestigiacomo, pretende “il medesimo trattamento ottenuto da tutte le altre province italiane a cui è stato invece riconosciuto il diritto alla restituzione dei fondi perduti con risorse di parte corrente”. Parliamo, in soldoni, di 243 milioni di euro che i siciliani, e le province siciliane, rischiano di non vedere mai.
Parlamentari nazionali e governo regionale, che avrebbero dovuto muoversi sulla stessa onda, in realtà si sono presentati al traguardo stanchi e non allineati. Gli uni decisi a ottenere ciò che alla Sicilia spetta, gli altri pronti a limitare i danni. Resta la ferita aperta – economica e anche politica – che la stessa Prestigiacomo ha riassunto in un tweet molto rumoroso: “Il Governo regionale accettando questa proposta scandalosa ha svenduto i diritti dei siciliani, dimostrandosi penoso vassallo del Governo nazionale”. Gli ha fatto eco De Luca, che ha puntato il dito contro la gestione di Gaetano Armao, vice governatore e assessore regionale all’Economia, e Alessio Villarosa, sottosegretario del Movimento 5 Stelle che s’era intestato la questione: “I 140 milioni proposti dall’inedita coppia Armao-Villarosa non bastano neanche per il 2019 e la copertura dei deficit degli anni precedenti – ha sottolineato ancora il sindaco di Messina -. Ci siamo stancati di essere tenuti al guinzaglio con soluzioni di breve periodo utili solo ai balletti politici e nocivi per la corretta amministrazione. E’ evidente che né Armao né Villarosa hanno l’idea di come si amministra un condominio, figuriamoci un comune o una città. La soluzione proposta non consente di avviare le gare di appalto per mettere in sicurezza strade, ponti, scuole e tante opere strategiche per lo sviluppo del territorio”.
Questa criticità sembra non averla percepita Musumeci – assieme a lui hanno esultato il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, e la compagna di Armao e parlamentare nazionale, Giusi Bartolozzi – che invece ha celebrato l’accordo con lo Stato. Pur comprendendo che si tratti di una soluzione tampone: “Poniamo fine alla lunga agonia delle province in Sicilia. Dopo mesi di estenuante confronto con il governo nazionale siamo riusciti a ottenere il miglior risultato possibile, in questo contesto di emergenza. Le province siciliane potranno disporre, entro giugno, di ulteriori cento milioni di euro, per spesa corrente, in aggiunta ai 102 milioni già erogati dalla Regione Siciliana il mese scorso. Abbiamo anche ottenuto l’inserimento di deroghe normative all’approvazione dei bilanci e dei rendiconti. Dunque, le Province potranno approvare gli strumenti contabili e, quindi, rimettere in moto la macchina degli investimenti”. Questo passo dovrebbe, quanto meno, consentire ai Liberi Consorzi che versano in stato di pre-dissesto, tutte ad eccezione di Trapani e Agrigento (Siracusa il default, invece, l’ha già dichiarato) di salvarsi temporaneamente in calcio d’angolo. Ma il futuro è cupo come non mai. E non basteranno le marce, né le finte elezioni del prossimo 30 giugno – delegate soltanto a sindaci e consiglieri comunali – per sfuggire a un calvario annunciato.