Questa Lega ne combina una più del diavolo. A distanza di pochi giorni dallo sciagurato decreto di ripartizione delle quote tonno, che ha concesso a Favignana appena 14 tonnellate l’anno (pari a un centinaio di pesci) e indirizzato la storica tonnara sull’orlo di un precipizio, adesso ci si mettono le infrastrutture. Persino quelli del Movimento 5 Stelle, che dall’avanzata del Carroccio in Sicilia hanno visto erodersi il consenso, sono passati all’attacco. La Lega, in questo caso, è “colpevole” di aver escluso dalla legge di conversione del decreto sblocca-cantieri, al Senato, un fondo di garanzia per le aziende coinvolte in appalti a rischio. Come nel caso della CMC, il colosso delle costruzioni di Ravenna, che è in crisi e non può saldare i debiti con le imprese siciliane che da tempo, ormai, portano avanti i lavori – di cui CMC è committente – senza percepire un euro. Il primo effetto di questa traumatica inadempienza da parte della politica, sarà il blocco di alcuni cantieri sulla Palermo-Agrigento e, soprattutto, sulla Agrigento-Caltanissetta, che qualche mese fa Conte e Toninelli, armati d’elmetto, avevano visitato, promettendo fuoco e fiamme.
Due provvedimenti, quelli col marchio leghista, arrivati all’indomani delle elezioni Europee, che hanno consegnato al Carroccio la palma di secondo miglior partito dell’Isola, con una percentuale che s’è impennata sopra il 20%. A Favignana ha toccato il 29% e per questo, presentandosi un paio di giorni fa alle Egadi, il coordinatore regionale di Forza Italia, Gianfranco Miccichè, ha rivolto un cazziatone ai favignanesi che hanno seguito il suo comizio da un balcone in pieno centro: “Io sono un po’ incazzato con vuatri. – ha detto l’uomo di Berlusconi in Sicilia – Dare il 30 per cento ai leghisti è follia, insieme ai grillini arrivano al 50 per cento. Ma veramente ci basta che viene uno con la scritta Mazara per diventare amico nostro?”.
Gli ultimi mesi, in verità, sono zeppi di decisioni borderline e toni aspri. Tutto ha inizio lo scorso agosto, quando Miccichè, aderendo al picchetto organizzato da alcuni centri sociali, e in compagnia di Laura Boldrini (che fra i nemici di Salvini sta nella “top ten” a mani basse), si presenta al porto di Catania, dove da giorni è “arenata” la nave Diciotti, per distribuire della biancheria intima ai suoi occupanti. E da lì si scaglia per la prima volta contro il Ministro dell’Interno: “Nel lasciare 150 persone per tre giorni in balìa di malattie e stenti su una nave, non c’entra niente la razza o la diversità, c’entra l’essere disumani, sadici. E per cosa poi, per prendere 100 voti in più? Salvini, fattene una ragione, non sei razzista: sei solo stronzo”. Esplode la polemica e il “compagno” Micciché, come lo ribattezzano in tanti, si affranca dalla Forza Italia ufficiale, che sui migranti (a parte rari casi, come la Prestigiacomo che qualche mese dopo si infiltra sulla Sea Watch) non prende mai una posizione ufficiale. Per non fare un torto all’alleato di tante battaglie – soprattutto nelle Regioni – che si spera possa garantire ai forzisti la sopravvivenza anche in futuro. Di fronte ai muscoli di Salvini, però, nemmeno Musumeci, che di Matteo è interlocutore e discreto alleato, sceglie di polemizzare.
La “Diciotti”, però, è un caso a sé. Ha poco a che vedere con le situazioni che nel giro di qualche mese si presenteranno in Sicilia. Dove la Lega – con Salvini presente a Bagheria, Gela, Caltanissetta – sferra l’offensiva per le Amministrative (raccogliendo un paio di ballottaggi) e decide, con una strategia capestro, di andare a disturbare Forza Italia in casa propria. E’ in questa ottica che va letta la candidatura del decano Angelo Attaguile, il quale avrà l’onore, e il piacere, di avere al proprio fianco un sostenitore d’eccezione. Macchè. Una famiglia di sostenitori: i Genovese. Il piccolo Luigi, paperone dell’Ars ad appena 21 anni, consuma i suoi rapporti con Forza Italia e sotto la direzione di papà Francantonio, che prima di passare sotto l’egida di Berlusconi aveva già guidato il Pd siciliano, si presta a una campagna elettorale in funzione Carroccio. Ma Attaguile manca l’elezione – arriva settimo con 20mila voti – e il leader Candiani, che prima evidentemente non s’era opposto al “patto amicale” con i Genovese, adesso ripudia l’uno e gli altri. “Questa alleanza ci ha messo in imbarazzo”. I leghisti – stando al manifesto teorico del partito in Sicilia – non vogliono riciclati. Ma s’erano appropriati di un binomio – un ex lombardiano e un quasi ex berlusconiano – nella speranza di averla vinta.
