C’è una città siciliana, con un livello di differenziata inchiodato al 10%, dove la gara d’appalto per la gestione settennale della raccolta e il conferimento dei rifiuti è andata deserta per la quinta volta di fila. Quella città è Catania. Il sindaco Pogliese e l’assessore all’Ecologia Cantarella, per la redazione del bando, dicono di essersi attenuti ai paletti fissati da Anac (l’agenzia nazionale anticorruzione), ma delle nove ditte che avevano chiesto un sopralluogo propedeutico, nessuna ha presentato un’offerta. E per questo ci sono rimasti malissimo. Probabilmente – non è da escludere – le condizioni sono parse poco convenienti: la base d’asta, circa 334 milioni di euro, avrebbe consentito un utile d’impresa dell’1,5% all’azienda aggiudicatrice. Troppo poco.
E stando al capitolato degli oneri, come riportato da Sud Press, le condizioni di servizio sarebbero risultate svantaggiose: ad esempio, sarebbe toccato alla ditta individuare, a proprie spese, una nuova discarica qualora quelle indicate per il conferimento non fossero più state disponibili nel corso dei sette anni della durata del contratto; o ancora, viene menzionato l’obbligo di intervento nel caso di eventi particolari, come la festa di Sant’Agata, per ripulire le strade dalla cera; e infine, il numero di lavoratori previsto dal bando, è inferiore di un centinaio di unità rispetto a quelli della Dusty, la società che gestisce il servizio in regime di proroga (e non riesce, come attestato dalla percentuale di differenziata, a completare il “porta a porta”, esteso fra l’altro a una percentuale risibile di catanesi).
Insomma, non mancano gli elementi per dubitare che “quel” bando sia veramente appetibile. Ma è la quinta volta che viene deserto, e qualche interrogativo sorge. Catania, fra l’altro, è una delle tre città metropolitane (assieme a Palermo e Messina) che contribuisce al fallimento della raccolta differenziata e alla conservazione dello status quo della Sicilia: che negli ultimi dieci anni s’è fatta la nomina di regione discarico-centrica. Nel periodo fra gennaio e settembre del 2019, i dati della Srr di Catania parlano di una percentuale di differenziata del 10%, rispetto al 26 su base provinciale. A livello regionale, invece, il dato sale fino al 38%, ma è fortemente penalizzato dalla performance dei grossi centri. Il 70% dei rifiuti prodotti nell’Isola, inoltre, viene conferita nelle discariche dei privati. Che con l’emergenza e le proroghe ci vanno a nozze.
A sud del capoluogo etneo, in contrada Grotte (territorio di Lentini), sorge il più grande impianto privato dell’Isola, quello della Sicula Trasporti, l’azienda in mano alla famiglia Leonardi che nel 2018 si è vista riconoscere dalla Regione un ampliamento straordinario per 1,8 milioni di metri cubi. La superficie su cui estende è di 140 mila ettari. In questa discarica, da qualche mese, finiscono anche i rifiuti trattati al Tmb di Bellolampo, ma che a Palermo non possono rimanere per la saturazione della sesta vasca. Oltre a quelli di 255 comuni siciliani, che a Lentini conferiscono regolarmente (il costo medio è di 100 euro a tonnellata). Qualche mese fa, era settembre, la Prefettura ordinò un’ispezione, che però fu salutata con favore anche dalla Sicula Trasporti: si parlò di normali attività che “rientrano nell’ambito delle competenze del Comitato per l’Ordine alla Sicurezza Pubblica coordinato dalla Prefettura di Catania al fine di verificare la sussistenza di potenziali infiltrazioni mafiose”.
Dall’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, che da mesi porta avanti la commissione antimafia, però, emerge come siano parecchi i casi-Catania. Magari riguardano centri più piccoli, e il giro d’affari è minore. Ma nel cumulo delle situazioni borderline, che si sviluppano lungo le due direttrici abituali – lo stato d’emergenza e la proroga delle autorizzazioni – i sospetti diventano certezze quasi granitiche, dato che su 390 comuni censiti (i dati richiesti dal presidente Fava li avrebbero forniti quasi tutti), una cinquantina si affiderebbero a proroghe “eterne” e sempre rivolte ai medesimi beneficiari. Innescando il solito cortocircuito, che ha tra i suoi effetti l’aumento della Tari, da parte delle Amministrazioni comunali ai cittadini, per sopperire a un costo del conferimento in regime non concorrenziale. E nessuno si sogna d’intervenire. Tanto meno la politica, che continua nell’affannata ricerca di paletti, come nel caso della legge sulla governance e del “piano rifiuti”, ma sempre più spesso viene attratta nella marmellata, come rivelano le ultime inchieste della magistratura.
