Quelle 12 domande sono lì, nella Pec del presidente Gianni Puglisi. Segretissime, dicono. Ci sono i nomi dei successori di Roberto Alajmo alla direzione artistica del Teatro Biondo, compreso Alajmo stesso che s’è ricandidato partecipando con gli altri 11 alla “manifestazione di pubblico interesse”, al bando di cui venerdì sera, però, proprio l’ex direttore, congedandosi dal pubblico dopo la “prima” del suo spettacolo, ha fatto barcollare la solenne veridicità con quel suo “ho saputo che non sarò io a guidare nei prossimi cinque anni lo Stabile di Palermo” e “non posso e non voglio dire altro per rispetto al Consiglio d’Amministrazione che dovrà scegliere” come se un “uccellino” gli avesse poche ore prima sussurrato il nome di chi avrebbe preso il suo posto, dicono. Sgambetto o messaggio non troppo in codice che pare non sia piaciuto affatto al presidente Puglisi e al sindaco Leoluca Orlando che sabato mattina, letti i giornali, hanno avuto un trasalimento pressorio, dicono.
Al di là dei “dicono” e comunque siano andate le cose, la “palla” adesso passa al CdA del teatro di via Roma. Al cui interno pare ci sia fretta di decidere (entro fine mese o entro questa settimana) ma dove la situazione non è proprio chiarissima tra quelle che solitamente vengono dette le “forze in campo”. Lo Stabile palermitano, o meglio l’Associazione Teatro Biondo–Stabile di Palermo, ha tre soci: Regione, Comune e Fondazione “Andrea Biondo”. C’era una volta anche la Provincia che però defunse quando defunsero tutte, in Italia, per legge, insieme con i 700mila euro circa che sganciava ogni dodici mesi su quei velluti rossi, un vuoto che pare, nei suoi cinque anni, Alajmo abbia colmato con nuovi abbonamenti e con lo sbigliettamento.
Nel CdA il rappresentante della Regione Siciliana è Carlo Degli Esposti, il “signor Palomar”, ovvero il fondatore e presidente della società di produzione televisiva che ha trasformato in un eroe in carne e ossa per il piccolo schermo (e in un affare interplanetario di ascolti e di soldi) il “Montalbano” di Camilleri. Il bolognese Degli Esposti fu cooptato dall’ex presidente Rosario Crocetta e planò dunque in via Teatro Biondo in quota centrosinistra. Secondo la spietata regola dello spoils system, l’attuale governo di centrodestra guidato da Nello Musumeci in un anno a passa avrebbe potuto cambiarlo e invece lo ha lasciato lì.
Per il socio-Comune di Palermo la poltrona è di Federico Ferina, avvocato, incaricato da Palazzo delle Aquile, “delegato” del sindaco Orlando. Per la Fondazione Biondo, infine, c’è Vittorio Scaffidi, “uomo-teatro Biondo” in saecula saeculorum, ex manager Sip chiamato nel 1977 dall’allora presidente Lello Rubino e lì rimasto.
Su tutti, il presidente Gianni Puglisi, accademico di chiara fama, che è pure presidente della Fondazione Biondo, anche lui in sella da quasi quarant’anni sebbene abbastanza defilato dallo scintillìo delle applique del palco centrale di prima fila destinatogli per carica.
In mano a queste quattro persone il nome del futuro direttore artistico. Cosa accadrà adesso? La Regione è socio di maggioranza con i quasi 3 milioni di euro che sborsa ogni anno, il Comune gli sta dietro con un milione e mezzo mentre la Fondazione Biondo mette di suo l’immobile, il teatro, che è privato perché se lo Stabile non avesse quella sede dovrebbe sganciare milioni e milioni d’affitto (gli eredi Biondo – lungimiranti – crearono la Fondazione proprio per blindare la finalità culturale dell’edificio, perché non arrivasse una danarosa multinazionale a trasformare platea, palchi, loggione e palcoscenico in un centro commerciale).
Nella quarantennale storia dello Stabile la Regione ha come “delegato” la vita del Biondo al Comune, erogando il suo contributo ma quasi disinteressandosi delle questioni di indirizzo artistico. Era Palazzo delle Aquile (con il suo sindaco – quasi sempre Orlando – e i suoi assessori alla Cultura) a profferir parola nella guida, nell’orientamento dello Stabile. Con Musumeci la musica è cambiata, per genere e per ritmo. Il presidente di centrodestra ha fatto capire che Palazzo d’Orleans non vuol più fare il comprimario sui palcoscenici dell’isola e anche con segnali chiari: il “grazie, è stato un piacere” a Giorgio Pace, sovrintendente dell’Orchestra Sinfonica Siciliana, è stato il primo, quello detto ad Alajmo è stato il successivo. Non solo: il presidente si è “dotato” anche di un consulente per il teatro, il regista Giuseppe Dipasquale, ex direttore artistico dello Stabile di Catania. Riuscirà adesso Musumeci ad imporre la sua linea e il suo nome al Biondo (nonostante rappresentato in CdA da un uomo dell’ex presidente d’opposta fazione politica che potrebbe comunque cooptare a sé)? Potrebbe riuscire a spostare l’asse e orientarlo verso una scelta etneo-centrica (magari proponendo lo stesso Dipasquale)? Esiste davvero e quanto è solido il patto con l’altro Palazzo, quello di Piazza Pretoria, per spartirsi il Biondo e il Massimo, accordo in nome del quale sarebbe stato “sacrificato” Alajmo e “blindato” a piazza Verdi il pur valentissimo sovrintendente Francesco Giambrone? Il tavolo del CdA, così immaginato, sembra un flipper. E se uscisse fuori un outsider? Magari uno fra gli stessi 12 pretendenti (o gli 11, nel caso che Alajmo non lo si volesse più vedere nemmeno in fotografia)?
Di punti interrogativi ce ne sono già abbastanza. Chiunque arrivi troverà comunque un teatro risanato nei conti sebbene arranchi ancora nel quotidiano per via delle anticipazioni bancarie (con relativi aurei interessi) visto che i suoi stessi soci sganciano il denaro con la stessa tempestività di un bradipo; un teatro che ha ottenuto dal ministero di competenza un contributo che per la prima volta ha superato il milione di euro sebbene lo stesso ministero per ben due volte abbia bocciato le sue credenziali per assegnargli il titolo di Teatro Nazionale (e sarebbe il primo Stabile a sud di Napoli a fregiarsene). Su quest’ultimo tema potrebbe prospettarsi la già ventilata ipotesi di un’unione tra gli Stabili di Palermo e Catania, conservando ognuno le proprie identità storico-artistiche e assecondando anche stavolta un’idea accarezzata dallo stesso Musumeci. Un Teatro Stabile della Sicilia, insomma. Ma questo è già altro e futuro problema. Ce n’è già uno grosso da sbrogliare, per adesso. “Uno alla volta per carità”, implorava Figaro.