Bizze di natura elettorale, si dirà. Nulla in confronto ai provvedimenti – scellerati – che toccano il nervo scoperto dei siciliani: lavoro e collegamenti infrastrutturali. A partire dalla ripartizione delle quote tonno. Un provvedimento firmato da Franco Manzato: “Soltanto un leghista di Oderzo, comune che dista 50 chilometri dal mare, uno che non sa neanche cosa sia il mare – figuriamoci l’industria conserviera ittica – poteva rendersi protagonista di una distribuzione delle quote tonno a totale svantaggio di Favignana” commenta il solito Micciché. “Il decreto è illegittimo e figlio della volontà politica della Lega di Salvini – ha proseguito il presidente dell’Ars – Questi non daranno niente alla Sicilia. Anzi cercheranno di toglierci tutto quello che abbiamo”. Il lessico di Micciché non è da cerimoniere, si sa. Ma il coordinatore di Forza Italia, infischiandosene della linea ufficiale di un partito lacerato, lo ha detto a chiare lettere: “Se per ottenere ciò che serve è necessario offendere, io lo faccio. Punto”. Ci aveva già provato con Salvini (lo “stronzo”), coi due vice-premier (“Due coglioni che camminano sempre in coppia”), e poi con la Lega tutta: “Sono dei buzzurri. Ammazzerei chi li ha votati”. In senso figurato s’intende. Solo che il commissario del Carroccio, Stefano Candiani, non lo ha capito e se l’è presa. Possibilità di ricucire? Nessuna.
Sull’altro fronte istituzionale, quello governativo di Musumeci, il commento sul destino di Favignana è più edulcorato, e forse un filino timido: “Non ci sto! Lo dico lontano da ogni spirito polemico e nel rispetto della leale collaborazione tra le istituzioni. Dopo anni di chiusura, proprio ora che grazie a un imprenditore coraggioso la Tonnara di Favignana è stata riaperta, la ripartizione delle quote di pesca, decise dal governo centrale per quell’impianto, non è compatibile con la sostenibilità finanziaria di un progetto serio. Ho già chiesto al ministro dell’Agricoltura, Gian Marco Centinaio, di fissare un Tavolo tecnico a Roma per riesaminare il decreto di assegnazione delle quote, magari in un utile confronto con le autorità sarde”. Lo stesso Centinaio, leghista pure lui, che ha già detto “bravo” a Manzano, il sottosegretario chiacchierato, e bollato il resto come “falsità”. Ottenere una più equa ripartizione sarà tutto fuorché banale. E la tonnara delle Egadi, che contava su 70 tonnellate per rientrare dalle spese, rischia di chiudere: potrebbero andare in fumo 80 posti di lavori e un investimento da 700 mila euro. Sono questi i numeri del primo, probabile disastro della Lega in terra di Sicilia.
Al secondo, quello infrastrutturale, forse si potrebbe rimediare. Come emerso da più fonti, l’intenzione di escludere un fondo “salva imprese” dal decreto Sblocca Cantieri è opera della Lega. Musumeci, forse per rabbia, o forse perché intende salvaguardare i rapporti con Salvini (si appresta a formare un nuovo movimento che dovrebbe federarsi col Carroccio), ha messo nel mirino l’obiettivo sbagliato: ossia Toninelli, ministro dei 5 Stelle, per aver disatteso le promesse fatte alla Sicilia in campagna elettorale. Vero in parte. Ci ha pensato il Movimento, denunciando la loquacità a corrente alternata del governatore, a metterci una pezza. Annunciando che “la norma, stoppata in Senato, sarà rivista e inserita nel Decreto Crescita alla Camera”.
Il paradosso è che i due provvedimenti di cui sopra, ordinati a scapito della Sicilia, rischiano di non essere neanche gli ultimi della lista: Salvini preme su Conte e i grillini per l’autonomia differenziata, promessa a tre regioni ricche del Nord – Lombardia, Veneto ed Emilia – che rischia di creare un Paese di Serie A e uno di Serie B, ampliando le differenze. Che già ci sono e sono sostanziose. Se le proteste ufficiali si fermassero alla letterina di Musumeci al presidente del Consiglio, in cui si chiede che “il Governo nazionale, nel rispetto delle norme costituzionali, assicuri il principio di solidarietà e di equità tra le Regioni italiane, nella sintesi tra spirito unitario e autonomistico”, non saremmo certo a buon punto. Perché nulla è peggio di presentarsi a Roma con il cappello in mano, sperando in uno sconticino. E’ già avvenuto per le ex province, e il risultato s’è visto: fallimentare…