Il nome caldo è quello dell’assessore regionale all’Energia e alle pubbliche utilità, Alberto Pierobon, che ha rinunciato all’incarico di una multiutility veneta pur di rimanere in giunta e seguire da vicino la vertenza-rifiuti. Pierobon non è indagato. A gettare un’ombra sulla sua gestione, però, è stato il collega Toto Cordaro, che individua nel “tecnico” del governo Musumeci, il collante con Paolo Arata e, indirettamente con gli interessi di Vito Nicastri, il re dell’eolico che lo stesso Pierobon non sapeva dietro gli impianti sponsorizzati dal faccendiere: “L’assessore all’Energia Alberto Pierobon, a iniziare dall’autunno del 2018, iniziò a invitarmi e più volte a sollecitare gli uffici competenti ed evadere la pratica di Arata – ha detto Cordaro, durante l’interrogatorio di novembre in procura – L’impressione che ebbi è che Pierobon desse per scontato che la commissione si esprimesse nei termini evoluti da Arata”.
Pierobon, però, è stato tirato in ballo anche dall’apertura di un fascicolo, da parte della procura di Palermo, sulla vicenda del “piano rifiuti”, che la commissione Via-Vas presieduta da Aurelio Angelini, consulente di Musumeci per l’Energia, ha approvato qualche settimana fa. Il piano, che prevede un capitolo dedicato all’impiantistica, a cui ha lavorato lo stesso Pierobon, potrebbe essere finito nel mirino di imprese legate a Vito Nicastri, e di conseguenza ad alcune famiglie mafiose del Trapanese, più o meno direttamente complici della latitanza di Matteo Messina Denaro. Preso alla larga, sembra comunque un brutto giro. La cosa tragica è che l’assenza di questo “piano”, su cui occorre il parere della commissione Ambiente dell’Ars – in bilico, date le evoluzioni – e quello dell’ufficio legale e legislativo dell’assemblea, compromette un allineamento virtuoso al ciclo dei rifiuti da parte della Regione. E’ infatti uno strumento che stabilisce le regole del gioco e che manca alla Sicilia dai tempi del governo Cuffaro. Musumeci fra l’altro non ha scartato l’ipotesi di prevedere al suo interno la presenza dei termovalorizzatori: “Se ce li chiede il Ministero…”.
Ma l’inefficienza della Regione su questo tema è palese. Lo dimostra lo stop al ddl rifiuti, la cui gestazione è durata oltre un anno nelle commissioni di merito, ma che si è impantanato dopo appena una seduta a Sala d’Ercole. La legge che dovrebbe riformare la governance – istituendo le nuove autorità d’ambito al posto di Ato ed Srr – si è arenata di fronte all’evidenza dei numeri. Che non consentono, alla maggioranza semplice, di portare avanti il provvedimento. L’articolo 1, infatti, è stato bocciato dai franchi tiratori e da quel momento Musumeci ha scelto di non andare oltre. Sarebbe stato un accanimento. Il governo ha rimesso piede in aula, è vero, ma non per trattare la riforma, che così rimane legata a doppio filo alla modifica del regolamento sul “voto segreto”. Un altro elemento di debolezza è emerso a proposito della concessione di una proroga decennale alla Oikos, la discarica di Motta Sant’Anastasia, il cui ex presidente, Mimmo Proto, è stato condannato in primo grado a sei anni per corruzione. Il fatto corruttivo non sarebbe estraneo alla Regione siciliana, dato che il nome del secondo condannato, Gianfranco Cannova, è quello di un ex funzionario che avrebbe intascato mazzette per facilitare i processi autorizzativi fra il 2007 e il 2010.
Il fiume delle contraddizioni ha più affluenti. Ma gli unici a pagare davvero sono i cittadini: alle prese con tariffe esose, in cambio di servizi pessimi e talvolta inesistenti. E con la monnezza sulle strade, che ormai non li fa più nemmeno indignare.