Piccoli e indipendenti, low cost e di lunga tenuta, “chiavi in mano” per semplicità di allestimento e di sicuro successo, partoriti magari per buona volontà o quasi per scommessa e poi pluripremiati. Sono quei “miracoli” del teatro siciliano che affollano le piccole sale (off o tradizionali) dell’Isola ma anche quelle oltre Stretto. Talmente “iconici” ormai da essere entrati nella memoria di gran parte degli spettatori, patrimonio collettivo della platea, con gruppi di fans che corrono a rivederli quasi ad ogni riallestimento.
In queste sera a Palermo ne è ritornato uno – al Museo Internazionale delle Marionette – che debuttò nel 2007, “Luigi che sempre ti penza” (con la “z”) scritto, interpretato e diretto da Gigi Borruso, storia agrodolce di un emigrato siciliano in Germania sul finire degli anni ’60. Una vicenda privata che ha il sapore di quella che ha attraversato milioni di famiglie del Sud e che l’autore-protagonista fa snodare attraverso l’artificio della sua voce, del suo fisico e di una valigia dalla quale estrae, in un gioco basculante tra nostalgie, speranze e disperanze, pupazzi e altri oggetti di scena. Testo forte pur se sul filo di una poetica delicata, messinscena scarna ma efficace, ritmo ben sostenuto sono la garanzia di un successo che ha sempre arriso assieme a riconoscimenti in Italia e fuori.
A Milano, al Teatro Libero dal 22 al 24 febbraio, tornano “Le mille bolle blu” di Filippo Luna e del suo barbiere Nardino, altro “must” delle piccole produzioni indipendenti siciliane. Dal debutto nel novembre 2008 al Nuovo Montevergini di Palermo, non c’è stata stagione finora in cui il testo scritto dal giornalista Salvatore Rizzo (che ha fruttato a Luna il premio come miglior attore nel 2010 dall’Associazione nazionale critici teatrali) non abbia portato a casa il suo bottino di repliche nell’Isola e in tutta Italia (dal Veneto alla Lombardia, all’Umbria). La storia dell’amore omosessuale vissuto clandestinamente nella Palermo degli anni ’60 tra il barbiere Nardino e l’avvocato Emanuele continua a commuovere platee sempre “sold out”.
Luna e Borruso tra l’altro si sono palleggiati in questi ultimi tre lustri anche due “classici” del Teatro Ditirammu: il natalizio “Ninnarò” e il pasquale “Martorio” ripresi di anno in anno nel teatrino fondato da Vito e Rosa Parrinello e adesso diretto dai figli Elisa e Giovanni: ma questi due spettacoli – che però sono stanziali – sono quasi “fuori quota”, vengono per l’appunto ripresi in occasione delle feste cristiane più solenni dell’anno anche se in molti comunque accorrono a rivederli per l’ennesima volta.
E’ dal 2003 che Tino Caspanello, area orientale della Sicilia, versante jonico del Messinese, con la sua produzione Pubblico Incanto, porta in giro “Mari”, dialogo di struggente talvolta aspra tensione tra un pescatore e la moglie (in scena con lui c’è Cinzia Muscolino, compagna d’arte e di vita): sono stati un po’ ovunque, in Europa, e tra le soddisfazioni più grandi quella di aver visto l’allestimento francese del testo, al Theatre de l’Atelier di Parigi.
Dal 2006 Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi dei Teatrialchemici riprendono, tra una novità di prosa e una regia d’opera lirica, “Desideranza” che nacque come laboratorio teatrale con un gruppo di ragazzi down e che nel 2007 fu segnalato al Premio Scenario. Un gioco irresistibile che fa strage dei luoghi comuni sulla diversità ma irride anche a tanti altri luoghi comuni sulla “diversabilità”.
Anche se più giovani di debutto, sono già dei ritorni evergreen “Letizia forever” che Rosario Palazzolo, drammaturgo e fondatore del Teatro della Contraddizione, ha affidato a uno strepitoso Salvatore Nocera, un ruolo en travesti che miscela con sapienza culture e linguaggi alti e bassi, come è tipico nella ricerca espressiva dell’autore, e “Una vita a matita” di Quinto Quiescenti e Lorenzo Covello, prodotto da Quinto Equilibrio, un saggio di comicità surreale che vede alle prese due strambi ricercatori sui guai in cui ci si può imbattere nel corso di una festa di compleanno, performance che ha conquistato più platee oltre a molti premi. Stessa fortuna e stessa vita destinata ancora ad essere lunga ha pure “A testa sutta” di Luana Rondinelli, romana di formazione marsalese, che affida la sua memoria di bambina d’adozione siciliana a uno spettacolo recitato da Giovanni Carta.
Altro ritorno di stagione in stagione è quello di “Antropolaroid” di Tindaro Granata (anche se qui l’origine è più blasonata: il Teatro di Genova) che dal 2011 va ancora girando per spazi più o meno piccoli, pure questo sul filo della memoria, instantanee di storia contadina stavolta, quella dei nonni dell’autore-interprete, nato a Tindari e diventato, da marittimo che era e altri mille mestieri che ha fatto, attore tra i più sensibili della generazione dei quarantenni tanto da guadagnarsi il prestigioso Premio Ubu proprio per questo progetto.