Archiviata la cocente delusione delle Amministrative, la Lega rimette insieme i cocci. Quanto meno, ci prova. La nuova classe dirigente, a livello locale, necessita di esempi positivi. Uno di questi è Annalisa Tardino, l’eurodeputata di Licata, a cui molti esponenti del centrodestra – non solo del Carroccio – predicono un gran bel futuro. Professione avvocato, la Tardino, assieme a Francesca Donato, ha ottenuto il pass per Strasburgo all’apice del consenso salviniano, quando il “capitano” riusciva a sfondare il 20% anche in Sicilia. Altri tempi. Quel boom elettorale, un ricordo decisamente svampito, è servito al Carroccio per ricalibrare il proprio peso all’Assemblea regionale e nella coalizione di centrodestra, fino all’ingresso in giunta di Samonà ai Beni culturali. Non sarà certo qualche incidente di percorso, leggasi elezioni Comunali, a pregiudicare il cammino: “Ritengo che la Lega debba crescere privilegiando chi arriva dalla società civile – spiega la Tardino –. Ciò non significa escludere chi ha già fatto politica, ma è giusto fare dei distinguo. Come in ogni cosa”.
Anche Musumeci, alla manifestazione di Catania, ha suggerito al vostro segretario Candiani di selezionare la classe dirigente con l’alambicco della distillazione. Alla lunga, non rischia di diventare un limite?
“C’è chi si vuole federare con la Lega solo ed esclusivamente per avere un ascensore per Roma o per Bruxelles, e in queste Amministrative l’ha dimostrato, facendo propria la teoria del “federiamoci, ma domani”. Al contrario, c’è chi crede nella serietà della nostra struttura politica. Non siamo un partito nato ieri, come i Cinque Stelle, pieno di incompetenti. La Lega dove amministra lo fa bene. Il successo di Luca Zaia ne è la conferma”.
In Sicilia è replicabile il modello Zaia?
“Credo sia un modello da importare. Ma non si può riprodurre con uno schiocco di dita, usando alcuni ex politici per passare dall’1% al 35%. Significherebbe cambiare etichetta a un prodotto già fatto. Credo, da cittadina, che quello che sia accaduto alla Sicilia negli ultimi vent’anni sia la conseguenza delle scelte errate dei siciliani. Anche in termini di selezione della classe dirigente. Quindi dico: ok, apriamoci. Ma con le persone giuste. E comunque sarà il nostro segretario a dare una linea al partito. Candiani ci sta mettendo tanta abnegazione per farlo attecchire”.
Come si fa, da Bruxelles, ad essere vicini alle prerogative dei siciliani?
“Lavorando senza farsi condizionare dalle ideologie. Faccio parte della commissione Libe, che si occupa di diritti civili, affari interni e giustizia. In questo primo anno, nelle vesti di coordinatrice di Identità e Democrazia (il gruppo di cui fa parte la Lega), sono stata la relatrice di una raccomandazione per lo scambio di dati sensibili fra Unione Europea a Nuova Zelanda, utile per la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo. In commissione Bilancio e Pesca, grazie al lavoro della nostra delegazione, è passato un emendamento che ha portato all’approvazione dei contributi per i pescatori delle zone di costa. Ovviamente potrà usufruirne anche la Sicilia. Inoltre, durante il lockdown, abbiamo approvato una norma per dare ristoro ai pescatori in caso di arresto temporaneo dell’attività causa Covid. Prima non era previsto”.
Giorgetti, dal palco di Catania, ha invitato tutti voi a non perdere di vista ciò che succede nel Partito Popolare Europeo: dalle sue sorti dipendono quelle dell’Italia. La Lega ha trovato una sua dimensione in Europa?
“Credo che il messaggio a cui bisogna attenersi sia quello del “fare” e del portare a casa risultati”.
Il fenomeno degli sbarchi visti con gli occhi di un’eurodeputata a Bruxelles. L’Europa è davvero così riluttante a risolvere la questione?
