La Sicilia si blocca ancora. Ma stavolta, come nel 2000, spirano venti di protesta che potrebbero portare alla paralisi dei rifornimenti (di carburanti e generi alimentari). Gli autotrasportatori fanno sul serio. Hanno indetto per oggi la prima giornata di “sciopero bianco”. Presidiano l’ingresso di tre porti siciliani – Palermo, Catania e Termini Imerese – senza infastidire chi dovrà mettersi in viaggio, né chi arriva dal continente. Ma nei prossimi giorni il sit-in potrebbe diventare “attivo” e ingarbugliare gli spostamenti in entrata e in uscita. La protesta è contro il caro-prezzi dei traghetti: costi insostenibili per gli autotrasportatori, che chiedono rimborsi statali per sopperire all’aumento e ai costi aggiuntivi causati dalla chiusura, nei giorni scorsi, di un pezzo d’autostrada fra Ponte Cinque Archi e Resuttano, sulla Palermo-Catania, per un viadotto a rischio crollo.
Paralisi a doppia mandata, che s’intrecciano in maniera quasi mortifera. E’ la Sicilia, bellezza. Dove le strade non funzionano, ma viaggiare via mare è addirittura peggio. Per non parlare dei voli. “Agli autotrasportatori siciliani va la solidarietà del governo Musumeci per la vertenza sul caro-navi da e per a la le Isole”. Così, in una nota, il presidente della Regione. Presi com’eravamo dal caro-voli, che sabato ha costretto i pullman dell’Ast a ripartire da Palermo verso Nord, per la seconda parte del viaggio della speranza, ci si era quasi dimenticati dell’esistenza dei traghetti. Le tariffe sono state aumentate dalle compagnie di trasporto per adeguare le navi alle misure anti-inquinamento. “Ma perché debbono essere i camionisti a pagare?” è il ragionamento, in soldoni, delle tre sigle sindacali che hanno indetto lo sciopero. Si tratta di Aitras, Aias e Traporto Unito.
“C’era stata annunciata una convocazione al Ministero dei Trasporti – ha detto Salvatore Bella, dell’Aitras -. Speravamo in quella sede di affrontare i problemi che ormai rendono impossibile la nostra attività. Ma poi non è arrivata alcuna convocazione”. Gli autotrasportatori siciliani, però, hanno sospeso la protesta in serata, dopo un incontro di due ore con il governo regionale. Ne ha dato notizia l’assessore alle Infrastrutture Marco Falcone. Erano presenti le principali sigle del settore e i rappresentati delle Autorità di sistema portuale della Sicilia. “La Consulta regionale – aggiunge l’assessore – ha deliberato all’unanimità di chiedere al Governo nazionale, nella riunione che dovrà tenersi la prossima settimana come comunicato dal viceministro Giancarlo Cancelleri, un ristoro per i disagi che gli autotrasportatori devono patire a causa della chiusura dell’A19 Palermo-Catania e dei relativi transiti alternativi fortemente penalizzanti, ristori sul modello di quanto avvenuto per la Regione Liguria. Per quanto riguarda invece il rincaro dei trasporti marittimi – sottolinea Falcone – la Consulta chiede a Roma di adottare soluzioni idonee al fine di attutire e ridurre gli aumenti a carico degli autotrasportatori. Una di queste potrebbe essere l’estensione agli armatori, per i prossimi tre anni, del Mare bonus. Infine – conclude l’assessore – alla riunione della settimana prossima al Ministero delle Infrastrutture, il Governo Musumeci sarà presente con una delegazione della Consulta regionale per l’autotrasporto”.
Al fianco degli autotrasportatori si erano schierati i Forconi. Sempre a fianco degli ultimi (anche se il movimento, di recente, ha perso la sua verve), il leader Mariano Ferro spiega che da parte del governo nazionale “non arrivano segnali e noi che di tutto abbiamo bisogno, tranne che di ulteriori disagi o ancora peggio di rincari delle tariffe per portare le nostre merci fuori dall’isola”. Pertanto, “ci prepariamo ad aprire sulle strade un nuovo contenzioso col Governo. Che questo Sud sia ormai passato nel comune sentire come la palla al piede del Nord lo avevamo già percepito, ma essere snobbati persino nelle situazioni di emergenza è un po’ più complicato da accettare”.
