E’ stata in questi giorni la rimemorazione di Ludovico Corrao, che cade nello stesso tempo del quarantenario della Fondazione Orestiadi. Ripenso al celebre brano di Borges tratto da “L’artefice”:

“Un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di vascelli, di isole, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto”.

Un uomo come ognuno, una donna come ognuna: la nostra vita è sempre disegno e traccia di ciò che siamo.

E dopo?

Dopo c’è chi riceve quel disegno, come un arazzo leggerissimo ma di incomparabile pregio: lo eredita, lo distende sulla terra e vi si addentra. Lo percorre a piedi come in un pellegrinaggio, lo esplora minuziosamente, si inoltra in ogni recesso, si sofferma in ogni meandro per essere sicuro di comprenderlo. Perché non sempre basta capire, che si fa da soli: è solo se lo si fa insieme che si comprende davvero.

E solo quando, dopo essere certi di avere compreso, si muove il primo passo in autonomia, non c’è alcun bisogno di rispettare i sentieri già tracciati, perché è il progetto stesso ad animare il nuovo disegno, che fluisce da sé libero, come una cascata fresca e rigenerante.

Perciò, sebbene siano trascorsi dieci anni dalla morte di Ludovico Corrao, il “suo” progetto continua, riversandosi in mille e mille attività diverse, tessendo sempre e sempre nuove trame, nuovi “tra”, nuovi spazi vuoti intessuti tra loro in una rete analoga a quella neurale, un vero e proprio network che si ispira a quello biologico e consente di creare un “sistema” che si regge da solo, un sistema nervoso delicatissimo e indipendente che crea sempre nuove connessioni e riconosce nuove possibilità di linguaggio e potenzialità originalissime.

Gibellina, la città, è lo spazio da cui tutto ciò prende le mosse; ma il Mediterraneo, il nostro mare di mezzo, i Paesi che si affacciano sulle sue acque e, allargandosi sempre più grazie a quella rete, anche quelli con essi collegati per motivi geografici o semplicemente culturali, costituiscono la parte di questo “network” che si rende via via visibile attraverso i fili preziosi che lo costituiscono. Basta anche semplicemente sfiorare un punto della rete, per creare un input che si diffonde istantaneamente a tutto il suo tessuto, un input che riconosce quel lieve tocco come un’informazione, la dirama, la arricchisce, la trasforma e la rende immensamente più complessa e risonante.

Molto più ambizioso, dunque, di come poté apparire all’inizio, subito dopo il terremoto, il progetto della ricostruzione di Gibellina, della Fondazione che sarebbe nata, del Museo delle trame e ora anche del Museo civico, rappresenta solo gli albori della inaugurazione di un sistema meravigliosamente complesso che consente di leggere il nostro mondo nella chiave dell’interdipendenza e quindi dell’inter-essere: si tratta di una rappresentazione spaziale del network che ci connette già.

Nella sua genialità, Corrao dovette intuire – o anche semplicemente presentire – sin dall’inizio il potente senso aggregante di ciò che denominò “trame” e di cui possiamo vedere straordinarie raffigurazioni in certi costumi, da lui conservati, in cui l’intreccio dei fili disegna, ad esempio, il percorso del Nilo e le sue esondazioni, in certi tappeti che a noi appaiono preziosi per la trama, il colore o il disegno ma di cui in realtà non siamo in grado di decifrare le scritte e di cui dunque non comprendiamo la vera cifra, quella spirituale – tappeti volanti di preghiera, che, nell’elaborazione di ognuno di noi, assumono la bellezza di una parola, témenos, che evoca uno spazio sacro ritagliato sulla terra, come il tempio, che ha la stessa radice, e come il tempo, che è quello spazio tutto nostro che abbiamo identificato tra cielo e terra come tale.

Continua, la potenza evocata da questa parola, nell’immaginario, che ci suggerisce, vedendola scritta, un’immagine bellissima, quella della Relazione: Te-Me-Nos, quella relazione che nasce a partire da due persone e poi coinvolge l’universo intero: Io sono Te, si legge nelle Upanishad,  e attraverso Te sono l’Universo.

Témenos, che per noi è la scoperta che la relazione è lo spazio sacrale che ognuno ha dentro, la scintilla che d’improvviso scocca e si accende, ciò che ci muove ben al di là dell’emozione, la poesia della Cre-Azione, è trama, rete neurale, network, è interessere, in un’unica danza universale .