“Sì. L’ultimo esempio è la proposta di riforma del regolamento di Dublino presentato il 23 settembre dalla presidente Von der Leyen: non c’è una sola misura a favore dell’Italia. L’unica nota positiva è l’importanza data alla tematica dei rimpatri, ma non sappiamo ancora come bisognerà effettuarli. Ad esempio, non è previsto un ricollocamento obbligatorio, ma solidale. I paesi che non vogliono prendersi le ricollocazioni, dovrebbero sponsorizzare il rimpatrio a quelli che, invece, offriranno accoglienza. Siccome ad accogliere sarà sempre l’Italia, volontariamente o coattivamente, dovremo accontentarci dell’elemosina degli Stati membri. E poi c’è la questione del pre-screening: di fatto l’unica zona di frontiera destinata a tale scopo sarebbe Lampedusa. Un ulteriore onere per un Paese come l’Italia, che già risulta letteralmente invasa”.
Quale sarà il ruolo delle Ong?
“Questa è un’altra cosa grave. Si invitano, infatti, gli stati membri a collaborare con le Ong. In questo modo, non faremo lavorare le nostre autorità pubbliche, ma assegneremo un ruolo a soggetti privati che, magari, potrebbero anche avere degli interessi economici. In commissione Libe non fanno altro che parlare del ruolo delle Ong, ma quando chiediamo che venga ascoltato un presidente di Regione come Musumeci, che vive questo “dramma” in prima persona, tutto tace. E’ la stessa commissione in cui si esaltano le gesta della comandante Carola Rackete e non si ascolta nessuno della Guardia di Finanza, la cui motovedetta ha rischiato di essere speronata dalla Sea Watch. E’ quello che le dicevo prima: il percorso sembra già segnato. L’ideologia, degli altri, prevale sul nostro tentativo di affrontare in modo concreto la piaga dell’immigrazione clandestina”.
Secondo lei Salvini è vittima di un processo politico?
“Svolgo da 15 anni la professione di avvocato e nutro grande rispetto per i magistrati. Come emerge dalle prime battute del processo di Catania, se non si tratta di un processo politico, ci troviamo certamente di fronte a un errore, perché anche il pm ha chiesto l’archiviazione. Il giudice per l’udienza preliminare ha stabilito di ascoltare i componenti del governo di cui Salvini era ministro, senza che la difesa lo richiedesse. Come in ogni ambito, così anche in magistratura, ci sono persone che si muovono più o meno correttamente. E’ sbagliato generalizzare”.
Torniamo alla politica. Candiani sta cercando il Luca Zaia di Sicilia. Le piace l’idea? Potrebbe essere lei a succedere a Musumeci?
“E’ un’idea prematura, persino un po’ esagerata. Mi fa sorridere. Io sto cercando di fare bene il mio lavoro, che significa rappresentare al meglio le istanze dei siciliani, ma anche dei sardi, al parlamento europeo. Sono e resto a disposizione del partito”.
Ma in molti la indicano come il “faro” della Lega che verrà.
“E’ sempre bello poter essere un “faro” e rappresentare chi non vuole piegarsi alle vecchie logiche di sistema. Essere presenti nella futura amministrazione regionale, però, non significa escludere Musumeci. Il presidente sta cercando di dare un contributo per la nostra terra”.
Ci sta riuscendo?
“Secondo me bisogna fare delle distinzioni. Alcuni assessorati stanno lavorando in modo proficuo e intenso, altri sono più in ombra. Il presidente, per il quale nutro profonda stima, è uno dei politici migliori che abbiamo ed è notevole il cambio di passo rispetto a chi lo ha preceduto. Non che ci volesse molto con Crocetta…”.
Appunto.
“Musumeci resta, oggettivamente, un ottimo politico e una persona di grande sostanza. Che il governo sia un po’ fermo, e ci si potesse aspettare qualcosa di più, credo sia innegabile. Ma non è solo colpa sua”.
Quando la Lega entrò in giunta con Samonà, Candiani disse di voler imporre un cambio di passo all’intera macchina regionale.
“Gli apprezzamenti per Samonà, che è stato vittima di critiche e attacchi ingiustificati, arrivano da più parti. Sta facendo un grande lavoro in un ruolo delicato. E’ chiaro che tutti potrebbero fare un po’ di più. Diciamo che la presenza della Lega può dare una spinta al presidente Musumeci perché divenga ancora più coraggioso di quello che è”.