Peccato che i camion e i tir non possano volare. I guai degli autotrasportatori coincidono con alcune, discrete notizie, che giungono sul fronte del caro-voli. Grazie a un investimento da 25 milioni nell’ultima legge di Bilancio, la Sicilia otterrà degli sconti sulle tariffe aeree. Ma solo su alcuni scali – Catania e Palermo – e per alcune categorie di viaggiatori: i disabili, ma anche i migranti per questioni di salute (con un reddito inferiore alle 20 mila euro annue), e infine studenti e lavoratori fuori sede. Si tratta di misure “provvisorie”, dato che l’obiettivo dichiarato di Fontanarossa e Punta Raisi è quello di ottenere il riconoscimento della continuità territoriale e calmierare i prezzi per tutti i siciliani. Gli sconti – una volta che verrà individuato un regolamento – potrebbero partire nella seconda metà del 2020. “E’ la prima volta che si fa una cosa del genere in Italia, non sappiamo che risposta avremo, quindi intanto partiamo col 30%, poi si vedrà – ha detto il viceministro alle Infrastrutture, Giancarlo Cancelleri -. La prossima battaglia è la continuità territoriale anche se – ammette – non sarà facile. Non solo per l’Ue ma anche per le eventuali coperture finanziarie che ci vorrebbero per garantire prezzi bassi per tutti i residenti in Sicilia”.
Durante le ultime festività natalizie, i siciliani hanno sperimentato vari modi per tornare a casa. E in questo modo – appellandosi agli autobus dei “terroni a Milano” o a quelli dell’Ast offerti (o quasi) dalla Regione – hanno cancellato l’onta di “ultimi della classe”. Le tariffe fuori mercato – i biglietti per rientrare in Sicilia costavano mediamente mezzo migliaio di euro – sono lo specchio di una terra fuori mercato. Priva di attrattiva. Dove non conviene vivere, e tanto meno investire. I prossimi passi per regolare il trasporto aereo dei siciliani, passa dalle tariffe sociali e della continuità territoriale, sul modello sardo, che però difficilmente troverà sponde a Bruxelles. Gli aeroporti di Catania e Palermo, infatti, superano di gran lunga il numero di passeggeri imposti dall’Unione Europea. Un criterio che sta a monte di qualsiasi ragionamento sul riconoscimento di questo “status”. Che di recente, e non senza difficoltà, è stato concesso agli scali di Trapani e Comiso, che in primavera – dopo l’aggiudicazione delle gare – dovrebbero partire con i voli calmierati. Ma registrano entrambi poco più di 300 mila passeggeri l’anno, con una contrazione notevole rispetto agli anni d’oro.
La condizione d’insularità della Sicilia, vecchia quanto la Sicilia stessa, non trova risposte adeguate. E l’assenza di una fiscalità di vantaggio – non solo nei trasporti, ma anche per le imprese – tiene alla larga gli investitori. Quelli che ci sono, inoltre, si scontrano spesso con la burocrazia lumaca, che determina il fallimento di sistemi prima funzionano. L’esempio più emblematico è offerto dagli impianti sciistici delle Madonie, a Piano Battaglia. Dove, pochi giorni fa, è andata deserta la terza gara per aggiudicare i lavori di sistemazione delle piste, con la stagione ormai alle porte.
Persino la Piano Battaglia srl, che riaprì la stazione nel 2016 dopo nove anni e si occupa degli impianti di risalita, ha scelto di non partecipare alla gara (l’importo a base d’asta, di 153 mila euro, è stato giudicato troppo basso). Negli anni scorsi ha cercato di ottenere dalla Città Metropolitana di Palermo un incarico “differito” (per 200 mila euro) al fine di occuparsi delle piste. Quest’anno potrebbe andare allo stesso modo. Se anche il quarto tentativo, a cui sono state invitate oltre 100 imprese, dovesse risultare un buco nell’acqua, si procederà a una trattativa privata. Ma nell’ignavia della politica e di chi amministra, baite e rifugi hanno chiuso. E gli appassionati sono migrati altrove. Non che sull’Etna le cose vadano a meraviglia: a sud, gli impianti comunali sono chiusi per un contenzioso fra il comune di Nicolosi e la società di Russo Morosoli (rinviato a giudizio assieme ad altre 17 persone per la gestione monopolistica delle escursioni sul vulcano). A Nord ci sono gli impianti, i servizi e i posti letto. Manca solo la neve. Che peccato.