Il 60,5% di Sac, la società che gestisce l’aeroporto di Catania, è sotto il controllo della Camera di Commercio del Sud-Est, dove, per l’inerzia della politica o chissà per quale altro motivo, da 26 mesi regna un commissario. Si chiama Antonio Belcuore e- dicono i bene informati- fa parte della cerchia di Schifani e di Tamajo. Non è un mistero che Belcuore sia vicinissimo a Forza Italia e in modo particolare a Nicola D’Agostino, parlamentare regionale acese, transitato da qualche tempo sulla scialuppa del governatore (dopo essere stato legato all’assessore alle Attività produttive sin dai tempi di Sicilia Futura). Per questo l’ultimo richiamo di Schifani appare curioso.
Nella nota consegnata ai giornali dal suo ufficio stampa, ieri mattina, il presidente ha segnalato a Belcuore “l’urgenza di approvare il bilancio dell’ente, passaggio fondamentale per garantire la continuità operativa e il corretto funzionamento delle attività”, ma soprattutto ha invitato il super commissario ad astenersi da decisioni sulla governance della Sac, evidenziando che “tale scelta spetta agli organi della Camera di commercio, una volta ricostituiti, per assicurare una rappresentanza adeguata e il rispetto delle procedure”.
Dopo 26 mesi, tutt’a un tratto, pare esserci l’intenzione di ricostituire il Consiglio d’amministrazione e spegnere le proteste collettive (anche di Confindustria) che da Catania si sono propagate verso Palermo: “La permanenza prolungata di un commissariamento che avrebbe dovuto essere solo transitorio – è la denuncia forte della Cisal – ha finito per trasformare un ente strategico come la Camera di Commercio in un organismo bloccato, opaco e distante dal tessuto produttivo”. Anche opaco, per bacco. E comunque Schifani ha deciso di intervenire a gamba tesa, nonostante il monocolore della governance, assegnando a Belcuore “l’onere di procedere con immediatezza e urgenza alla composizione degli organismi entro il 31 agosto 2025” e auspicando massima collaborazione da parte sua.
Ovviamente la questione della Camera del Commercio di Sud-Est è direttamente e irreversibilmente collegata a Sac: Fontanarossa è ufficialmente in vendita, così come ratificato dall’Assemblea dei soci qualche giorno addietro. In quel caso ci furono solo applausi per accogliere l’iniziativa dei vertici. Anche se – va ribadito – la Regione c’entra solo in parte con le vicende dello scalo etneo: nella composizione della società di gestione, infatti, l’Irsap (l’ente che ha rimpiazzato le vecchie Asi, le cui procedure di liquidazione sono appese a una leggina approvata qualche giorno fa dall’Ars) possiede circa il 12% del pacchetto. Il commissario di Irsap, anche lì ce n’è uno, è di nomina governativa. Così come quello del Libero Consorzio di Siracusa (altro 12%) in attesa del rinnovo degli organismi provinciali. Schifani si fa forte non di una, bensì di tre voci. Ha avuto per 26 mesi il potere di decidere, adesso ha scelto finalmente di esercitarlo. Sul rinvio delle nomine di Sac peserebbe, però, anche il ruolo di Fratelli d’Italia: l’ala del partito capeggiata da La Russa e Galvagno coltiverebbe ambizioni di governance ma soprattutto non appare contenta degli utili prodotti da Catania (appena 3,3 milioni secondo l’ultimo bilancio in fase di approvazione).
Anche sulla governance dell’altra società di gestione aeroportuale, la palermitana Gesap, ha avuto qualcosina da ridire. Più di qualcosina. Tanto che l’ultimo attacco sferrato contro i dirigenti, accusati di non avere alcuna visione strategica, ha comportato le dimissioni immediate dall’Ad Vito Riggio. Un manager navigato che lui stesso aveva scelto alla guida della società. Anche in quel caso senza averne titolo: in Gesap, infatti, la Regione non controlla una sola azione, eppure – con un lancio d’agenzia – è riuscita a determinare ciò che sappiamo: l’addio di Riggio e la paralisi delle procedure di privatizzazione dell’aeroporto Falcone-Borsellino. Per la verità il presidente della Regione ha avuto l’ardire di spingersi oltre, chiedendo l’azzeramento del Cda. Lagalla, in qualità di socio di maggioranza, a quel punto ha bloccato tutto: “Non è il momento”.
E così, nemici come prima. Il caso vuole che sul destino dei due aeroporti (Catania è certamente più avanti per passare di mano), Schifani abbia dovuto incrociare le spade con esponenti politici della sua stessa maggioranza o, persino, del suo stesso partito. La rottura con Tamajo è arrivata lenta e inesorabile, a seguito di un processo non ancora consumato del tutto: oggi l’assessore alle Attività produttive non esita a farsi ritrarre con gli unici parlamentari forzisti rimasti fedeli al suo ambizioso progetto di competere per palazzo d’Orleans: cioè Gaspare Vitrano e Michele Mancuso. La tensione con Fratelli d’Italia è in divenire (anche se Sbardella ha apprezzato il rinvio proposto da Schifani sulle nomine di Sac). La crepa con Lagalla, esponente di Grande Sicilia, rischia invece di avere importanti refluenze sotto il profilo istituzionale. C’erano già state alcune avvisaglie (per la scelta del sovrintendente del Teatro Massimo) ma su Gesap e sulle scelte future legate all’aeroporto (Schifani rimarca ogni volta di aver trovato un finanziamento da 14 milioni per lo scalo) il clima rischia di diventare pesantissimo.
Dopo l’ultima uscita del governatore sono state bloccate 46 assunzioni nonché la promozione di 20 dipendenti – su cui c’era la pronuncia favorevole del Collegio dei sindaci – perché secondo Schifani va prima nominato il direttore generale della società (e, a questo punto, anche l’Amministratore delegato). Poi bisognerà approvare il bilancio, che già si preannuncia in attivo come mai prima d’ora (Riggio ha già rivendicato i propri meriti), infine bisognerà attendere l’approvazione del Piano di riequilibrio da parte della Corte dei Conti, per dare il via alle procedure di privatizzazione dello scalo. A cominciare dalla scelta di un Advisor. C’è abbastanza carne al fuoco per ipotizzare nuove scintille. La partita degli aeroporti è appena cominciata.